La vera sfida
di Pier Paolo Pasolini
Il Fascismo è durato al potere vent’anni. Sono trent’anni che è caduto. Dovrebbe dunque essere già dimenticato, o almeno sbiadito, passato di moda, impopolare. In sostanza è così. Un Fascismo come quello 1922-1944 non potrebbe più andare al potere in Italia: a meno che la sua illogica ideologia non si limitasse a puntare sull’”Ordine”, come concetto del tutto autonomo, o addirittura tecnico: un “Ordine”, cioè, non più al servizio di “Dio”, della “Patria” e della “Famiglia”, cose in cui nessuno crede più, soprattutto perché sono indissolubilmente legate all’idea di “povertà” (non dico “ingiustizia”).
L’”edonismo” del potere della società consumistica ha disabituato di colpo, in neanche un decennio, gli italiani alla rassegnazione, all’idea del sacrificio ecc.: gli italiani non sono più disposti – e radicalmente – ad abbandonare quel tanto di comodità e di benessere (sia pur miserabile) che hanno in qualche modo raggiunto. Ciò che potrebbe promettere un nuovo Fascismo, dovrebbero essere appunto, dunque, “comodità e benessere”: che è una contraddizione in termini.
In realtà tuttavia c’è stato, e c’è, in Italia un nuovo Fascismo che fonda il suo potere proprio sulla promessa della “comodità e del benessere”: ed è appunto quello che Marco Pannella chiama il nuovo Regime, un po’ immaginosamente, ma giustamente. Benché dunque tale Regime abbia fondato il suo potere su principi sostanzialmente opposti a quelli del Fascismo classico (rinunciando in questi ultimi anni addirittura al contributo della Chiesa, ridotta allo spettro di se stessa) esso può ancora lecitamente essere chiamato fascista. Perché? Prima di tutto perché l’organizzazione dello Stato, ossia il sotto-Stato è rimasto praticamente lo stesso: anzi, attraverso, per esempio, l’intervento della Mafia, la gravità delle forme di sottogoverno è molto aumentata. Questo fardello arcaico – che il nuovo Regime, così moderno, così spregiudicato, così cinico, così agile – si trascina dietro, impotente a liberarsene, rende perfettamente logica e storica la presenza di uomini al potere come Fanfani, ad esempio. In lui il vecchio (legalitarismo, clericalismo e intrallazzo) può convivere pacificamente col nuovo (produzione del superfluo, edonismo, sviluppo cinico e indiscriminato): perché tale convivenza è un dato oggettivo della nazione italiana.
La continuità tra il ventennio fascista e il trentennio democristiano trova il suo fondamento sul caos morale e economico, sul qualunquismo come immaturità politica e sull’emarginazione dell’Italia dei luoghi per dove passa la storia. Ciò che ha differenziato, formalmente, gli antichi padroni fascisti dai nuovi padroni democristiani (che di cristiano non hanno ormai propri più nulla: hanno cinicamente gettato la maschera) è l’esercizio del potere: il ventennio fascista è stato una dittatura, il trentennio democristiano è stato un regime poliziesco parlamentare. Il parlamentarismo è un lusso che è stato consentito ai nuovi padroni (antifascisti!) dalla presenza della Chiesa. La grandiosa maggioranza che la DC ha sempre ottenuto alle votazioni del trentennio, grazie alle masse elettrici cattoliche asservite ai preti, le ha permesso una parvenza di democrazia, che viene disonestamente usata come prova di dissociazione col fascismo. In questi trent’anni la Dc nelle elezioni ha subìto qualche flessione, e qualche piccolo smacco: mai una sconfitta.
Oggi, per la prima volta, si delinea per la DC la possibilità di una sconfitta: le masse di consumatori che le sono sfuggite di mano, formandosi una nuova mentalità “moderna”, il crollo dell’organizzazione ecclesiastica e del suo prestigio, espongono la DC a quella sconfitta che la costringerà a gettare la maschera della democrazia, e la porrà di fronte a un’unica alternativa: quella di ricorrere agli stessi strumenti di potere del fascismo classico. Cosa però – io credo – ormai storicamente irrealizzabile. La minaccia per l’Italia è se mai un colpo di Stato simile a quello etiopico (o portoghese?): in cui l’esercito si porrebbe al di fuori – credo – dal vecchio universo ideologico fascista. Esso potrebbe infatti fondarsi unicamente sullo “slogan” dell’”ordine”: ma un “ordine” mantenuto a protezione non più di uno stato di miseria e di ingiustizia (come il fascismo e la DC degli anni Cinquanta), ma a protezione dello “sviluppo”, così come lo vogliono gli industriali.
Per tutte queste considerazioni, io sono per un confronto diretto, che porti la DC alla prima sconfitta. Quindi non solo non temo il “referendum”, ma sono per la grande sfida lanciata dai radicali degli “otto referendum”. A parte, naturalmente, altre due considerazioni che sarebbero sufficienti da sole per spingermi a prendere una simile posizione: 1) Le abrogazioni chieste dagli “otto referendum” sono sacrosante, sono il minimo che si possa fare per una scelta “reale” democratizzazione della vita pubblica (io, personalmente, ho qualche dubbio solo a proposito dell’aborto); 2) non bisogna mai, in nessun caso, temere l’immaturità degli elettori: ciò è brutalmente paternalistico: è lo stesso ragionamento che fanno i censori o i magistrati quando considerano il pubblico “immaturo” per vedere certe opere.
(28 marzo 1974)