Proposta Radicale 28/29 2025
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Questa è la vera

Posta in gioco

di Marco Pannella

Caro amico,

nel 1965 Elio Vittorini accettò l’incarico di Presidente del Consiglio nazionale del Partito Radicale che contava poco più di 100 iscritti e veniva dato per morto. A chi gli chiedeva come mai facesse una scelta così improbabile e marginale, Vittorini rispose: “Perché i radicali sono gli unici copernicani della politica italiana. Il resto è tolemaico, e ne ha il destino”.

Come gran parte della nostra storia, e di tutto quel che in qualche modo la contiene, di questa scelta e di questo giudizio così profetici e illuminanti di Vittorini nessuno sa nulla. Così come si è riusciti a rimuovere e abrogare la vera e propria “militanza” che Pasolini ha dato al PR negli ultimi anni della sua vita, quelli caratterizzati dalla privata disperazione ma anche dalla profezia più suggestiva e profonda.

Oggi sono tanti i Vittorini e i Pasolini, gli Ernesto Rossi ed i Bruno Villabruna che mostrano nei confronti del Partito Radicale la stessa attenzione e lo stesso amore. Se:

tre Premi Nobel, così diversi nella loro storia e nelle loro scoperte per le quali è stato loro reso massimo omaggio, quali Rita Levi Montalcini, Georges Wald e Vassily Leontief;

dal profondo dell’ergastolo e di condanne quasi secolari tanti ex terroristi e “criminali”, manifestando in tal modo – proprio loro! – speranza e solidarietà;

ministri di Governi anche africani, parlamentari italiani e europei, israeliani e francesi;

autori riconosciuti come fra i maggiori del nostro tempo, quali Eugene Jonesco;

dissidenti sovietici o polacchi, come Leonid Pliusc o testimoni del nostro tempo come Marek Halter, o tanti ebrei impegnati per il rispetto dei diritti umani in URSS, quali Avital Sharanski, Hans Margulis;

preti e religiosi come Jesn Cardonnel, Christian Delorme, Guy Gilbert;

centinaia di criminali comuni detenuti nelle carceri e tante loro famiglie;

donne e uomini di cultura, dello spettacolo, delle arti, del teatro, della musica, della pittura, del giornalismo, financo dello sport in Italia;

tutti o quasi tutti dichiarando di non essere mai stati iscritti a partiti nella loro vita, hanno deciso, in poche settimane, di costituirsi nel Partito Radicale del 1986, perché ritengono necessario un Partito Radicale nel 1987 e in futuro, ebbene, se questo accade, occorre far tesoro di questo tesoro di entusiasmo, di generosità, di intelligenza e di impegno responsabile ed esemplare.

Affinché queste adesioni abbiano non solamente valore, ma costituiscano un esempio, occorrerebbe che esso fosse conosciuto, valutato, compreso e giudicato dalla gente, cui è invece sporadicamente segnalato, con una incomprensibile forma di cronaca sporadica ed intermittente, metà agonistica metà folkloristica, come se si segnalassero i set di diverse partite di tennis, alla rinfusa e in disordine.

Ancora una volta il divorzio fra immagine e identità, il passaggio dall’informazione alla deformazione-disinformazione, sono al centro della situazione che viviamo. Ci si oppone una cultura conservatrice, timorosa del nuovo e del nuovo possibile; non meno di una scienza sociologica e politologica interna al sistema culturale partitocratico, oltre che il consueto riflesso di censura e di paura del radicale.

E invece quale patrimonio di episodi, di grandi testimonianze umane e di successi civili e politici, quali virtualità e speranze non vengono così rianimate, dissepolte da vent’anni di storia e rese alla luce del possibile nell’immediato o nel futuro più prossimo, ed anche in quello lontano, è impossibile raccontare, o anche evocare.

La lunga guerra nonviolenta, la lunga pace che abbiamo affrontato e della quale siamo vissuti e ha vissuto la nostra società, conta migliaia di episodi: come nelle trincee, o nelle “campagne” (in tutti i sensi della parola) napoleoniche o nelle Marce cinesi…

Questi episodi di individuale riuscita o di intuizioni e testimonianze politiche sono stati travolti o soffocati dalla cultura dominante, ed oggi possono tutti riproporsi nell’attualità grazie al Partito Radicale che possiamo intravvedere, che possiamo/puoi “scegliere o sciogliere”.

Lo spaventoso divorzio fra scienza e potere (e la “politica”), fra potere e diritto, fra diritto e diritti, fra obblighi e doveri, sta mostrando i suoi frutti letali per la terra, per l’umanità.

Occorre con radicalità mobilitarci, mobilitar l’opinione pubblica (ma per far questo occorre forza politica e anche di governo) per proporre e imporre nell’oggi un vero “governo” mondiale delle risorse e delle difese, a cominciare dalla conquista nonviolenta dell’Europa politica statuale, come dell’India da parte di Gandhi e dei suoi compagni.

Per far questo occorre che alle internazionali dei Partiti si affianchi e per tanti versi si sostituisca un Partito internazionale o transnazionale. I “vecchi” radicali sanno che un’idea giusta, difesa con mezzi e metodi giusti, può essere scintilla che fa divampare e esplodere un nuovo possibile; una…“pace” insomma; e non solamente la “guerra”.

Questa scintilla può scoccare dal nostro incontro: a due, noi che ci scriviamo o leggiamo; o a tanti, se con umiltà sapremo però credere e riconoscere che solidarietà solide come pietre, come diamanti fra persone in apparenza più marginali, isolate, battute, ancora ieri rassegnate possono rivelarsi più forti e vere dell’omertà nella paura o nella violenza di quanti sono uniti ma paralizzati e impotenti, dal potere ufficiale e dal sistema politico di usurpazione nel quale viviamo, e in cui si spegne il mondo d’oggi: si spegne con l’aria, con il mare, con le foreste, con i pesci e gli uccelli, con le decine di milioni di esseri ammucchiati nella storia contemporanea e dentro le nostre coscienze, dimenticati come un mucchio di cani spenti.

Questa è la posta del gioco che ti propongo da amico, da compagno, da fratello: il pegno non è la promessa di essere capace di fare domani quel che fin qui non abbiamo saputo fare, ma di dare insieme maggiore forza a quel che ciascuno nella propria vita, tu ed io, abbiamo tentato e che non ci siamo rassegnati a disperare, o che non vogliamo più disperare.

Ciò facendo, diverremo meglio capaci di non delegare a nulla ed a nessuno, per cominciare al Partito Radicale, una totalizzante, compiuta rappresentanza di noi stessi, di ciascuno di noi. Saremmo anzi meglio capaci di articolare in varie organizzazioni e associazioni – politiche, partitiche, culturali, civili, religiose – la complessità incomprimibile delle nostre esistenze e della nostra appartenenza sociale e civile.

Iscriversi al Partito Radicale non è poco: comporta, anzi, una condanna; la condanna alla libertà e alla responsabilità dell’indipendenza scelta e non subita, contro le velleità disastrose delle “indipendenze” menzognere, sterili e prime di Parola, di conoscenza e di qualsiasi vero “Libro” cui riferirsi.

Come un Ordine religioso, piuttosto che come una confessione o una fazione: uniti da poche, rigorose “regole”, in comune stabilite e rispettate, le regole della nonviolenza e della tolleranza che siamo riusciti a enucleare politicamente e giuridicamente in quel bel segmento di teoria della prassi che è il nostro statuto o che in esso è incluso.

“Uniti” in tal modo, con una feconda possibilità di durata e di riuscita, da ideali che appartengono ormai al “buon senso” stesso, all’antropologia culturale delle nuove generazioni ed a quanto di vivo e di forte è sgorgato dalle meno nuove, dalle “antiche”.

Un Ordine “aperto” più francescano, gandhiano, più scalzo che con le scarpe chiodate, di studio e di opere, a condizione che non sia “esclusivo”, che vieti in qualche misura di impegnare più che una parte, sostanziale ma non maggioritaria, delle nostre giornate e della nostra vita. Armato non di spada, ma di nonviolenza.

Consentimi di citarti ad esempio le iscrizioni al PR di quei religiosi, rabbini, pastori, preti che hanno deciso di avere per “secondo partito”, per “seconda fedeltà” il Partito Radicale. Essi hanno dalla loro la fora di saper vivere nelle libertà l’obbedienza; di onorare con la libertà la fede, la coscienza, di rafforzarla non solamente con l’ascesi della preghiera e dell’opera, ma con l’organizzazione, cioè con il potenziamento sociale e politico dei contenuti e dei mezzi della loro libertà, e della loro libertà stessa.

Ci si porrà ben presto il problema non formale, non statutario, della continuità del “nuovo” Partito, del 1987, con quello attuale, già così autonomo, singolare, da essere “altro” da quello del 1986, o di dieci mesi del 1986. È il problema reale della trasformazione, della Riforma. Dubito che potremo far altro che porlo come compito, come obiettivo di questo anno sociale politico nostro.

Mi parrebbe necessario e opportuno fissarne sempre più il carattere “transnazionale” e “transpartitico”; di “secondo partito”, non solamente compatibile ma omogeneo e interessato positivamente a “doppie tessere” di ogni tipo. Potremmo in questo senso riflettere sulla non opportunità, in generale, tranne eccezioni e situazioni transitorie, di essere presenti, in quanto Partito Radicale, nei momenti elettorali.

Potremmo configurarci un’eccezione per le prossime elezioni politiche “nazionali” italiane; ma dovremmo anche guardarci dal rischio di “reclutare” consensi, qui e soprattutto altrove, sulla base di legittimi ma per noi marginali interessi elettorali e di potere, sia pure democratico.

Potremmo esaltare il carattere di partito della nonviolenza politica, quindi dell’intransigenza liberale, libertaria, democratica, per organizzarci sempre più in modo da far irradiare dal Partito “Leghe” e “Movimenti”, dalla concreta internazionalità, istituzionalmente “interni” e politicamente “aperti”, per l’affermazione “aggressiva”, non “pacifista” ma “nonviolenta”, a favore dei diritti umani, dei sistemi politici ed istituzionali contro di essi fondati, particolarmente rivolti all’Est Europeo, ed al Medio Oriente. Lo stesso potremmo immaginare sul fronte della droga e della mafia. Potremmo…

Ma rischio di chiederti troppo tempo, oltretutto con prospettive immature, non di oggi; più ipotesi che proposte o anche esempi concreti.

Vorrei solamente aggiungere due considerazioni: la prima e che do ovviamente per scontate battaglie come quelle per la “giustizia giusta”, che è caratterizzante per la maggior parte di noi, e non solamente in Italia.

Qui la storia e gli interessi di tanta parte degli iscritti per il 1986, se confermeranno le loro iscrizioni anche per il 1987, costituiscono una garanzia obiettiva di impegno e di energia. La seconda – che è anche la riflessione con la quale chiudo questa troppo lunga lettera – è su un carattere particolare delle iscrizioni al partito, che abbiamo dovuto accantonare in questi tumultuosi mesi che hanno travolto gran parte dei peggiori ostacoli, certo, ma anche, fatalmente, alcuni punti acquisiti della prassi e del costume del PR.     

Le quote di iscrizione sono, per noi, “quotidiane”. Le 146.000 lire non sono altro che il totale di impegni minimi di 400 lire al giorno. Più della metà dei “vecchi iscritti” in passato, si quotavano per cinquecento, mille, diecimila (e, in qualche caso, ad esempio, alcuni parlamentai malgrado le somme minime di salario che restano loro, con cinquantamila e più lire al giorno).

Sicché, nel 1986, possiamo contare che i quasi 11.000 iscritti hanno fornito al partito l’equivalente di quanto giungeva da 6.500 iscritti degli anni precedenti.

Mi auguro quindi che tu voglia usare subito il modulo di conto corrente accluso in questa lettera per l’iscrizione del 1987 o, se già fatto, per una sottoscrizione aggiuntiva; o inviare direttamente un assegno sbarrato intestato al Partito Radicale, precisando nella lettera che si tratta dell’iscrizione, o di un contributo.

Ti chiedo scusa per la lunghezza eccessiva: ma, al solito manca il tempo per essere brevi!

Ti invio il mio fraterno augurio per il 1987, ed una stretta di mano da compagno e da amico. Grazie, se vorrai rispondermi, o comunque corrispondere alle ragioni e ai sentimenti per cui ti ho scritto.

iMagz