Nel n.14-15 di “Proposta Radicale” abbiamo pubblicato la prima parte della relazione del dottor. Guido Salvini sulla vicenda Moro, consulente della seconda inchiesta parlamentare. È una relazione praticamente inedita, se ne è parlato pochissimo; leggendola, se ne possono intuire i motivi. È un testo interessante con diverse novità in un tentativo per la prima volta di una ricostruzione tecnica che cerca di superare quello che si sapeva senza essere dietrologica. Di seguito la seconda parte.
Nell’immediatezza dei fatti la testimone oculare Cristina Damiani(24) che la relazione della Polizia scientifica non considera e aveva riferito di aver potuto osservare la presenza di uno o più sparatori nella parte alta di via Fani alla destra di Bonisoli. Cristina Damiani, sentita 26 marzo 1978 dagli operanti e poi il 17 maggio 1978 dal Giudice Istruttore, aveva infatti dichiarato che, mentre stava percorrendo a piedi via Fani verso via Trionfale aveva sentito “distintamente” alle sue spalle “una leggera frenata seguita da un rumore come di tamponamento e quindi un colpo isolato di arma da fuoco(25)”. Istintivamente si era abbassata ed in quel momento aveva inteso “una raffica di colpi di tonalità diversa a cui si sovrapposero altre raffiche ripetute”. Dal suo punto di osservazione, peraltro ottimale(26), era stata in grado di distinguere “le tre macchine in fila” coinvolte nell’incidente e “una canna di arma da fuoco lunga circa 30 centimetri spuntare da dietro una vettura parcheggiata davanti al bar Olivetti(27)”. La testimone ha aggiunto che la canna spuntava da un’altezza leggermente superiore a quella della metà della vettura e che da essa, in direzione delle auto ferme, uscivano delle vampate di fuoco. Aveva poi visto cadere l’agente Iozzino.
La giovane ragazza, che, come anche in seguito si vedrà, appariva sin da subito una testimone molto attenta e precisa, nella testimonianza resa il successivo 17 maggio 1978 dinanzi al Giudice Istruttore ha ribadito di aver sentito, uscendo da casa in via Fani 94, un colpo isolato dopo il rumore di frenata e di tamponamento, poi erano seguite le raffiche. Aveva poi visto l’arma che sparava al di là dell’auto in sosta sul lato del bar Olivetti(28) in particolare “la canna fuoriuscire dalla sagoma dell’auto” e aveva tenuto a lungo lo sguardo su quella scena. Sul lato sinistro di via Fani Cristina Damiani aveva visto, come ripetuto in entrambe le deposizioni, sei persone impegnate nella sparatoria, non tutte con la divisa di colore azzurro. Un’affermazione questa molto rilevante perché attesta la presenza di almeno un tiratore non-aviere in più che sparava in quella parte della via.
La Commissione ha ritenuto necessario risentire in modo dettagliato Cristina Damiani, uno dei pochi testimoni oculari ancora reperibili, in ragione dell’estrema importanza delle dichiarazioni da lei rese nella fase iniziale delle indagini e della possibilità di poterle mostrare per la prima volta una planimetria del luogo ove sono avvenuti i fatti con tutti riferimenti ben visibili graficamente. In data 11 maggio 2022 Cristina Damiani, nel corso di una lunga audizione in occasione della quale ha potuto esaminare la planimetria, ha quindi riferito:
– di essere uscita per andare a scuola poco dopo le 9:00 dal cancello della sua abitazione di via Fani 94 (lato destro) e, dopo aver percorso pochi passi a sinistra(29), di aver sentito uno stridio di freni, poi il rumore di alcuni spari e poi le raffiche;
– si era subito riparata dietro una vettura in sosta sul lato destro di via Fani e attraverso i vetri di questa aveva visto nitidamente spuntare da una vettura, una utilitaria(30), parcheggiata sul lato opposto una canna di mitra piuttosto corta da cui usciva il fuoco dei colpi. La canna si trovava a metà altezza tra il cofano e il tettuccio. Lo sparatore si trovava proprio dietro la vettura perché ella era riuscita a vedere solo la canna e nemmeno il braccio o altre parti del suo corpo(31) ;
– aveva comunque anche notato poco dopo, alla sua destra, le autovetture bloccate in via Fani e aveva avuto la netta percezione che l’agente caduto nei pressi dell’ultima di esse fosse stato colpito, cadendo all’indietro, proprio dal fuoco di quel mitra(32);
– la testimone ha poi fornito una precisazione molto importante. Ha ricordato infatti, ed esattamente, che l’agente che aveva visto cadere non era l’autista della vettura ma un agente che “stava dietro(33)” e che era sceso per “difendersi da una situazione che veniva da davanti… non aspettandosi che ci fosse qualcuno dietro”, cioè nel punto di fuoco dietro la vettura che la testimone aveva potuto subito osservare;
– era poi in grado di escludere con certezza che colui che aveva sparato dietro la vettura in sosta avesse attraversato la strada per unirsi alle altre persone che si trovavano intorno alle vetture ferme più in basso. Infatti, dato che aveva continuato a mantenere l’attenzione sulla scena se ciò fosse avvenuto lo avrebbe sicuramente visto, avrebbe registrato la circostanza e invece non era stato così (34). Lo sparatore sconosciuto si era quindi “dileguato autonomamente” rispetto agli altri aggressori che si trovavano nella parte più bassa di via Fani;
– costoro erano non meno di sei e non tutti vestiti da avieri;
– al termine della sparatoria si era spostata verso la parte bassa di via Fani ove vi erano le vetture colpite e, nella confusione, aveva visto che uno degli agenti si muoveva, era ancora vivo.
Nel corso dell’audizione la testimone ha collocato con precisione, utilizzando la planimetria e le fotografie della zona allegate, sé stessa e il soggetto che aveva visto nei punti in cui si erano trovati e ha precisato le distanze che intercorrevano tra i vari punti da lei citati. Resta così confermato e precisato, anche a distanza di tanti anni, il racconto fornito dalla testimone nel corso delle prime indagini. Di particolare importanza è il fatto che l’agente Iozzino ha tentato di difendersi da qualcuno che stava davanti a lui e che sia è stato invece colpito, inaspettatamente, da un altro punto di fuoco che si trovava in diagonale alla sua sinistra e che chi agiva da tale punto di fuoco dietro la vettura fosse “estraneo” al restante gruppo degli sparatori e si sia allontanato autonomamente. Vi è solo da aggiungere in conclusione che Cristina Damiani è una testimone di altissima attendibilità. Infatti, la Damiani, giovane studentessa all’epoca dei fatti, non si è spaventata e ha cercato di vedere e seguire quello che stava avvenendo. Inoltre, svolge la professione di architetto e ha piena confidenza con le planimetrie e con la collocazione degli oggetti nello spazio, ed è quindi perfettamente in grado, e lo ha dimostrato nel corso dell’audizione, di collocare sé stessa e le persone e le situazioni che aveva visto in una precisa posizione. Il racconto di Cristina Damiani corrisponde peraltro sostanzialmente con quello di Antonio Marini.
Antonio Marini lo stesso 16 marzo 1978 ha infatti dichiarato a personale della Digos: “al contempo dalla terza macchina è disceso dalla parte posteriore destra un individuo giovane, con in mano una pistola (NdA Iozzino). Credo che si accingesse a sparare o comunque ad agire, ma improvvisamente è stato freddato dai colpi di mitra esplosi da altri due individui che sono sbucati tra due autovetture parcheggiate circa 10-15 metri oltre i quattro individui dal lato opposto a quello dove si trovavano le tre autovetture”.
D’altronde Franco Bonisoli non ha mai parlato di spostamenti in salita e in discesa in via Fani né di aver sparato nascosto dietro una vettura e sembra difficile che, a fronte dell’immediata reazione di Iozzino che stava sparando, egli sia riuscito con il mitra inceppato a cambiare il caricatore praticamente in corsa, cioè, mentre andava a nascondersi dietro le Mini Cooper e a colpire l’agente che godeva anche in parte del vantaggio della copertura fornitagli dall’Alfetta(35). Certo non vanno taciute le conclusioni della perizia balistica depositata alla seconda Commissione Moro dalla Polizia scientifica il 21 luglio 2015 e cioè qualche settimana dopo il deposito della relazione e l’audizione del personale appunto della Polizia scientifica. Tale perizia balistica, in sostanza l’ultima effettuata, è rimasta “inerte” agli atti e non è stata nemmeno citata nelle relazioni conclusive di tale Commissione.
Secondo tale perizia tutti i 49 bossoli rappresentati dalla planimetria in colore rosa sarebbero stati sparati da un’unica arma e quindi nella parte alta di via Fani non sarebbe individuabile che un solo sparatore, che nel racconto di brigatisti sarebbe appunto Bonisoli. Nessuno gli avrebbe quindi offerto un supporto di copertura al momento della reazione di Iozzino. La perizia, tuttavia, presenta alcuni aspetti non del tutto congruenti con quanto sarebbe noto e che sarebbero meritevoli di maggior attenzione.
In primo luogo, la perizia rileva che tutti i 22 bossoli del FNA 43 asseritamente in mano a Morucci provengono da un’unica arma essendo identici tra di loro(36). Ci si potrebbe aspettare quindi un giudizio di sicura corrispondenza o comunque di alta compatibilità tra questi bossoli e i bossoli sperimentali sparati con l’arma che Morucci avrebbe impugnato. Invece dalle prove di sparo emerge un giudizio complessivo di inconcludenza di livello C(37) tra i bossoli di prova esplosi dal mitra sequestrato e i 22 bossoli attribuiti all’azione di Morucci. Quindi non è certo che il FNA 43 sequestrato abbia sparato i 22 colpi e che gli stessi siano imputabili all’azione di Valerio Morucci. Inoltre, la perizia esclude in modo assolutamente reciso che la pistola mitragliatrice FNA 43 in sequestro abbia sparato qualcuno dei 49 bossoli rinvenuti nella parte alta di via Fani. Il giudizio che si esprime, e che è condivisibile in quanto riguarda gli angoli opposti della sparatoria di via Fani, è al livello massimo esclusione, cioè il livello E(38) e attiene alla singolarità dell’arma. Ma dovrebbe essere quantomeno presente e quindi sottolineata nella perizia un’impronta di classe simile in quanto 2 armi dello stesso modello producono di norma impronte abbastanza somiglianti tra loro. Ma questa somiglianza non risulta alcun modo della perizia, ragione per cui è lecito dubitare che l’arma che ha sparato i 49 bossoli possa essere un FNA 43, come sostiene Bonisoli, mentre può essere un altro tipo di arma(39).
A questo punto diventa nel suo complesso incerto quanto avvenuto nella zona alta di via Fani dove, secondo la versione “ufficiale” Bonisoli, e lui solo appunto, avrebbe sparato con FNA 43 cd Zerbino(40). C’è poi un’altra circostanza che non deve essere dimenticata e cioè l’elemento di confusione volutamente introdotto e più volte ripetuta sia da Valerio Morucci sia da Mario Moretti in merito all’uccisione dell’agente Iozzino. Valerio Morucci nel suo memoriale in merito all’uccisione dell’agente Iozzino aveva scritto: “Molto probabilmente il B.R. n. 8, cioè Bonisoli, che era l’ultimo verso l’alto dei quattro avieri, dopo l’inceppamento del suo mitra, ha sparato con la sua pistola contro l’agente Iozzino”.
Mario Moretti nell’intervista alle giornaliste Carla Mosca e Rossana Rossanda mostra di non avere dubbi e aggiunge un commento che vorrebbe dare una sensazione di sincerità alla sua versione: “Uno dei poliziotti dell’Alfetta riesce a scendere dalla macchina, impugna la pistola, Bonisoli lascia andare il mitra, tira fuori la pistola sua, spara e lo colpisce. Credo che nemmeno lui sappia come ha fatto a sparare con tanta precisione” (41). Questa versione è assolutamente falsa. Bonisoli non ha ucciso Iozzino colpendolo con la sua 7.65. Infatti:
– dal corpo dell’ag. Iozzino sono stati estratti sei proiettili(42) sparati dal FNA43 o da un mitra simile che aveva esploso il maggior numero di colpi;
– la maggioranza di tali colpi ha raggiunto l’agente all’emisoma sinistro(43), circostanza questa che è congruente non certo con uno sparatore, come Bonisoli, che si trovava dinanzi a lui ma con lo sparatore sconosciuto collocato in alto a destra all’altezza della Mini Cooper;
– alcuni di questi colpi hanno una traiettoria dal basso verso l’alto(44) circostanza anche questa congruente con uno sparatore accucciato e protetto dalla Mini Cooper;
– infine, alcuni colpi hanno raggiunto la parte posteriore dell’Alfetta di scorta all’altezza del suo angolo posteriore destro e del bagagliaio con una traiettoria obliqua a conferma che lo sparatore si trovava collocato a destra e sparava da destra verso sinistra(45).
Quindi Valerio Morucci prima e Mario Moretti poi hanno volontariamente diffuso una versione falsa in merito all’uccisione dell’agente Iozzino. Viene da chiedersi perché i due capi brigatisti “falsifichino”, in sintonia tra loro, il comportamento di Bonisoli, perché vogliano far credere che Bonisoli abbia ucciso Iozzino con la sua pistola calibro 7.65. Questo difficilmente può essere avvenuto in modo “gratuito” e forse è riconducibile allo scopo di tacere qualcosa avvenuto nella parte alta di via Fani. D’altronde non solo l’esame dei proiettili estratti dal corpo dell’agente ma una testimonianza che è stata completamente dimenticata nella ricostruzione dell’agguato di via Fani e che si riferisce in particolare all’uccisione dell’agente Iozzino, li smentisce. Si tratta di una testimonianza di Michele Galati, componente di rilievo della colonna veneta delle Brigate Rosse, arrestato nel dicembre 1980 e divenuto importante collaboratore di giustizia (46). Michele Galati era stato sentito il 22 marzo 1982 dal Giudice Istruttore Rosario Priore, titolare dei nuovi tronconi d’indagine sul caso Moro, che in vari interrogatori con Galati aveva ripercorso la sua militanza nelle Brigate Rosse sin dalle sue fasi iniziali e cioè da quando Renato Curcio e gli altri operavano ancora con Simioni, Berio e coloro che poi avrebbero costituito il c.d. Super clan.
Il 22 marzo 1982, appunto, Galati, parlando in modo specifico di quanto da lui appreso sulla vicenda Moro, aveva riferito di una riunione svoltasi nel novembre 1979 che doveva servire a progettare una rapina in danno dell’Ospedale civile di Venezia, azione poi non eseguita. Erano presenti lo stesso Galati, Moretti, Livio Baistrocchi della colonna genovese, Nadia Ponti ed altri. Avevano quindi discusso delle difficoltà tecniche che presentava l’azione progettata per la presenza di ben quattro Guardie giurate, una delle quali poteva “scappare o sparare”. Nel corso della discussione Moretti si era rivolto a Baistrocchi 47 e agli altri dicendo “anche in via Fani uno c’era scappato, ma quelli di riserva lo hanno steso”. Moretti aveva quindi evocato il possibile ripetersi di una scena, la presenza di parecchi avversari armati e la loro possibile reazione, simile a quella di via Fani ove effettivamente uno dei bersagli e cioè l’agente Iozzino era riuscito a reagire tentando di sottrarsi e di rispondere al fuoco. Ma secondo Moretti per fortuna quelli di riserva lo avevano abbattuto affermava chiaramente con questa frase che a copertura dei primi 4 avieri noti vi era qualcuno pronto ad entrare in azione qualora i primi attaccanti si trovassero in difficoltà.
(2. Continua)
24 Testimonianza che la relazione della Polizia scientifica non considera.
25 Dunque, l’opposto rispetto all’ipotesi formulata dalla Polizia Scientifica quando parla di colpi sparati contro le auto in movimento.
26 Si trovava infatti sul marciapiede destro di via Fani più in alto rispetto al punto in cui è caduto l’agente Iozzino e anche un po’; più in alto rispetto all’edicola di Paolo Pistolesi e alla Mini Cooper. Le sue dichiarazioni quindi si integrano con quelle di Antonio Marini che si trovava in posizione opposta a sinistra nei pressi dell’incrocio (stava risalendo col suo motorino dalla parte più bassa di via Fani.
27 Quindi la Mini Cooper.
28 Quindi la Mini Cooper.
29 Si trovava quindi più a monte rispetto al punto in cui era parcheggiata sul lato opposto la Mini Cooper dietro la quale era comparso lo sparatore.
30 Quale appunto la Mini Cooper.
31 Cfr. p. 16 della trascrizione.
32 Del resto, alcuni dai tramiti intracorporei dei colpi che hanno che hanno raggiunto l’agente Iozzino hanno una traiettoria dal basso verso l’alto che suggerisce una azione di sparo da parte di un soggetto accucciato o comunque abbassato, come quello dietro la vettura. Si veda la relazione della Polizia scientifica pp.34-35.
33 Da intendersi certamente in diagonale rispetto a lui.
34 Cfr. pp. 33-34 della trascrizione.
35 Si noti che l’integrazione alla planimetria elaborata dal collettivo Sedicidimarzo ha evidenziato la presenza di due bossoli della Smith & Wesson di Gallinari, i più distanti dall’Alfetta, collocati all’interno del marciapiede in direzione del bar Olivetti. Sono i bossoli, dimenticati nella relazione della Polizia scientifica, contrassegnati in giallo con la sigla MAR cioè marciapiede. La posizione tali bossoli sembra suggerire che Gallinari, a fronte della reazione di Iozzino, si sia “ritirato” fuggendo addirittura verso il punto da cui era venuto e cioè le fioriere del bar Olivetti, per ritornare poi sulla scena quando l’ostacolo Iozzino non esisteva più. In tale situazione di pericolo e concitazione deve essersi certamente trovato anche Franco Bonisoli che era anche in una posizione più frontale rispetto a quella dell’agente. Sembra quindi difficile che Bonisoli, il più giovane tra l’altro, aveva solo 23 anni, dei componenti conosciuti del commando, abbia fatto tutto da solo. In realtà non si può nemmeno escludere che Bonisoli con l’arma inceppata l’abbia passata ad un altro soggetto prossimo lui proseguendo poi la sua azione, superato il momento di pericolo, con la 7.65 i cui bossoli sono stati trovati appunto sul lato destro di via Fani. Del resto, il comportamento dei vari soggetti sulla scena e le armi di cui disponevano quel giorno si basa quasi esclusivamente sui (tardivi) racconti di alcuni dei brigatisti, e nemmeno tutti e nessuno collaboratore di giustizia, senza alcun vero riscontro. Spesso sono parole incerte: ad esempio Raffaele Fiore ha dichiarato di non aver sparato nessun colpo per l’immediato inceppamento del mitra MP 12 mentre gli accertamenti balistici gli attribuiscono 3 colpi.
36 P. 22 della perizia balistica in data 21 luglio 2015.
37 P. 41-49 della perizia. In base ai criteri riconosciuti a livello europeo ciò significa che quei bossoli possono essere stati sparati o non essere stati sparati dall’arma sequestrata.
38 P. 49 della perizia.
39 Inoltre, sebbene i proiettili cal. 9 Parabellum messi a disposizione della Polizia Scientifica non siano tutti quelli repertati in via Fani, nessuno di quelli in mano ai periti della Polizia risulta esploso da una delle 2 armi sequestrate e cioè la Smith & Wesson e il FNA 43. E questo con giudizio di esclusione assoluta di livello E (p. 59 della perizia). È veramente singolare che nessun proiettile risulti esploso in particolare dal FNA 43 in sequestro che avrebbe impugnato Morucci. Ma non solo. Nello svolgere le loro verifiche la Polizia Scientifica avrebbe dovuto in primo luogo verosimilmente rilevare, e invece non è avvenuto, che quantomeno qualcuno dei proiettili appartenesse al FNA come “classe di arma” (classe di arma che era oggetto della ricerca) ma di ciò non vi è traccia. Ciò confermerebbe l’ipotesi di un’altra arma non identificata e non modello FNA che ha sparato in via Fani. Sotto questo profilo potrebbero essere utili ulteriori approfondimenti.
40 Dal nome del suo ideatore. Per una descrizione di tale arma, prodotta durante il periodo della Repubblica Sociale e in uso alle sue forze, si veda la testimonianza dell’esperto balistico dr. Paride Minervini in data 13 aprile 2022 il quale, nella medesima sede, ha espresso anche dubbi in merito alla sufficienza dei dati raccolti per poter affermare con sicurezza che i 49 bossoli siano stati esplosi da un mitra FNA 43 essendo tali bossoli del tutto compatibili anche con armi simili.
41 Mario Moretti “Brigate rosse-una storia italiana” intervista a C. Mosca e R. Rossanda, Anabasi edizioni, 1994. Si ricordi inoltre che al momento delle affermazioni fasulle di Morucci e Moretti gli esiti delle perizie, che avevano attestato l’estrazione dal corpo dell’agente Iozzino di almeno 6 colpi provenienti da un mitra, erano noti da anni.
42 Cui deve aggiungersi probabilmente un frammento di blindatura della stessa origine. Si veda la relazione della Polizia scientifica p. 37 che recepisce le perizie precedenti. Gli altri colpi, ben 10, per un totale di 17 colpi che hanno raggiunto Iozzino sono stati invece trapassanti. Anche i colpi trapassanti sarebbero comunque riferibili a tiri del FNA43. Si veda in proposito la relazione dell’ufficiale di collegamento dalla seconda Commissione Moro dr.ssa Laura Tintisona, cit. (doc. 504\1 Commissione).
43 Si veda la relazione della Polizia scientifica p.34-35.
44 Si veda la relazione della Polizia scientifica, ibidem.
45 Si tratta in particolare dell’unico proiettile cal. 9 corto rinvenuto sulla scena dei fatti mischiato probabilmente per errore agli altri colpi cal. 9 parabellum. In relazione al punto in cui il proiettile ha colpito il bagagliaio dell’Alfetta e alla direzione obliqua da destra a sinistra, desumibile dall’inclinazione del foro di ingresso, si veda la consulenza del dr. Ugolini nel proc. Moro quater p. 34 e le fotografie allegate.
46 Nel corso dell’attività alla seconda Commissione Moro Michele Galati fra l’altro ha rivelato che nel luogo della sua prigionia Moro aveva potuto ricevere la visita di un prete che vi era stato condotto dopo avergli fatto indossare lenti schermate e che si era potuto intrattenere con il prigioniero (si veda colloquio con il consulente dr. Salvini in data 20 dicembre 2016 e p. della relazione della Commissione in data 6 dicembre 2017). Michele Galati è deceduto il 9 marzo 2019 47 nell’interrogatorio Michele Galati ha anche aggiunto che il fatto che Moretti si fosse rivolto fra tutti proprio a Baistrocchi gli aveva fatto ritenere che questi fosse stato presente nei fatti di via Fani. Effettivamente se erano presenti in via Fani elementi della Colonna torinese e della Colonna milanese (rispettivamente Fiore e Bonisoli) non vi è ragione che almeno qualche brigatista dell’importante Colonna genovese non fosse utilizzato, come Baistrocchi, Nicolotti o Riccardo Dura, quest’ultimo ucciso nel 1980 in via Fracchia. Baistrocchi, come del resto anche Dura, era sicuramente abilissimo e fanatico nell’uso delle armi ed aveva partecipato. Baistrocchi fra l’altro non è mai stato mai catturato e da oltre 40 anni ha fatto perdere le proprie tracce. Per quanto concerne Riccardo Dura è possibile che la sua presenza sia stata tenuta nascosta perché Dura è morto il 28 marzo 1980 nella sparatoria di via Fracchia e non si è voluto coinvolgere un compagno caduto.