Nei n.14-15, 16-17, 18, 19-20, 21.22 e 24-25 di “Proposta Radicale” abbiamo pubblicato le prime sei parti della relazione del dottor Guido Salvini, consulente della seconda inchiesta parlamentare sul caso Moro. Una relazione praticamente inedita, leggendola se ne possono intuire i motivi. Un testo interessante con diverse novità in un tentativo per la prima volta di una ricostruzione tecnica che cerca di superare quello che si sapeva, senza essere dietrologica.
8. Conclusioni provvisorie sulle effettive presenze in via Fani
In conclusione, occorre ribadire che, dopo più di quarant’anni dalla primavera del 1978, non si conosce ancora l’identità di tutti coloro che hanno sparato in via Fani. Valerio Morucci, pur presentandosi come dissociato (e quasi come pentito sui generis) ha prodotto, come a voler «chiudere» il caso Moro, un memoriale incompleto e Mario Moretti ha fornito, nella sua intervista del 1993, un sostegno confermativo al suo racconto. Di certo non hanno sparato solo i quattro avieri.
Senza pretese di esattezza assoluta, ma in esito ad uno sforzo di ricerca basato, come si è esposto, su testimonianze, dati planimetrici e risultanze oggettive, può essere offerta la seguente ricostruzione. Possono aver agito, a copertura di Bonisoli anche uno o due soggetti (102) di cui i brigatisti non hanno mai voluto rivelare non solo il nome ma nemmeno l’esistenza, spostando su un altro militante ormai noto, Franco Bonisoli, una grande parte delle responsabilità di quanto accaduto nelle varie fasi della sparatoria (103). Vi era poi, con altissima probabilità, sul lato destro di via Fani un soggetto, sempre a copertura dei quattro avieri, che ha freddato con tre colpi alle spalle il brigadiere Francesco Zizzi. Del resto, questa soluzione tattica corrisponde ad un classico schema di fuoco incrociato che, in sede di organizzazione dell’agguato, il gruppo brigatista avrà certamente considerato, dato che è militarmente molto conosciuta, impiegata ed intuitivamente realizzabile.
Infine, vi erano, quantomeno con un ruolo di appoggio, due soggetti a bordo della moto Honda. Oltre ai dati esposti in questa relazione – che si basano in parte sul lavoro della Polizia Scientifica e sull’utilizzo delle nuove e più chiare risultanze planimetriche – anche elementi già presenti nelle indagini giudiziarie e nel lavoro della seconda Commissione Moro inducono a pervenire a tali conclusioni. Si pensi solo alle dichiarazioni della testimone Eufemia Evadini (104) che ha riferito di aver visto 7-8 soggetti impegnati a sparare sul lato sinistro, comunque ben più di 4 (105).
Da parte sua, come si è dianzi chiarito, Cristina Damiani ha dichiarato che dei numerosi (almeno sei) sparatori che aveva visto, alcuni non erano vestiti da avieri. Antonio Buttazzo, il coraggioso ex-poliziotto della Squadra Mobile che aveva inseguito con la sua vettura le macchine in fuga lungo tutta la via Trionfale, ha parlato, nell’immediatezza dei fatti, di quattro e non di tre brigatisti saliti sulla Fiat 132 sulla quale era stato caricato Moro. Buttazzo ha anche descritto subito i quattro occupanti della vettura, uno per uno, con una considerevole precisione (106) . Anche Paolo Pistolesi, l’edicolante all’epoca diciannovenne che si trovava in via Fani un poco più in basso rispetto a Cristina Damiani, sentito dalla seconda Commissione Moro il 14 settembre 2016, ha confermato che intorno alla Fiat 130 e all’Alfetta vi erano cinque sparatori in piedi più uno con un mitra e un passamontagna, quasi certamente Alvaro Loiacono, che teneva sotto controllo la via. Ha anche precisato di aver riferito già dal primo momento tale importante circostanza, ma che la Polizia giudiziaria – che lo aveva ascoltato già il 16 marzo 1978, probabilmente con le consuete modalità concitate – non aveva effettuato una verbalizzazione adeguata.
Certamente appare davvero difficile cancellare il racconto di questi testimoni (107).
Tra gli spunti che aprirebbero la riscoperta delle «piste perdute» vi è poi da considerare come molto probabile la presenza sul teatro dei fatti di Lauro Azzolini, che era componente del Comitato esecutivo al pari di Moretti e Bonisoli, e che ha svolto un ruolo importante nel processo decisionale e nelle scelte politiche prese dalle Brigate Rosse in quei 55 giorni. Figura centrale nella fase della prigionia del presidente della Democrazia Cristiana, Azzolini è stato del resto arrestato nell’ottobre 1978 in via Montenevoso a Milano ove si trovavano il memoriale e le lettere 0dell’onorevole Moro.
Nelle dichiarazioni di Patrizio Peci (108) si ha conferma della presenza di Azzolini e c’è anche un accenno al suo ruolo nelle dichiarazioni rese in dibattimento dal pentito Alfredo Buonavita (109) il quale, testimoniando in aula, disse che Azzolini prima dell’azione si era fermato «a bere un cognacchino», piccola annotazione questa difficilmente suscettibile di ricondursi a frutto di immaginazione. Poi nel testo integrale dell’intervista rilasciata alle giornaliste Mosca e Rossanda, Mario Moretti si è lasciato sfuggire – ma nessuno ha mostrato di accorgersene – che Azzolini era addirittura tra gli «avieri» (110) o comunque presente all’azione. È difficile che un uomo attento come Moretti, al vertice insieme con Azzolini delle Brigate Rosse, si sbagli o parli a vuoto. Forse in quel momento confidava in modo particolare sulla scelta, poi effettivamente compiuta, delle interlocutrici di non riportare comunque nel libro tutto quanto aveva loro raccontato.
La figura di Lauro Azzolini è poi compatibile con il giovane con i capelli neri corti visto dalla Stocco alla guida del furgone in via Bitossi che la teste indica con qualche rassomiglianza con l’attore Alain Delon (111). Del resto, Azzolini si era sempre impegnato nel settore logistico-operativo ed è quindi in linea con i suoi compiti che egli si sia occupato del recupero delle armi lunghe (112). Ma al di là di presenze come quella di Azzolini, vi sono forse tra gli attori di via Fani rimasti sconosciuti, identità imbarazzanti, non dicibili e tali da mutare in parte il segno e la matrice dell’intera operazione del 16 marzo.
Questo velo di silenzio, non spiegato e non spiegabile, è probabilmente solo una parte e un riflesso di quanto avvenuto nella fase finale della prigionia e poi nel giorno dell’uccisione dell’onorevole Moro. La convulsa fase finale della vicenda è percorsa ancor più da elementi di non detto e da dubbi su presenze e interferenze estranee allo stretto nucleo brigatista; e ciò con particolare riguardo alla discussione sulla possibile liberazione dell’ostaggio.
9. La possibile interferenza della criminalità organizzata e di altri soggetti negli accadimenti che hanno segnato i 55 giorni del sequestro Moro
Gli elementi relativi alla possibile interferenza, nella vicenda Moro, della criminalità organizzata e, in ipotesi, di altri soggetti e centri di influenza esterni ai nuclei delle Brigate Rosse sono sparsi negli atti di indagine e soprattutto nel lavoro delle due Commissioni parlamentari che hanno esaminato la vicenda in senso compiuto. Ci si limiterà, in quest’ultima parte della relazione, alle poche annotazioni rientranti nel perimetro della materia di pubblico interesse della Commissione e comunque risultanti dal lavoro svolto nel corso della XVIII Legislatura. Infatti, in esecuzione delle deleghe conferite e degli atti compiuti ed acquisiti, era già stata sufficientemente sviluppata la ricostruzione dell’agguato di via Fani: esso naturalmente costituiva la premessa da cui sarebbero potuti seguire gli approfondimenti relativi alle possibili interferenze criminali in senso largo. Tali supplementi di indagine, pur centrali per i compiti della Commissione, hanno dovuto essere interrotti per l’improvvisa chiusura della legislatura.
Innanzitutto, molto interessanti indicazioni sulle possibili interferenze di soggetti estranei alle Brigate Rosse sulla preparazione dell’azione di via Fani e poi sulle ultime ore di vita di Aldo Moro, provengono da una fonte acquisita, a seguito di autonoma attività di Polizia giudiziaria, durante i lavori della seconda Commissione Moro. Si tratta di una fonte denominata «Contessa», residente a Roma, di professione giornalista e scrittore, dedicatosi in prevalenza a temi di storia contemporanea.
Questa la sua storia e le notizie che ha fornito con riferimento solo alle principali circostanze che possono riguardare la presente relazione, senza però che si possano indicare puntualmente tutti i nomi dei soggetti coinvolti (113):
– la persona in questione aveva simpatizzato in gioventù per Potere operaio ed era stato amico e compagno di scuola di Alvaro Loiacono, in seguito coinvolto nell’operazione brigatista compiuta in via Fani. La fonte «Contessa» aveva mantenuto rapporti con personaggi di rilievo di tale area, tra cui, in particolare, Oreste Scalzone, Daniele Pifano e Lucio Castellano, quest’ultimo attivo nella rivista Metropoli;
– in seguito, anche in ragione dei suoi frequenti soggiorni all’estero per ragioni di studio e di lavoro, in particolare in Francia, aveva svolto attività di ricerca informativa per conto di agenzie di intelligence straniere;
– in tale contesto, aveva appreso che Franco Piperno, nel 1978, poche settimane prima del sequestro del presidente Moro, aveva effettuato un viaggio negli Stati Uniti (114) e aveva esteso i suoi contatti in Canada, a Toronto, ove risiedono elementi originari delle famiglie Nirta e Delfino di Rende nel cosentino. Gli era stato quindi fornito un contatto per reclutare un professionista che doveva partecipare all’azione di fuoco (115);
– il penultimo luogo di detenzione dell’onorevole Moro sarebbe stato un locale situato nel ghetto ebraico in via dei Falegnami 63 – Via Sant’Elena 8 (116), collocato sopra un negozio – magazzino di tessuti. Il locale era stato affittato a due soggetti, individuati in una coppia già emersa in passato per la vicinanza alle Brigate Rosse (117) e frequentata da un terzo soggetto, loro amico, anch’esso individuato, emerso durante le indagini sul materiale sequestrato il 18 aprile 1978 nel covo di via Gradoli. Infatti, nel covo era stata rinvenuta e sequestrata la chiave della sua vettura, una Jaguar. Il negozio di tessuti era di proprietà di due fratelli, di famiglia ebraica, pure identificati, ed il loro magazzino comunicava con il predetto locale;
– Adriana Faranda durante il sequestro Moro avrebbe avuto la disponibilità di un luogo sicuro, una villa a Trevignano sul lago di Bracciano (118);
– poco prima di essere ucciso Moro sarebbe stato condotto in un locale–autorimessa, sito vicinissimo a via dei Falegnami, in via del Governo Vecchio e lì assassinato nelle prime ore del 9 maggio (119). È necessario ricordare che un possibile riscontro fattuale o comunque un elemento di significativa assonanza (120) con tali acquisizioni discenderebbe dagli esiti della perizia merceologica effettuata su disposizione dall’autorità giudiziaria nel corso delle indagini dal professor Valerio Giacomini e dal professor Gianni Lombardi, che ha riguardato anche il materiale rinvenuto sulle scarpe della vittima e sulla autovettura Renault 4, all’interno della quale il corpo fu ritrovato.
Si legge, infatti, nella perizia che sulla suola delle scarpe di Moro erano presenti numerose strutture filamentose di varia natura in particolare provenienti da fibre e frammenti tessili. Inoltre, e soprattutto, altre fibre filamentose sono state trovate all’interno della Renault 4 anche sul pianale e sui pneumatici della vettura; si tratta di un possibile elemento indicativo che la stessa automobile possa aver sostato in un luogo ove tali fibre erano presenti in abbondanza (121).
Si potrebbe ricordare anche quella che appare qualcosa di più di una singolare coincidenza. In un servizio pubblicato il 17 dicembre 2015 da «Il Fatto Quotidiano» in occasione della scomparsa di Licio Gelli, risaltava un articolo in cui, riportando una precedente intervista rilasciata dal capo della P2, questi faceva riferimento all’importanza di via del Governo Vecchio nella vicenda Moro. Infatti, in quella via «in un garage – affermava Gelli – all’angolo con via del Corallo, abbiamo messo Moro la notte prima di farlo ritrovare ucciso in via Caetani».
È vero che Licio Gelli di per sé non è una fonte attendibile ed era proclive ad incrementare il disordine informativo ed a generare piani di depistaggio su molti fatti che hanno segnato la vita pubblica del Paese. Ma, nel contempo, quello che egli afferma nelle più diverse circostanze non è mai casuale ed integra un messaggio diretto a qualcuno che possa in ipotesi interpretarlo. In questo caso, quanto affermato nell’intervista potrebbe provenire da qualche informazione ottenuta dall’interno del Comitato che si occupava della liberazione di Moro. Ne facevano parte, come noto, molti piduisti. Quindi, non si può non notare la convergenza di riferimenti a Via del Governo Vecchio come una delle vie indicata da più parti come rilevante nello scenario degli ultimi giorni di gestione del sequestro. Ma, oltre a tali circostanze, in relazione alle ultime ore di vita di Moro, meriterebbe un accenno anche un’autonoma attività di ricerca condotta dal giornalista Paolo Cucchiarelli, studioso del caso Moro.
La relazione sia balistica sia medico-legale elaborata in tale ambito dal dottor Gianluca Bordin e dal dottor Alberto Bellocco (122) si basa sull’esame dei reperti dei colpi che hanno raggiunto Moro, sull’esame autoptico esteso anche agli abiti indossati dal presidente Moro, nonché sulle tracce che provengono dalla Renault 4. Si perviene a risultati di un qualche interesse. Se ne potrebbe desumere che l’onorevole Moro non sia stato attinto soltanto mentre era rannicchiato nel bagagliaio dell’auto, ma prima, da un maggior numero di colpi, mentre si trovava in piedi o a cavalcioni del pianale posteriore della vettura (123). Solo in seguito, il presidente Moro sarebbe stato raggiunto da altri colpi, nel bagagliaio, ma comunque con diverse sequenze e probabilmente in luoghi diversi.
Tale conclusione suggerisce che Moro non sia stato ucciso nell’angusto box di via Montalcini, ma in un luogo diverso e a breve distanza dal punto del ritrovamento; appare congruo ipotizzare appunto la zona del Ghetto ebraico.
Tornando alla fonte «Contessa», un colloquio preliminare avvenuto in limine della chiusura dell’attività della seconda Commissione Moro con uno dei due fratelli titolari del negozio di tessuti (124), esercizio peraltro ancora esistente, ha consentito di verificare che tutti i dati, anche di dettaglio, forniti dalla fonte «Contessa» risultano esatti. In particolare, sono corretti e validati i riferimenti al loro stile di vita (125), alle conoscenze che avevano nel quartiere – tra cui un giornalista legato al Mossad (126) – così come ha trovato conferma anche la loro conoscenza del soggetto di cui in via Gradoli erano state trovate le chiavi della vettura di proprietà. Uno dei due fratelli, come dallo stesso riferito, aveva altresì conosciuto Franco Piperno.
In tale colloquio preliminare con uno dei fratelli, non era stato ancora direttamente affrontato il fatto che egli avesse potuto avere conoscenze (o finanche sospetti) circa la presenza di Moro nel palazzo di via dei Falegnami – via Sant’Elena, ove è situato ancora oggi il negozio. Purtroppo, questa persona poco tempo dopo il colloquio di cui qui si è dato conto, è deceduto.
Inoltre, in ragione delle difficoltà di salute della fonte, nonché dello spirare della XVII Legislatura repubblicana, non è stato possibile approfondire in modo adeguato le importanti indicazioni che cominciavano ad emergere. Infatti, anche la persona qui ribattezzata fonte «Contessa», poco dopo la chiusura dei lavori della Seconda Commissione Moro, è deceduta. Vi è comunque da chiedersi, sul piano logico, come sia possibile che la fonte «Contessa» conoscesse tanti particolari, persino minuti particolari di vita, in merito ad un negozio, ai suoi proprietari, a un luogo e a persone del tutto lontane dal proprio ambiente e sostanzialmente insignificanti, se in qualche modo non fossero stati connessi ad un evento così grave.
Va a questo punto dato conto di una testimonianza, dimenticata: quella di Fulvia Miglietta. Costei proveniva dal mondo cattolico impegnato nel sociale e per lei, figura del tutto particolare nel panorama dei condannati per terrorismo, la militanza nelle Brigate Rosse è stata una sorta di parentesi. Entrata a far parte della colonna genovese nel 1976, si era occupata del settore logistico e cioè in primo luogo dell’affitto di appartamenti, essendo incensurata e sconosciuta alle forze dell’ordine. È stata poi arrestata nel 1980 e, dopo circa un anno di detenzione, ha ripreso la via della fede e del rifiuto della violenza. Ha quindi ripercorso dinanzi ai magistrati la propria esperienza nelle Brigate Rosse e quindi usufruito dei benefici premiali derivanti dalla dissociazione.
Dunque, Fulvia Miglietta, in un interrogatorio reso al Pubblico Ministero di Genova dr. Luigi Carli (127), aveva dichiarato che, in occasione di una riunione che si era svolta a Roma, aveva sentito dire da Riccardo Dura che l’onorevole Moro era stato tenuto in ostaggio in un appartamento nei pressi di via Caetani. Può escludersi che quanto riferito da Fulvia Miglietta non corrisponda al vero. Questo sia in ragione del fatto che all’epoca ella aveva un legame sentimentale con Dura, sia alla luce della successiva sua profonda crisi di carattere morale e religioso che, di per sé, appare incompatibile con ricostruzioni artefatte.
È questo quindi un elemento indiziario a riscontro, che porta a ritenere che quanto rivelato dalla fonte «Contessa» corrisponda effettivamente allo scenario degli ultimi giorni o delle ultime ore di vita dell’onorevole Aldo Moro.
Un consulente di questa Commissione inquirente ha quindi ascoltato, in sede di attività delegata, in data 4 aprile 2022, Fulvia Miglietta. In tale sede, la testimone ha spiegato di essersi dedicata da molti anni, dopo la sua scarcerazione, esclusivamente ad attività religiose e di volontariato e di aver, proprio con questa scelta di vita, voluto cancellare dalla propria memoria quanto avvenuto in quella parentesi di vita in cui era stata militante nella colonna genovese delle Brigate Rosse. Ha tuttavia confermato che quanto aveva riferito all’epoca, nel 1982, era stato dichiarato in piena sincerità.
La Commissione, il 24 febbraio 2022, ha quindi proceduto all’audizione di Maurizio Abbatino, già esponente di rilievo della banda della Magliana e divenuto collaboratore di giustizia a partire dalla sua estradizione dal Venezuela nel 1992.
Maurizio Abbatino ha riferito che era pervenuta alla banda della Magliana una richiesta di Raffaele Cutolo – il tramite sarebbe stato Nicolino Selis (128) che era detenuto con lui e aveva usufruito di una licenza – di interessarsi del sequestro dell’onorevole Moro. Era stato quindi stabilito un contatto con l’onorevole Flaminio Piccoli.
Abbatino avrebbe assistito a distanza all’incontro che si sarebbe svolto tra l’esponente democristiano e Franco Giuseppucci, uno dei fondatori della banda della Magliana (129). I due si sarebbero incontrati in un punto di passeggio lungo il Tevere; l’onorevole Piccoli sarebbe giunto all’appuntamento con la propria autovettura con autista e Abbatino sarebbe rimasto ad una certa distanza per controllare la sicurezza della zona. Al termine dell’incontro, Abbatino avrebbe saputo che il compito del gruppo criminale romano sarebbe stato quello di individuare il luogo ove l’onorevole Moro fosse tenuto in ostaggio, ma avrebbe manifestato a Giuseppucci il proprio disinteresse per una collaborazione di quel tipo. Questi però gli avrebbe fatto presente che: «se riusciamo a fare una cosa del genere ci possiamo dimenticare di andare in carcere».
Giuseppucci, sempre stando alle dichiarazioni di Maurizio Abbatino, avrebbe poi individuato l’appartamento che si trovava in via Montalcini, in zona Portuense. Era del resto una zona «controllata» dalla banda della Magliana, anche perché in quell’area si trovava un residence che sarebbe stato più volte utilizzato per ospitare momentaneamente dei latitanti. Il covo si trovava esattamente in un complesso residenziale con quattro palazzine, all’epoca moderne, rialzate rispetto alla strada e con un giardino intorno (130). L’informazione sarebbe stata quindi passata a Nicolino Selis che l’avrebbe a sua volta girata a Raffaele Cutolo, il quale verosimilmente avrebbe informato l’on. Flaminio Piccoli.
È stato così pienamente confermato quanto dichiarato da Raffaele Cutolo nell’audizione resa nel 2015 dinanzi alla seconda Commissione Moro, nel corso della quale il capo camorrista ha affermato di aver offerto la propria disponibilità per contribuire alla liberazione dell’onorevole Moro e di aver ottenuto una informazione importante sul luogo ove si trovava lo statista rapito; un’informazione, tuttavia, che non sarebbe stata raccolta o comunque sfruttata.
Si è quindi trattato di un’iniziativa sostanzialmente analoga e parallela a quella che aveva visto il deputato democristiano Benito Cazora entrare in contatto, tramite intermediari, con l’elemento della ‘ndrangheta Salvatore «Rocco» Varone. Questi aveva garantito l’intervento della sua famiglia a patto di «regolarizzare» la propria posizione giudiziaria. Effettivamente, gli uomini di Varone avevano poi mostrato all’onorevole Cazora la zona di via Gradoli sulla via Cassia, ove si trovava una base delle Brigate Rosse. Ma la polizia aveva risposto a Cazora che tale via era già stata battuta palmo a palmo, vanificando così i possibili effetti di svolta sulla vicenda dell’informazione ricevuta (131). Si ricordi anche la telefonata intercorsa il 1 maggio 1978, alle ore 20.14, tra l’onorevole Cazora e Sereno Freato; tale telefonata conferma i contatti che erano in corso tra quest’ultimo e i calabresi e fa riferimento ad una contropartita richiesta da tali esponenti della criminalità calabrese (132). Di seguito, il testo di questa telefonata intercettata:
Cazora: Mi servono le foto del 16 marzo…
Freato: quelle del posto lì?
Cazora: Sì perché loro (nastro parzialmente cancellato) perché uno sta proprio lì, mi è stato comunicato da giù.
Freato: E che non ci sono… ah le foto di quelli di quelli, dei nove…
Cazora: No, no! Dalla Calabria mi hanno telefonato per avvertire che in una di quelle foto prese sul posto quella mattina lì, si individua un personaggio noto a loro.
Anche la testimonianza di Giovanni Pedroni, medico della struttura occulta denominata «l’Anello», una sorta di servizio segreto non ufficiale, la cui operatività è emersa durante le indagini sull’eversione di destra condotte negli anni ‘90 e facente capo ad Adalberto Titta, già ufficiale della RSI, ha confermato che, intorno al sequestro dell’onorevole Moro, vi era stato il coinvolgimento di Raffaele Cutolo. Inoltre, ha affermato che la sua organizzazione aveva ottenuto, indirettamente, notizie importanti in merito al luogo ove Moro era custodito e infine che tali informazioni consentivano di intervenire e liberarlo.
In particolare, Giovanni Pedroni ha dichiarato di aver saputo da Titta, in seguito adoperatosi con successo per la liberazione di Ciro Cirillo, che «l’Anello» era pronto ad intervenire per liberare Moro, in parallelo, peraltro, con altra iniziativa posta in essere dal Vaticano che comportava il pagamento di un riscatto, ma che tutto si era bloccato per una decisione politica. Titta era molto amareggiato e gli aveva detto: «Moro vivo non serve più a nessuno».
7) Continua
NOTE
102 Due persone, secondo la testimonianza di Alessandro Marini.
103 Non è peraltro escluso che lo sparatore sconosciuto, collocato nella parte alta di via Fani si sia allontanato a bordo della motocicletta Honda, posto che Cristina Damiani non lo ha visto attraversare la strada e unirsi agli altri brigatisti che si trovavano intorno all’autovettura del presidente Moro.
104 Collocata in una posizione ottimale proprio dinanzi al bar Olivetti. Cfr., in tal senso le dichiarazioni rese da tale testimone oculare in data 22 marzo 1978.
105 Cfr. in tal senso le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria operante, in data 22 marzo 1978 e dinanzi al Giudice Istruttore in data 9 febbraio 1979.
106 Cfr. la deposizione di Antonio Buttazzo resa il 17 marzo 1978 al personale della Squadra Mobile di Roma e il 24 maggio 1978 al Giudice Istruttore di Roma. Anche l’agente di Polizia Giovanni Intrevado, in quel momento fuori servizio e testimone oculare in via Fani, ha confermato nel corso della deposizione del 6 ottobre 1978, che i terroristi saliti sulla Fiat 132 con l’onorevole Moro erano probabilmente quattro smentendo così tanto Morucci che Moretti i quali hanno parlato di tre soli brigatisti. Del resto, è logico che oltre all’autista e al brigatista al suo fianco sul sedile anteriore vi fossero sul sedile posteriore due brigatisti per bloccare ogni possibile tentativo di fuga o reazione del prigioniero.
107 Si aggiunga che il testimone Pietro Lalli ha descritto nell’immediatezza dei fatti un soggetto che sparava all’incrocio tra via Stresa e via Fani con un mitra corredato di caricatore tipico di quelli a doppia alimentazione; questo individuo sparava inoltre tenendo la mano sinistra sul vivo di volata cioè sulla canna, con grande determinazione e aveva mostrato tale padronanza del fuoco anche quando aveva fatto un salto all’indietro per allargare il raggio di azione e fare fuoco, oltre che contro la Fiat 130, anche contro l’Alfetta (cfr. le dichiarazioni rese in data 16 marzo 1978 dinanzi ai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma). Nel corso della recente audizione dinanzi ad un consulente di questa Commissione svoltasi sulla base di esercizio di apposita delega nell’estate del 2022, il testimone ha potuto anche esaminare la planimetria. Lalli, in particolare, ha descritto tale soggetto con maggior precisione chiarendo come questi indossasse un abito del classico colore blu degli avieri e precisando che, durante la sparatoria, gli era caduto un berretto blu con visiera riconducibile anch’esso a tale divisa. Il dato dissonante è certamente che Valerio Morucci non ha mai parlato di aver usato un’arma del genere, cioè a doppia alimentazione. Il soggetto visto da Lalli, comunque vestito da aviere è quindi solo in parte sovrapponibile e coincidente con la figura di Morucci. Resta quindi qualche incertezza in merito alla possibile esistenza di un altro soggetto che avrebbe iniziato, peraltro con estrema decisione, l’attacco contro le due vetture. Ad esempio, un aviere in più sul lato sinistro e cioè uno di quelli, certamente più di quattro, notati dai testimoni Damiani ed Evadini, il cui apporto dichiarativo si è già avuto modo di analizzare nel corpo del testo.
108 Interrogatorio dinanzi la Corte d’assise di Roma nel processo Moro 1 udienza 15 giugno 1982.
109 Interrogatorio dinanzi la Corte d’assise di Roma nel processo Moro 1 udienza 13 ottobre 1982.
110 Cfr. Sergio Flamigni Delitto Moro, la grande menzogna, cit, pp. 111 – 117 ove è riportata la trascrizione integrale dell’intervista in cui Moretti indica la presenza di Azzolini.
111 Il paragone è assai calzante con le fotografie giovanili di Lauro Azzolini. Non a caso, Patrizio Peci, nella sua autobiografia «Io, l’infame», ed. Mondadori, 1983, descrive Azzolini come un giovane elegante e brillante. È da aggiungere che il testimone Giovanni Strambone, sentito già il 18 marzo 1978 dalla DIGOS di Roma, ha riconosciuto Azzolini nel giovane che insieme ad una ragazza, mostrandosi in atteggiamento intimo di coppia, si trovava in via Fani circa un’ora e mezzo prima della strage; egli era stato visto presso la stessa via anche nei due giorni precedenti.
112 Si ricordi ancora che il furgoncino chiaro fu visto dalla testimone Anna Lia Destito Valentini (dichiarazioni rese il 16 marzo 1978 e il 4 novembre 1978) aggirarsi «verso le ore 8.50 all’angolo tra via Stresa e via Sangemini», quando vi erano già gli avieri in circolazione sul posto. Come già si è accennato nel testo, tale vettura può aver avuto il compito di consegnare a questi ultimi le borse con le armi e il giovane con il viso affilato che ne era alla guida è ancora una volta compatibile con Lauro Azzolini. Questi quindi, alla guida del medesimo furgoncino poi spostatosi in via Bitossi, può essersi occupato sia di consegnare sia di ritirare la dotazione di armi lunghe utilizzate quel giorno.
113 Con riferimento all’impiego di un nome di comodo per indicare tale fonte di informazioni, la Commissione ha ritenuto che tale scelta non integri la violazione del divieto, fissato dal Regolamento interno del collegio inquirente, di fondare il testo e le risultanze pubblicate con le Relazioni su esposti o dichiarazioni di anonimi. Tale decisione si fonda sul rilievo che la fonte «Contessa» è stata ampiamente presa in considerazione da altre Commissioni di inchiesta del Parlamento e, a prescindere dall’attendibilità delle informazioni rivenienti dalla stessa fonte, esse non sono state acquisite in via primaria da questo collegio inquirente, ma solo prese in considerazione per valutare la fondatezza di conclusioni cui si è autonomamente giunti.
114 Ove asseritamente avrebbe avuto anche contatti con uomini dell’intelligence di quel Paese.
115 Il viaggio di Franco Piperno in quel periodo negli Stati Uniti ha trovato conferma nelle acquisizioni documentali effettuate dalla seconda Commissione Moro presso l’archivio dell’AISE. , puntata del 21 febbraio 1990.
116 Si tratta dello stabile d’angolo tra le due vie; per questo l’indirizzo risulta composto dai nomi di entrambi le strade.
117 Uno dei componenti della coppia è indicato come possibile custode di armi nell’appartamento ed allo stesso sarebbe riferibile un volantino della Brigate Rosse rinvenuto nel vicinissimo sottopasso di via Argentina durante i giorni in cui l’onorevole Moro fu tenuto sequestrato.
118 Tale possibilità è stata positivamente verificata. Ma soprattutto l’indicazione coincide con quanto contenuto nelle informative redatte nell’ottobre e nel dicembre 1978 dal capocentro del SISMI a Roma, generale. Demetrio Cogliandro, a seguito di notizie provenienti probabilmente dall’intelligence israeliana. In tali informative, era infatti riferito che a Trevignano si era spostata anche la coppia di simpatizzanti delle Brigate Rosse abitante in via Sant’Elena 8, sopra il negozio di tessuti. Le notizie in merito alla centralità nella vicenda del sequestro del presidente Moro di via Sant’Elena 8 e di chi vi abitava, provengono quindi da due fonti diverse ed autonome: la fonte «Contessa» e la fonte che aveva riferito nel lontano 1978 queste ed altre informazioni all’ufficio del generale Cogliandro.
119 Notizie che trovano riscontro in una informazione confidenziale fornita in precedenza allo stesso ufficiale di Polizia giudiziaria dallo scomparso professor Giuseppe De Lutiis, studioso della storia e dell’azione delle Brigate Rosse. La struttura edilizia indicata, appartenente al demanio pubblico, è stata individuata e risulta pienamente compatibile con la sosta riparata di una autovettura.
120 Va precisato che oggi non è più possibile effettuare una più specifica perizia merceologica che possa fornire ulteriori indicazioni circa i luoghi in cui il presidente Moro fu condotto durante le varie fasi della gestione del suo sequestro.
121 Inoltre, la quantità e il posizionamento delle fibre indicherebbe che esse erano state «raccolte» dagli pneumatici della vettura in un luogo poco distante da via Caetani; potrebbe invero trattarsi appunto di via dei Falegnami.
122 Acquisita ma non valutata appieno della seconda Commissione Moro. Si veda per una esposizione dei contenuti di questo documento, Paolo Cucchiarelli, “L’ultima notte di Aldo Moro”,
123 Come si desume, ad esempio, dal punto del ritrovamento di alcuni bossoli, nella parte anteriore della Renault 4, e dalle linee di colatura del sangue. Tali conclusioni sono del resto in parte condivise anche dalla perizia del RIS Carabinieri redatta per la seconda Commissione Moro.
124 Tra i due fratelli si parla qui di quello che sarebbe stato maggiormente a conoscenza dei fatti.
125 Erano patrimonio di conoscenza anche altri particolari del tutto secondari, quali il fatto che uno dei due proprietari del negozio avesse avuto, in passato, piccoli precedenti penali per consumo di sostanze stupefacenti.
126 Costui, ancorché qui non si indichi il nominativo per comprensibili ragioni, è stato poi identificato, ha vissuto a lungo negli Stati Uniti e ha sposato una cittadina americana.
127 Si veda, al riguardo, l’audizione del dottor. Luigi Carli, già in servizio presso la Procura di Genova, dinanzi alla seconda Commissione Moro, svoltasi in data 18 giugno 2017.
128 Si tratta del luogotenente di Raffaele Cutolo sulla piazza romana.
129 Franco Giuseppucci è stato ucciso il 13 settembre 1980 da uomini del clan Proietti.
130 Sul punto, cfr. p.8 della trascrizione.
131 L’intervento dei calabresi nella complessa storia del sequestro è stato confermato da Vincenzo Vinciguerra, esponente di Ordine Nuovo responsabile dell’attentato di Peteano. Questi lo aveva appreso da Antonio Varone, fratello di Rocco, con il quale si trovava detenuto a Volterra. Secondo Vinciguerra, ad un certo punto della trattativa, Rocco Varone sarebbe stato convocato a Pomezia nella villa di Frank Coppola il quale gli aveva intimato di «Non proseguire con le ricerche perché quell’uomo – e cioè Moro, n.d.r. – deve morire». Si veda l’interrogatorio di Vincenzo Vinciguerra dinanzi al Giudice Istruttore di Milano dottor Guido Salvini il 27 marzo 1992, nell’ambito dell’istruttoria sull’eversione di destra.
132 Questo anche senza voler dare alcun credito alla fotografia pubblicata da «Il Messaggero», con la quale si vorrebbe individuare il calabrese Antonio Nirta mentre dopo l’agguato «curiosa» in via Fani, fumando addirittura in piedi su un muretto. Infatti, la fotografia, meglio confrontata con i video girati quella mattina nella via e con le persone che vi appaiono, semplicemente ritrae un giovane residente nella zona. Si veda il contributo del collettivo Sedicidimarzo: «Nuove immagini del presunto Nirta in via Fani», pubblicato il 9 dicembre 2020.





Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo offrirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser e svolgono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web ritieni più interessanti e utili.
I cookie strettamente necessari dovrebbero essere abilitati in ogni momento in modo che possiamo salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.
Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.
More information about our Cookie Policy