Per non scivolare nell’indifferenza e nell’ignavia. È la risposta di Leonardo Sciascia a chi, perplesso, chiede perché mai ha scelto di candidarsi nelle liste del Partito Radicale. Risposta che, a quasi cinquant’anni dal giorno in cui è stata data, nulla ha perso della sua attualità: “Per quel che il Partito Radiale nella sua nonviolenza, vuole e tenta di fare e fa, credo si possa usare il verbo rompere in tutta la sua violenza morale e metaforica. Rompere i compromessi e le compromissioni, i giochi delle parti, le mafie, gli intrallazzi, i silenzi, le omertà; rompere questa specie di patto tra la stupidità e la violenza che si viene manifestando nelle cose italiane; rompere l’equivalenza tra il potere, la scienza e la morte che sembra stia per stabilirsi nel mondo; rompere le uova nel paniere, se si vuol dirla con linguaggio e immagine più quotidiana, prima che ci preparino la letale frittata”.
Scrittore pienamente immerso nel suo tempo, Sciascia, senza essere organico a nessuno, si è sempre occupato di politica: “e sempre nel senso etico”. Come a tacitare la possibile obiezione che scambiare politica con etica è un errore, una confusione, la rivendicazione esplicita: “Ben salutare confusione e ben felice errore se gli italiani vi cadessero. Io mi deciso, improvvisamente, a testimoniare questa confusione e questo errore nel modo più esplicito e diretto del far politica: e col partito che meglio degli altri, e forse unicamente, lo consente”. Il Partito Radicale, appunto. Perché i radicali e Marco Pannella? “È stata una decisione improvvisa, sorprendente anche per me. Ero fermamente deciso a non entrare in nessuna competizione elettorale, con nessun partito, con nessuno dei partiti che potevano interessarmi, che sono una ristrettissima area, per altro. Poi mi sono incontrato con Pannella ed è accaduto questo fatto imprevisto della mia accettazione. Non so se è una spiegazione, comunque posso dire quello che pensavo; mentre Pannella mi parlava, pensavo per esempio a quel dialogo di Pasternak con Stalin, per telefono. Una volta Pasternak aveva chiesto di parlare con Stalin per perorare la causa di Mandelstam, il poeta che era stato arrestato. Una sera suona il telefono. Pasternak va a rispondere, ed era Stalin. Parlano di Mandelstam, molto duramente da parte di Stalin, poi ad un certo punto Pasternak dice: ‘Vorrei incontrarvi’. ‘E perché?’, domanda Stalin. ‘Per parlare della vita, della morte’, dice Pasternak; a questo punto sente il telefono che si chiude. Stalin non voleva parlare della vita e della morte, si capisce. Ecco, ho pensato che bisognava parlare della vita e della morte in questo Paese, e che ne parlassi io come scrittore la cui pagina è la più vicina all’azione che si può immaginare”. Per Sciascia l’unica cosa che si muoveva, “proprio nel senso della vita contro la morte” erano Pannella e il Partito Radicale.
Nessuna eredità, ma sicuramente esiste un patrimonio che lasciato da Pannella, Sciascia e dai tanti che si sono dedicati all’azione del “parlare” della vita e della morte, nei termini di “rottura” che non significa rinuncia al dialogo: anzi è il contrario. Irriducibili nel loro essere resistenti all’indifferenza, all’ignavia.
Questa, anche oggi, è la scommessa, l’ambizione, la ragionevole “follia” da opporre all’insensato, idiota “buon senso” che è l’opposto del senso “buono”.