Proposta Radicale 28/29 2025
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Scaffale

Storie di vita tra politica e affetti

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Il federalismo europeo

di un socialista libertario

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Pasolini, Sciascia, “processi”

a futura memoria

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Lo spirito libero non è sicuro

di avere ragione

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Storie di vita tra politica e affetti

Storie di vita tra politica e affetti

«Questo volume nasce da un moto dell’animo. Racconta un pezzo della mia storia, il mio Craxi, un padre difficile e straordinario, e, vagando tra i ricordi, narra le vicende della nostra famiglia, una famiglia allargata a una piccola, grande comunità politica e di amici che per anni ha condiviso tutto». Per la prima volta, la figlia di Bettino Craxi, Stefania, racconta una storia politica di cui va fieramente orgogliosa. Nelle sue memorie, i suoi aneddoti e riflessioni non c›è solo il ricordo affettuoso del politico esuberante e sognatore, ostinato e tenace che era suo padre, ma il racconto di un intero Paese in grande trasformazione, pieno di energie e rancori mai sopiti. Uomini e donne, protagonisti e comparse di un›epoca che non tornerà; i pochi che le sono stati vicino e i molti che si sono girati dall›altra parte nei periodi più bui; pagine straordinarie, e a volte dolorose, della storia recente italiana: «La mia prima vita, che racconto in questo libro, non contemplava il palcoscenico, ma semmai il dietro le quinte, lo stare fuori dallo schermo, mai davanti. E, soprattutto, non prevedeva, neanche per sogno, la politica come impegno quotidiano. Ma nessuno ci chiede cosa vogliamo: la volontà si scontra con il senso del dovere, del dover agire e del dover fare, del dover dire e del dover esserci. È questo l’insegnamento che ho tratto vivendo all’ombra della Storia. Non ne ho fatto parte, forse solo in determinati frangenti, in alcuni casi comici e in altri tragici, ma sono mio malgrado una testimone. E oggi, raggiunta l’età della maturità, l’età in cui si riflette e si guarda al passato, vedo scorrere davanti ai miei occhi dei fotogrammi, che mi fanno capire quanto sia distante quel tempo passato e quanto, per molti versi, quel tempo sembra non passare».

All’ombra della storia. La mia vita tra politica e affetti

di Stefania Craxi – Piemme

Il federalismo europeo di un socialista libertario

Il federalismo europeo di un socialista libertario

Tra il 26 aprile e il 16 maggio 1955 Albert Camus è in Grecia per un ciclo di conferenze. L’unico incontro registrato è quello del 28 aprile ad Atene, “Il futuro della civiltà europea”. I quattro interlocutori del filosofo francese sono nomi di spicco nel panorama culturale greco dell’epoca: il filosofo Euangelos Papanoutsos; lo scrittore Georgios Theotokas; il costituzionalista Phedon Veleris; il diplomatico ed ex partigiano Konstantinos Tsatsos.

Nell’introduzione, Alessandro Bresolin ha cura di sottolineare che Camus, socialista libertario, crede nel federalismo europeo. È convinto che l’Europa debba unirsi in un forte modello federale e non limitarsi a una tiepida confederazione di Stati che lascia inalterato l’anacronismo rappresentato dalle sovranità nazionali. Per questo indica in un’unione fondata sulla misura e sul rispetto delle diversità l’unica speranza per l’Europa.

L’impegno di Camus per il federalismo europeo risale alla guerra e alla Resistenza. Mentre la Francia è sotto il tallone dell’occupazione nazista, aderisce al gruppo Combat, molto vicino al Partito d’Azione italiano, e in clandestinità ne dirige il giornale. Il movimento Combat, fondato da Henry Frenay, una delle principali figure del federalismo proveniente dalla Resistenza, afferma fin dai suoi atti fondativi la necessità di creare una federazione europea, unita sul piano giuridico e politico, per garantire la pace e il progresso economico attraverso una democratizzazione delle istituzioni.

Camus concepisce l’Europa come un’unità geografica e culturale, per questo è contrario alla divisione del continente in aree di influenza, pur consapevole che la storia sta andando in direzione opposta. Già nel 1947 sostiene che anziché militarizzarsi l’Europa deva diventare piuttosto “una società dei popoli libera dai miti della sovranità, una forza rivoluzionaria che non si appoggia sulla polizia e una libertà umana che non sia di fatto asservita al denaro”.

Dunque: unificazione europea come riforma da fare subito, profittando della debolezza degli Stati nazionali. Invece negli anni che trascorrono dalla Liberazione al Trattato di Roma del 1957, gli Stati si accordano per una blanda unione economica. Forse anche per questo, dopo gli entusiasmi federalisti, Camus si disinteressa della politica europea: la montagna ha partorito il topolino.

Il futuro della civiltà europea

di Albert Camus – Castelvecchi

Pasolini, Sciascia, “processi” a futura memoria

Pasolini, Sciascia, “processi” a futura memoria

Discutevano di un “Processo” Leonardo Sciascia e Pier Paolo Pasolini, nell’ultimo tempo che precedette l’assassinio del poeta: un processo all’intera classe politica italiana. E se Pasolini ne aveva puntigliosamente formulato i capi d’imputazione, Sciascia, in Todo modo, ne aveva di fatto esteso la terribile sentenza. Di quel processo, di lì a poco, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro avrebbero rappresentato una tragica allegoria. Ma ben diversamente sarebbe accaduto quindici anni dopo: ché davvero, allora, l’intera classe politica italiana sarebbe stata pubblicamente “processata” e l’assise dibattimentale chiamata a giudicare delle accuse rivolte a uno sconosciuto consulente finanziario di nome Sergio Cusani sarebbe assurta a palcoscenico carnevalesco del linciaggio rituale di tutto il sistema dei partiti. Terrificante è il processo quando fedi, credenze, superstizioni, ragion di Stato o ragion di fazione lo dominano o vi si insinuano, aveva detto Sciascia. Memore di quell’ammonimento, questo librino attinge da verità letterarie e verità processuali per interrogarsi sul senso e sullo scopo di quel “Processo”: nel tentativo di cavarne una qualche verità che, oltre la cronaca, possa valere a futura memoria.

Il Processo

di Luigi Cavallaro – Rubbettino

Lo spirito libero non è sicuro di avere ragione

Lo spirito libero non è sicuro di avere ragione

Il lumicino della ragione è un’immagine alla quale Norberto Bobbio ricorreva per spiegare le ragioni e i modi del suo «convinto laicismo», come lo definiva lui stesso. L’immagine, ripresa da Locke, ben si addice a illustrare un laicismo che trova il proprio centro in una concezione dello Stato che nel conflitto tra la religione e l’irreligione non prende posizione né per la credenza né per la miscredenza, lasciando che ognuno se ne vada per le strade che gli comanda la sua spiritualità. Sarà buona quella strada, o cattiva? Non sappiamo. Sappiamo soltanto che è la sua strada. E tanto basta per chi «ritiene che la verità abbia molte facce, e non vi sia alcun criterio oggettivo e assoluto per distinguere la verità dall’errore» (sono parole di Bobbio). In questo caso, spiegava, «l’unico rimedio è l’incontro o lo scontro delle opinioni, dei giudizi, delle idee, vale a dire una situazione che non può attuarsi senza libertà», a cominciare evidentemente dalla libertà di coscienza che proprio perciò è la pietra angolare del laicismo bobbiano. E dunque, contro l’oggettivismo morale, il relativismo etico. Contro i richiami di una fede obbediente, le esigenze di una volontà autonoma. E contro i privilegi del confessionalismo, le parificazioni dello Stato laico: pur con i toni conversevoli che testimoniavano la squisitezza dell’uomo, quello di Bobbio è un pensiero «contro» che perciò non sopporta contaminazioni spurie né troppo elastiche interpretazioni. E il saggio di Gaetano Pecora ne scruta ogni più riposta piega, non rinunciando nemmeno a segnalarne talune incertezze e oscillazioni, ma giunge un momento in cui gli sviluppi stessi dei presupposti bobbiani fanno scattare la molla di una ultima risoluzione che dice: «questo sì, questo no»; la tale idea è compatibile e può entrare nei territori della laicità; la talaltra è incongrua e deve restarne fuori. Per cui anche quando la ragione è tremula e vacillante, anche allora essa accende un cerchio di luce nel quale si vede ancora sufficientemente bene; almeno per quel tanto da distinguere, da separare e, se del caso, da contrapporre. Distinguere, separare, contrapporre: sono precisamente le virtù per le quali la lezione di Bobbio ha scavato un solco profondo nella memoria di tutti e ha tanto da insegnare ancora oggi.

Il lumicino della ragione

di Gaetano Pecora – Donzelli

iMagz