Il NO di una suora
di suor Marisa Galli
So di non dire nulla di nuovo. Il nuovo sta nel fatto che è una suora che scrive, che ha maturato nella sua coscienza certe problematiche, che non può più tacere nella ridda dei pro e dei contro il divorzio. Basterebbe forse, in un dibattito culturale, comunicare che la dichiarazione fatte da Erich Fromm, riportate dal Corriere della Sera del 23 aprile, sono totalmente congeniali alla mia esperienza di pedagogista. Non avrei altro da aggiungere. Ma è come religiosa che mi è dato spazio su questa pagina e da questa visuale qualcosa d’altro può esserci da mettere in rilievo. Come religiosa che, così, forse unica fra le migliaia, esprimerà una libera opinione in contrasto con la decisione che, anche per lei e le sue consorelle, hanno preso le istituzioni protettrici e le autorità al vertice. Lo farà perché non sono d’accordo che la massa si imponga al singolo e lo sacrifichi anche se il singolo, liberamente, può sacrificarsi per la massa (le ideologie totalitarie e Cristo insegnano).
Che c’entra mai la voce di una suora con un referendum sul divorzio? Che ne sa lei di queste cose? – dirà il teologo: mai si sono viste, in Italia, suore teologhe, anche se ora qualcuna timidamente comincia a farsi il dottorato purché sia ben assicurato nei binari dell’”ortodossia” perché la sua capacità critica non ha ancora avuto l’”imprimatur”. Esprimerò dunque un punto di vista legale, o filosofico o morale? Gli integristi, non importa di quale segno, mi riconoscerebbero probabilmente il diritto e la capacità di esprimere “il” punto di vista religioso, cristiano.
No, carissimi. Rifiuto ogni integrismo, non posso né voglio dare un giudizio univoco della realtà come criterio di unità nostra di cristiani. È dunque a partire dalla persona, dai suoi valori di essere libero che ha la libertà naturale di farsi le sue scelte, di gestirsi la sua vita, il suo corpo, che posso assumermi la responsabilità di questo intervento.
Chi ha scelto liberamente e responsabilmente di contrarre e di vivere il matrimonio cattolico saprà pure che per quella sua fede il matrimonio è indissolubile. Ma se questa indissolubilità divenisse ad un certo punto puramente farisaica, volta solamente a salvare il perbenismo del contesto clericale, cosa sarebbe altro, nel suo contenuto, che prostituzione legalizzata?
La sostanza del matrimonio cristiano è una comunione di grazia e di amore che dovrebbe crescere giorno per giorno, frutto della ricchezza interiore dei coniugi, non certo prodotto d’una imposizione esterna. Ma che diritto ha il cattolico di imporre la sua morale, la sua indissolubilità a chi non vive la sua stessa fede?
Dov’è il rispetto per le minoranze religiose sancito dalla costituzione, per i diritti inalienabili della coscienza? Ma che libertà religiosa è mai questa se io che, per ipotesi, seguo il Corano, mi trovo poi lo Stato italiano che mi obbliga, per i patti lateranensi o per altra sua legge, a seguire una morale cattolica? E quei cattolici, tali solo per imposizione e per acritica passività, che vivono la religione a livello di rito e non di esperienza di fede, saremo noi a costringerli ad essere a tal punto farisaici?
Io mi ribello e non per questo stimerò meno una donna, un uomo che mi dicano che non riuscendo più a fare del loro matrimonio un continuo atto d’amore – per i motivi più vari e accettabili – dopo cinque anni di separazione legale chiedono il divorzio. È un loro diritto, un diritto civile ed è per questo che faccio sentire la mia voce di donna e di religiosa.
Non mi si dica che la legge del divorzio “sfascerà” la famiglia. Saremmo a tal punto tutti nevrotici, meglio così farisaici, da coprirci dietro il sacramento di indissolubilità per far credere e raccontare magari a noi stessi che la famiglia italiana è stata finora unita e che solo domani, con il divorzio si sfascerà?
Qui, qui davanti a me, tutte le migliaia di ragazzi che sono negli istituti assistenziali da decine di anni – compresi i miei cento – venite qui! Ditemi: dov’è vostro padre, dov’è vostra madre? A chi siete stati affidati? Dov’è un giudice tutelare che abbia saputo e potuto tener conto, davvero, di voi, delle vostre esigenze, nella separazione legale dei vostri genitori, nell’annullamento rotale di uno di loro, durante il lungo regno dell’indissolubilità civile del matrimonio? E con quale diritto noi cattolici dovremmo condannare vostro padre, vostra madre, ancora giovani o giovanissimi, ad una definitiva solitudine? E con quale diritto importi, figlio, un “istituto”, solo perché una parte dei cittadini italiani non tollerano uno strumento efficace per regolarizzare la posizione dei tuoi genitori, che hanno tentato di rifarsi una vita?
Evvia, siamo onesti; diciamocelo chiaro: ancora una volta nascondiamo la nostra ignavia – la nostra irresponsabilità – nei confronti del gruppo addossando tutte le colpe al fantasma di una istituzione, di una legge sul divorzio: la sicurezza di fedeltà, di stabilità può davvero essere affidata alla sanzione di una legge esteriore? O non dobbiamo invece dirci che la unità della famiglia si genera e si sviluppa all’interno dell’uomo e che si regge pure su alcune strutture sociali adeguate cui il cittadino dovrebbe aver diritto: la casa, il lavoro, la scuola, i servizi sanitari, la sicurezza sociale, insomma?
Prevenire le cause della crisi familiare, del divorzio; questo dovrebbe esser fatto. Ma per ora, e proprio qui, negli stessi istituti di assistenza ai ragazzi, di fatto, già si preparano e s’impongono i divorzi di domani, a causa di un preteso servizio sociale che si rivela in genere come una vera mistificazione. Dobbiamo chiedere ed esigere dallo stato un impegno, una serietà, un rispetto per il cittadino che per ora riscontriamo insufficiente qualitativamente e quantitativamente. Dobbiamo ancora chiedere alla società nelle sue componenti e strutture e quindi a ciascuno di noi di essere una società tutta educante alla autentica democrazia non quella mistificante d’oggi, tendente ad una egemonia assolutistica, per partitica che sia, che sta per trascinarci di cinquant’anni indietro, ai “nostalgici” anni della marcia su Roma (e anche qui, si consiglia lo studio delle opere di Erich Fromm).
(9 maggio 1074)