Proposta Radicale 23 2024
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12 maggio, perché vincere

12 maggio, perché vincere

di Marco Pannella

Ci battiamo perché i partiti democratici ricordini quanto indivisibili siano tutte le lotte di libertà e di liberazione, perché ricordino finalmente che nessuna “politica” potrà mai legittimare per generazioni interne il soffocamento di fondamentali esigenze, diritti e speranze della coscienza, delle persone, delle masse dei cittadini.

Se il 12 maggio dovessero prevalere la Chiesa della CEI e il Partito del Regime, la DC, non solo sarebbe tolto il diritto al divorzio ma ogni prospettiva reazionaria, ma ogni altro segno d’inciviltà clerico-fascista potrebbe ormai tradursi in una esplicita realizzazione. Mobilitati finalmente dalla giusta paura di questa prospettiva, i partiti dell’arco divorzista, ed in primo luogo il PCI, in questi giorni, stanno scendendo in campo per scongiurare questa jattura. Diverso certo, è il nostro d’animo. Non da oggi noi siamo convinti della maggior maturità della gente rispetto a quella della classe politica. Non pensiamo che esista nel paese una maggioranza di elettori disponibili per questa operazione clericale. Ora sono anche i sondaggi demoscopici a darci ragione, senza eccezione. Grazie alla LID, al Partito Radicale, ai socialisti come Fortuna, per anni non si è discusso solo su quali dovessero essere i “miglioramenti” alla legge divorzista, ma si è continuato ad affermare che questa era fra le migliori mai votate dal nostro parlamento, e non abbiamo mai cessato da una vasta ed accanita campagna in questo senso. Noi non vogliamo, come altri, al soccorso della vittoria: né abbiamo cattive coscienze da affrancare. Pensiamo solamente di conoscere meglio di altri una realtà che abbiamo in modo determinante contribuito a creare.

Lottiamo perché la vittoria sia netta, chiara, esplicita. Perché venga sconfitta senza possibilità di ulteriori prove d’appello, ogni volontà di opposizione contro fondamentali diritti costituzionali, contro libertà civili senza le quali un paese non è moderno ed umano, una democrazia non è fondata nei cuori e nelle volontà dei suoi cittadini. Abbiamo ancora decenni di ritardo, in questi campi, che la repubblica rischia di pagare in modo tragico e definitivo, fra la nausea, la rassegnazione e la rivolta della gente.

Lottiamo perché si sappia chiaramente non solo quale sarebbe la gravità della sconfitta, ma perché sia evidente e adeguata la necessità e l’importanza della vittoria. Solo in questo modo, pensiamo, sarà assicurata quella mobilitazione generale, vasta, decisa ed entusiasta per la difesa del divorzio della quale abbiamo bisogno.

Noi non siamo mai stati la corporazione dei “fuorilegge del matrimonio” tesa alla conquista di una riforma corporativa. Per dieci anni abbiamo lottato in nome dei diritti della coscienza, dei principi di libertà del laicismo, d’una liberazione più ampia, per la donna, per l’uomo, per la famiglia, per la dignità religiosa, di quella configurabile nella limitata, anche se fondamentale ed imprescindibile, realizzazione della dissolubilità del matrimonio civile. Abbiamo saputo farlo ed è per questo che abbiamo vinto; per questo le passioni civili si sono destate, il paese è riuscito ad imporre ad una classe politica contraria o sfiduciata il voto di questa riforma.

Oggi tutti devono sapere che dalla vittoria del 12 maggio, qualcosa di più che la semplice difesa del divorzio può e deve scaturire. Se le forze del progresso vinceranno esse dovranno impegnarsi perché, senza più ritardi tragici, la Costituzione sia realizzata, lo spirito della Resistenza finalmente restaurato, le più abbiette realtà del regime corrette e superate.

Le donne, e gli uomini, devono lecitamente poter sperare che l’aberrante legislazione sull’aborto, crudele, criminale, mostruosa, causa certa se non unica d’uno dei flagelli più gravi del nostro tempo, di morte, sofferenze, tragedie davvero inimmaginabili, verrà mutata radicalmente. Tutti i democratici devono sperare che, nel volger di un anno, vengano finalmente cancellate le norme autoritarie, fasciste, democristiane dei codici penali e di quelli militari. I credenti, in primo luogo, e tutti i laici, sappiano che, se contribuiranno ad una netta vittoria contro il clero-fascismo della CEI e di Fanfani, le forze democratiche abrogheranno quanto meno le norme più aberranti del Concordato e del Trattato.

Quanti comprendono che senza un minimo di libertà d’antenna contro il monopolio di regime, senza il rinnovo delle leggi sulla stampa il gioco democratico è irrimediabilmente falsato e truccato, carichino il loro voto del 12 maggio, e la loro mobilitazione, anche di questa speranza.

A chi ci accusa, con l’iniziativa degli otto referendum contro il regime, per i quali abbiamo iniziata il 20 marzo la raccolta delle firme, di distrarre le masse democratiche rispondiamo che à la classe politica che troppo a lungo è stata distratta rispetto ad improrogabili riforme e attuazioni democratiche, e che il paese lo ha pagato in modo grave e drammatico. A che ci accusa di rischiare di dividere le forze divorziste, rispondiamo che in tal modo contribuiamo a dividere solo le maggioranze degli sfruttati e degli uomini e delle donne di buona fede dalle minoranze privilegiate che le sfruttano e le opprimono.

“Non è questo il momento”. “Non è ancora opportuno”. “Il Paese non è maturo”. Sono trent’anni che lo sentiamo ripetere ogni giorno. Ora, se vogliamo davvero vincere, davvero basta.

(4 aprile 1974)

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