Proposta Radicale 16/17 2023
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Editoriale

Inquietante. Terrificante, perfino. Come definire in altro modo il fatto che la più grande democrazia esistente, gli Stati Uniti, tra qualche mese sceglierà, quale nuovo inquilino per la Casa Bianca un golpista ultrasettantenne come Donald Trump, o il malfermo (e forse non solo fisicamente) ultraottantenne Joe Biden ora? E che il terzo incomodo è costituito nientemeno che da Robert Kennedy jr individuo portabandiera di quanto di più spregevole può assumere un terrapiattista, e poco importa se lo fa per cinico calcolo o imbecille credenza. Come definire se non inquietante la vittoria in Argentina di un personaggio come Javier Milei, che non a caso incassa le immediate congratulazioni di Trump?

In che modo definire se non inquietante quello che accade in Europa, e segnatamente in Regno Unito, Francia, Germania, in molti paesi dell’Est. Quello che accade in Africa e in Asia. Quello che accade in Israele, il cui sacrosanto diritto di difendersi non è in discussione; ma è innegabile che giorno dopo giorno è preda di una dirigenza politica che nulla ha da spartire con i fondatori: le Golda Meir e i Ben Gurion, gli Abba Eban e i Moshé Dayan, gli Ytzak Rabin e gli Ariel Sharon. Lo si dice da amici, sostenitori e amanti del sogno sionista: giorno dopo giorno Israele sta smarrendo la sua anima.

Al recente Congresso degli iscritti italiani del Partito Radicale riunito a Roma il 3, 4 e 5 novembre, queste domande sono rimbalzate in più di un intervento.

Nel documento finale si legge che Israele, “unica democrazia del Medioriente, è avamposto, presidio e speranza di liberazione e libertà delle popolazioni dell’area prigioniere di regimi autoritari”. Si esprime solidarietà al popolo palestinese della striscia di Gaza “oppresso dai terroristi di Hamas, – sostiene la lotta di liberazione nonviolenta femminista in corso in Iran contro il regime teocratico disumano dei mullah, regista delle forze antiebraiche ed antisemite con l’obiettivo di distruggere Israele”. Si denuncia come “un errore l’abbandono repentino dell’Afghanistan con la consegna del popolo nelle mani dei sadici aguzzini talebani”, e si sostiene “la lunga e dura resistenza dell’Ucraina per allontanare l’invasore russo che ha fatto dell’invasione il simbolo di una lotta ai valori di libertà e democrazia”. Si valutano con severità le ultime azioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, “le dichiarazioni del Segretario generale Guterrez sul conflitto tra Israele e Hamas, la vergognosa ennesima risoluzione contro Israele e che ignora Hamas, per finire con l’Iran che presiederà il forum dei diritti umani”.

La situazione in Medio Oriente è un magma incandescente, rischia di innescare processi incontrollabili. Israele è un paese impaurito e frastornato, dilaniato, preda di fanatismi non meno inquietanti e pericolosi di quelli che ne minacciano l’esistenza e lavorano per la sua cancellazione: distruzione dell’entità Israele, distruzione dell’ebreo in quanto tale. L’hic et nunc della tragedia che si è consumata e si consuma è accolta da una sconcertante e crescente indifferenza. Caro Papa Francesco: occorre dire, forte e chiaro, nunca mas, come le instancabili madri argentine di Plaza de Mayo. Occorre dire, forte e chiaro a chi si proclama amico dei palestinesi, che se vuole risultare credibile ed essere creduto, deve premettere che i tagliagole di Hamas e chi li manovra sono come i nazisti. È la premessa per qualunque discussione. 

Il “ragionevolissimo” “Due popoli, due stati” è la giaculatoria ripetuta ritualmente da chi mostra di non conoscere per nulla la realtà che si è creata. Uno stato significa un territorio. Quale? Dove? Presuppone un’amministrazione, una burocrazia, un qualcosa che “governa”. Chi, dove? Come? Uno Stato comporta che chi sente di farne parte va a viverci. Provate solo a immaginare quanti e come… Uno stato palestinese sarebbe come una pentola a pressione, si provi solo a immaginare in quale direzione e ai danni di chi, esploderebbe; le scelte sono solo due: Israele o la Giordania, peraltro in larga misura già popolata da una maggioranza palestinese. 

Non può che essere altro, il possibile percorso da seguire: proprio quello all’apparenza più utopico, irrealistico; quello che potrebbe/dovrebbe sfociare in una confederazione. Con tutti i distinguo, i “se”, i “ma” che non sfuggono, il modello svizzero, quello immaginato da un Carlo Cattaneo da noi stessi spesso dimenticato. 

Un benefico “sasso” nello stagno è costituito da un intervento di Marco Pannella, pubblicato sul Corriere della Sera del 22 agosto 2006. Sono trascorsi quasi vent’anni, molto è mutato; ma il nucleo essenziale di quell’intervento è ancora attuale e valida la proposta.

In estrema sintesi Pannella in quello che definisce “il Primo “Grande Satyagraha Mondiale per la Pace”, propone di tentare di scongiurare “una alternativa politica al possibile, per noi probabile, scoppio di una guerra senza confini (geografici e per armi usate) a partire dal sisma mediorientale”. Già allora Pannella intendeva “prevenire e/o controllare gli effetti dell’annunciato sisma bellico mediorientale, propagandato ufficialmente a livello di Stati come l’Iran, e dalla componente più “prestigiosa e potente del complesso Sistema terroristico che sta dilagando e rafforzandosi nel mondo”. 

Israele parte di un’Unione europea di oltre mezzo miliardo di persone, scriveva “potrebbe essere più disponibile e interessata sia a rinunce territoriali sia a rapporti politici istituzionali ed economici radicalmente nuovi con uno Stato democratico palestinese, con l’intero Medio Oriente. Sin d’ora il Satyagraha per la Pace propone una riflessione all’UE, istituzione parlamentare inclusa: se Bruxelles e Israele decidessero di iniziare un negoziato volto all’ingresso nella UE di Israele un masso sarebbe lanciato in uno stagno mefitico e dalle esalazioni letali, erede, anziché superamento definitivo, del mondo e dell’Europa degli anni della Shoah”.

In questo numero della rivista, Sergio Rovasio ricostruisce con acribia ed esattezza le varie tappe dell’iniziativa e del “fare” pannelliano e radicale. È importante fare tesoro e memoria di un nostro patrimonio e cercare di assicurarne un futuro. 

Se tutto questo è, che fare? La domanda è banale, nella sua semplicità. Ma sono le domande banali che nella loro semplicità fanno la differenza.

II Partito Radicale “ritiene l’Onu del tutto inadeguata a rispondere in modo consono alle crisi in corso e di prevenirne di nuove e che non sia possibile una riforma adeguata dato che la maggioranza dei paesi che la costituiscono sono autoritari, pertanto, ritiene che l’ONU sia affiancata da una Organizzazione Mondiale della Democrazia per l’affermazione dello Stato di diritto democratico federalista laico, il diritto alla conoscenza e al sapere, la libertà individuale”.

C’è poi un deprimente contesto nazionale: l’estate si è consumata in pensosi dibattiti sul libro insulso di un generale, le sciocchezze di un congiunto del presidente del Consiglio, cose così. Nel frattempo un paese sfibrato economicamente, culturalmente, incapace di prefigurare il suo futuro e di sognare, sprofonda sempre più in un pantano che sembra non avere fondo. Una responsabilità da equamente ripartire tra chi attualmente sgoverna e chi dovrebbe essere e fare opposizione. Il prossimo Parlamento Europeo sarà chiamato ad assumere decisioni cruciali per tutte noi e per le future generazioni. È necessaria, urgente, indispensabile una rifondazione dell’Unione Europea in senso federalista che abbia un Presidente dell’Unione eletto direttamente dai cittadini e un Parlamento con poteri legislativi, politiche federali per un unico esercito, una sola politica estera, una sola diplomazia. È sconcertante che non un partito di sgoverno o di sedicente opposizione dica che cosa si propone di fare, come e con chi.

Prosegue, pervicace e sistematica l’azione di censura e cancellazione di ogni attività promossa e animata dal Partito Radicale. Ad opera di pressoché tutti i mezzi di comunicazione e informazione, in particolare la RAI. Forse è il tempo del più volte evocato secondo convegno sull’informazione, “seguito” di quello degli Amici del Mondo, “Verso il regime?”. Senza l’interrogativo, questa volta.

Senza dimenticare la madre di tutte le urgenze: la pessima amministrazione della giustizia e il suo epifenomeno: la gravissima situazione nelle carceri che si trascina da decenni, e incancrenisce. Le riforme necessarie devono essere precedute da un provvedimento di amnistia e di indulto: l’attuale pavida classe dirigente non accetta neppure di discuterlo. Stesso discorso per ogni riforma in materia di giustizia, a partire dalla responsabilità civile dei magistrati e dalla separazione delle carriere.

Ultimo, non ultimo: grazie alla caparbietà radicale di un radicale che ha contribuito a fare la storia di questo Partito, Marcello Baraghini (editore radicale, radicale editore), abbiamo un nuovo libro con testi sorprendenti e in buona parte inediti di Marco Pannella.

Il libro si chiama: Pannella racconta, Pannella scrive. Da queste pagine emerge un Pannella “altro” rispetto a quello che crediamo di aver conosciuto. È costituito da tre sezioni. 

La prima sono le corrispondenti francesi di Pannella nei primi anni ‘60 per il quotidiano Il Giorno. C’è già il Pannella che si occupa di un caso giudiziario, un disgraziato “nessuno” accusato di un delitto, e lui ottiene la revisione della condanna definitiva; un Pannella che convive con il bon vivant amico di Sartre e di Dalida, che si occupa di frodi di vino e di un cenacolo di poeti e poetesse una direi piuttosto innamorato. Un Pannella, forse, sconosciuto anche a molti radicali.

Poi c’è il Pannella prefatore di libri. Altro che la giustamente nota e celebrata prefazione al libro di Valcarenghi lodata da Pasolini e poco tuttora capita. C’è un Pannella che si occupa di grafica, un Pannella quasi teologo, sia pure eretico, e via così.

Infine c’è un Pannella che racconta il suo ‘900 e i personaggi conosciuti e frequentati, da Benedetto Croce a Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e la straordinaria galleria di persone che per cinque minuti o per tutta la vita hanno fatto con lui tratti di strada.

Il libro non lo trovate in libreria o su Amazon. Per una scelta politico/editoriale Baraghini si muove all’insegna del “No Amazon”. Chi interessato scriva a: va.vecellio@gmail.com. Riceverà le “istruzioni” su come averlo.

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