Proposta Radicale 11/12 2023
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Stame

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Il cesarismo di un nonviolento

di Federico Stame

Le difficoltà e il disagio ad intervenire nel dibattito apertosi dopo l’intervento di Marco Pannella al 21° Congresso Radicale sui temi della violenza, ed in particolar modo sull’attentato di via Rasella, nascono da una pluralità di ragioni che, tuttavia, è bene esplicitare. Esse fanno parte integrante, infatti, a mio avviso, della struttura dei temi che abbiano a discutere. Per quanto mi riguarda (solo per fini espositivi, tuttavia, poiché il mio caso personale non è rilevante) sono, infatti, un marxista “deluso”, o un ex marxista; nel senso, più specifico a questo dibattito, che ho condiviso, come tutti i marxisti, il rapporto tra lotta di classe, politica e violenza come concezione del mondo al cui interno trovano sistemazione molti fatti, anche enormi, tra cui la giustificazione della violenza a seconda del soggetto storico che la compie.

Oggi non condivido più tale rapporto e credo che tra politica, etica e storia debba sussistere un rapporto molto diverso da quello teorizzato da Marx, sulla scorta di Hegel; credo in sostanza che occorra ridiscutere tutta la tradizione del machiavellismo politico che è dominante nella cultura europea dal ‘600 in poi e che si fonda sull’assunto della separazione tra politica e morale; sulla concezione della storia come ricerca disincantata del nesso tra i fatti. Oggi occorre rimeditare sulle grandi esperienze teoriche del giusnaturalismo (e sui suoi tentativi di codificare in regole giuridiche il comportamento degli uomini, a livello nazionale e internazionale), sui tentativi dell’illuminismo di sistemare razionalmente il comportamento dell’uomo; penso al Kant di Per la pace perpetua.

Proprio per questi motivi non riesco a condividere le affermazioni di Norberto Bobbio in questo stesso dibattito, di non poter giudicare l’attentato di via Rasella, perché esiste una separazione tra giudizio politico e giudizio storico; se si rifiuta la violenza bisogna precisamente mettere in discussione questa separazione poiché proprio su di essa si fonda l‘“autonomia” della storia e, quindi, della violenza, poiché la storia non è altro che politica (e quindi violenza) passata. Se poi la violenza è una “eredità storica” bisogna dire che nessuna riflessione è “radicale” se esita a mettere in discussione appunto le proprie eredità.

 

Una riflessione è “radicale” se discute le proprie eredità

Proprio in una recente occasione Norberto Bobbio affermava che, nella crisi, anche di conoscenze, della società tardo-capitalistica, emergono di nuovo le grandi problematiche della filosofia politica classica; io sono d’accordo e vorrei rilevare che, tra i grandi problemi, il massimo è quello posto dalla tradizione giusnaturalistica cristiana e non: è lecito uccidere il tiranno? Io penso di sì nel senso che quando il tiranno viola la legge naturale la violenza è giustificata; perché il “diritto” del tiranno non è più “diritto” mentre è “diritto” la violenza dell’oppresso; in riferimento al diritto naturale come criterio necessario di razionalità imminente del diritto positivo. Il problema di una riflessione attuale, che cerchi di coniugare nuovamente il rapporto di interpenetrazione tra etica e politica è di stabilire quale è “oggi” la legge naturale. Il marxismo vi ha già risposto: il diritto naturale è la volontà del soggetto storico deputato alla trasformazione del mondo, mediato, per di più, dalle organizzazioni storiche che lo “rappresentano”.

L’affermazione non mi cattura più per tutto quanto è successo nell’ultimo secolo, nella politica e nell’analisi del movimento operaio; e poi perché resta fuori da questo discorso tutto il problema delle minoranze e del rapporto tra maggioranza e giustizia.

 

Pannella, leader carismatico

Prima accennavo anche al disagio ad intervenire nel dibattito: esso nasce anche da una forma di attrazione-repulsione verso la figura politica di Pannella. Sulle ragioni della attrazione non vi sono da spendere parole; tutti le conoscono e si esauriscono nell’apprezzamento per la battaglia radicale.

Le ragioni della repulsione nascono dalla mia opinione che Pannella è un leader cesaristico, e a me tali leaders non piacciono. Caratteri tipici del leader cesaristico sono: il carisma, il rapporto diretto con le masse, saltando le mediazioni rappresentative, il perfetto sfruttamento delle possibilità dei mezzi di comunicazione di massa, la scelta oculata degli argomenti coi quali intrattenere il rapporto diretto con le masse. In questo modo le masse non decidono, ma “consentono” alle iniziative del leader. Inutile ricordare che il referendum, il plebiscito, sono tecniche essenziali del cesarismo, o bonapartismo, in sostanza tale prassi non instaura rapporti “razionali” di comunicazione. Per di più sollevare queste tematiche, così ampie, a due mesi dalle elezioni politiche è, per me, sospetto. Non per “intransigenza” morale, ma perché ciò rilegittima quella autonomia tra leggi della politica e leggi della morale che si vorrebbe mettere in discussione ontologicamente, cioè dalle origini. Voglio dire che, in questo modo, la prassi di cui Pannella è l’esponente storico fa rientrare dalla finestra ciò che si voleva far uscire dalla porta: la non subordinazione della politica alla morale che è il dato della politica contemporanea. E così anche la battaglia radical-libertaria, che è comunque il “sale” di ogni lotta attuale per la democrazia, se assume qualità cesaristiche, rientra nell’universo logico del quale vorrebbe essere l’opposizione.

 

Via Rasella? Non so cosa dire…

Nella situazione attuale la sensazione prima è quella della impotenza; impotenza intesa come consapevolezza che una riflessione-prassi svincolata dalle leggi ferree della “politica”, sia a livello interno che internazionale, è una lotta contro i mulini a vento. Quando la violenza è l’unico criterio di regolazione dei rapporti sociali, dall’Afghanistan al terrorismo, quale senso ha riproporre ipotesi neo-moralistiche? Non è anch’essa un atteggiamento di isolamento, dimostrazione dell’impotenza dell’intellettuale? Se per fare politica anche di opposizione bisogna subire le leggi di funzionamento codificate da questa società, quali speranze vi sono che la riflessione abbia, anche lontanamente, effetti pratici, visto che questo rapporto con la pratica è l’ultima cosa cui vorremmo rinunciare?

Sull’attentato di via Rasella, poi, io non so cosa dire; o meglio ho pensato tante cose, molte di esse anche ragionevoli. L’unica da dire è che se avessi fatto il partigiano non l’avrei fatto tra le file comuniste. Ma neppure essa; per tante ragioni, è definitiva.

iMagz