Nei n.14-15 e 16-17 di “Proposta Radicale” abbiamo pubblicato le prime due parti della relazione del dottor. Guido Salvini sulla vicenda Moro, consulente della seconda inchiesta parlamentare. È una relazione praticamente inedita, se ne è parlato pochissimo; leggendola, se ne possono intuire i motivi. È un testo interessante con diverse novità in un tentativo per la prima volta di una ricostruzione tecnica che cerca di superare quello che si sapeva senza essere dietrologica. Di seguito la terza parte.
Una logica militare avrebbe voluto che sul lato e nell’angolo opposto di via Fani, intendendo la scena del crimine come un rettangolo, vi dovesse essere un altro soggetto. Un soggetto pronto a intervenire a copertura (25)
qualora qualche agente fosse riuscito ad uscire dalla vettura e avesse reagito e gli avieri che sparavano da sinistra dinanzi al bar Olivetti si fossero trovati di fronte ad una reazione.
Il soggetto (26) sarebbe lo sparatore sconosciuto, che, come si vedrà, avrebbe colpito Zizzi. Gli elementi che portano alla prova della presenza di tale soggetto, posizionato in «seconda linea», originano dalle modalità dell’uccisione del vicebrigadiere Francesco Zizzi che si trovava a bordo dell’Alfetta, seduto a fianco del guidatore Giulio Rivera. Sinora si è sempre ritenuto che il solo agente Iozzino fosse uscito dalla vettura e questo perché era riuscito a sparare due colpi e il suo corpo è stato trovato riverso per terra nei pressi della parte posteriore dell’Alfetta. Ma quasi certamente anche Francesco Zizzi riuscì ad uscire dalla vettura. Lo ha scritto per primo il prof. Antonio Ugolini già nella perizia depositata il 19 gennaio 1979, quando molti accertamenti e approfondimenti balistici sull’agguato di via Fani non erano ancora stati effettuati.
Infatti, nella perizia diretta al Consigliere istruttore dottor Achille Gallucci, il prof. Ugolini, che tra l’altro aveva visionato il luogo portandosi subito in via Fani, con riferimento a quanto avvenuto agli agenti che si trovavano sull’Alfetta di scorta, si legge: «Il guidatore, la guardia di PS Rivera Giulio, colpito in zone vitali, si abbatteva esanime immediatamente e l’auto contemporaneamente entrava in collisione con la Fiat 130 presidenziale. Gli altri due occupanti l’auto (N.d.a. Zizzi e Iozzino) riuscivano ad uscire fuori dell’auto, investita dalle raffiche di proiettili e schegge di vetro, non si sa con esattezza se già feriti od indenni. Mentre il vicebrigadiere Zizzi Francesco che si trovava al fianco del guidatore davanti, si dirigeva verso il marciapiede destro la guardia di PS Iozzino Raffaele che era nel sedile posteriore e nella parte destra, nell’uscire impugnava la sua arma d’ordinanza, la Beretta cal. 9 ed esplodeva due colpi con esito a tuttora non noto » (27). Il professor Ugolini non aggiunge altro. È anche possibile che, essendo giunto subito sul luogo dell’eccidio, lo stesso perito abbia parlato con qualche testimone, poi non sentito dalla Polizia. All’epoca, comunque, gli approfondimenti tecnico-scientifici sulla dinamica e sulle conseguenze della sparatoria non erano ancora disponibili. Ma la affermazione del prof. Ugolini trova conferma se si esaminano le modalità con le quali Zizzi è stato colpito e la mancanza di fori di proiettile nello schienale del sedile che occupava sull’autovettura. Infatti:
– la vittima è stata colpita da tre proiettili che l’hanno raggiunta alla schiena, entrati dalla zona lombare e usciti dal petto. La traiettoria dei proiettili è obliqua dal basso verso l’alto con un’inclinazione di circa 45 gradi. Numero, posizione e modalità dei colpi sono ben visibili nella rappresentazione tridimensionale contenuta nella consulenza della Polizia scientifica diretta alla seconda Commissione Moro, di cui si riporta l’immagine (28);
– Conviene ribadire che non vi è nessun foro nello schienale del sedile occupato da Zizzi al momento dell’inizio della sparatoria.
– Non vi è nemmeno alcun foro sullo sportello anteriore destro corrispondente al luogo di seduta di Zizzi. Ciò è ben visibile nelle due fotografie anch’esse tratte dalla Relazione della seconda Commissione Moro.
In generale, la dinamica della morte del vicebrigadiere Zizzi appare alquanto diversa da quella di tutti gli altri uomini della scorta. Egli, infatti, è l’unico a non presentare alcun colpo al capo. È quello raggiunto dal minor numero di colpi: solo tre. Gli altri agenti sono stati tutti attinti da 7-9 colpi e un particolare accanimento vi è stato sull’agente Iozzino, in ragione probabilmente della sua reazione. Egli è stato raggiunto da ben 17 colpi. Il vicebrigadiere Zizzi è poi l’unico raggiunto da colpi che provenivano da una sola direzione e con traiettorie molto vicine l’una all’altra. Anche in conseguenza di queste modalità dell’attacco subito, solo Zizzi non morirà sul colpo ed infatti spirerà circa tre ore dopo presso l’Ospedale Gemelli nonostante l’intervento dei chirurghi.
L’insieme di questi dati sembra portare ad una sola conclusione. Con ogni probabilità Francesco Zizzi è stato colpito mentre si trovava in piedi o parzialmente inginocchiato, riparato dalla vettura, guardava in direzione degli avieri e mostrava la schiena verso l’angolo via Fani – via Stresa. In quella posizione egli certamente si apprestava a reagire, così come il collega Iozzino.
Se Zizzi è stato colpito mentre si trovava in tale posizione, i colpi che lo hanno raggiunto non possono essere venuti che dal lato destro (intendendosi il lato della strada opposto a quello del bar Olivetti) ed essere stati sparati da un soggetto intervenuto proprio per impedire che egli potesse reagire. Un soggetto che si trovava all’incirca all’angolo tra via Fani e via Stresa, in una posizione sufficientemente arretrata e che, comunque, non lo esponeva ai colpi degli altri brigatisti che giungevano da sinistra. Chi ha sparato i tre colpi si trovava probabilmente accucciato, dietro un’autovettura in sosta o dietro il muretto o le piante all’angolo via Stresa-via Fani, in quanto tutti i tre colpi hanno avuto una direzione obliqua molto accentuata dal basso verso l’alto. La sua è stata una prova di tiro molto precisa: questo sparatore non ha attaccato il vicebrigadiere Zizzi con sventagliate di mitra come quelle degli avieri, ma esploso tre colpi, due dei quali tra loro vicinissimi, che hanno centrato la vittima in parti vitali.
In più, la conferma che i colpi diretti verso l’Alfetta di scorta erano stati esplosi anche dal lato destro, si ottiene dall’esame di un’ulteriore immagine ravvicinata che riprende il sedile anteriore della vettura sul quale si trovava il brigadiere Zizzi.
Da una fotografia si nota chiaramente, a lato del sedile destro a fianco di quello dell’autista, una grande quantità di frammenti di vetro originati certamente dalla frantumazione del finestrino sinistro. La collocazione dei frammenti induce a ritenere che alcuni colpi che avevano attinto la vettura erano stati sparati anche da destra verso sinistra facendo precipitare i vetri nello spazio compreso tra la portiera destra, trovata poi aperta dai soccorritori, e il sedile (29). Va anche ricordato che nel corso delle stesure delle prime perizie si era verificato un grave equivoco che ha riguardato gli sportelli dell’Alfetta e la possibile presenza di colpi e che non ha consentito per molto tempo di fare chiarezza sulla morte di Francesco Zizzi.
Infatti, la fotografia n. 288 porta l’indicazione «sportello anteriore destro» dell’Alfetta, corrispondente al posto che occupava Zizzi. Nella fotografia si notano tre fori di entrata. La fotografia potrebbe suggerire che Zizzi sia stato colpito mentre si trovava al suo posto nella vettura, ma in realtà non è così. A parte l’ovvia considerazione che i tre colpi visibili nella fotografia non avrebbero potuto colpire Zizzi alla schiena, tale immagine in realtà non ritrae lo sportello anteriore destro dell’Alfetta bensì quello posteriore. Infatti, il deflettore, come si nota nella fotografia, è fisso mentre nei modelli dell’epoca di tali autovetture il deflettore anteriore era mobile e poteva aprirsi a mano. Inoltre, nella fotografia si nota sullo sportello un posacenere, accessorio che poteva essere presente solo negli sportelli posteriori. Infatti, nella parte anteriore delle vetture il posacenere si trovava e si trova tuttora nella zona del cruscotto.
Del resto, basta confrontare questa fotografia con quelle di cui alla pagina 25 della presente relazione per avere la certezza dell’errore. Lo sportello ritratto è quindi quello posteriore (30), a conferma del fatto che il punto ove Zizzi sedeva a fianco del guidatore è rimasto indenne da colpi (31). Infine, risultano ulteriori elementi che confermano come il vicebrigadiere Zizzi abbia certamente cercato di reagire. Zizzi è stato infatti trovato agonizzante seduto al posto, a destra del guidatore, sul sedile che aveva occupato durante il servizio. Ma non è stato colpito mentre si trovava in quella posizione, altrimenti vi sarebbero fori di proiettile sul sedile o sulla portiera. Quindi egli, all’inizio della sparatoria e probabilmente nel momento in cui l’autista Rivera è stato colpito mortalmente dai proiettili che provenivano da sinistra (32), ha immediatamente reagito uscendo dalla vettura. Del resto, ed è una notazione solo apparentemente secondaria, il vicebrigadiere Zizzi era al suo primo giorno di scorta con l’on. Moro e quindi è plausibile che tenesse la guardia ben alzata (33). Era inoltre il caposcorta dell’Alfetta.
Gravemente ferito, ma non ucciso sul colpo come i suoi colleghi, Zizzi è riuscito a rientrare nell’Alfetta e ha quasi sicuramente cercato di mettersi in contatto con la Centrale per dare l’allarme tramite l’autoradio. In una fotografia, si nota infatti il microfono dell’autoradio fuori dalla sua sede e penzolante sino quasi a toccare il pavimento della vettura. È del resto ovvio che tale tentativo sia avvenuto nell’ultima fase dell’attacco o quando l’offensiva brigatista si era già conclusa, perché all’esplosione dei primi colpi la reazione istintiva, e corretta, non poteva essere quella di telefonare, bensì quella di rispondere immediatamente al fuoco aperto sull’Alfetta, guadagnando una posizione di riparo o comunque di difesa attiva. Zizzi era certamente in grado di porre in essere tale tentativo perché non aveva ancora perso conoscenza. La sua condotta, peraltro, si rivela corretta ed audace, a saperla rileggere a distanza di anni. Egli infatti deve aver tentato prima di guadagnare una posizione il più favorevole possibile, per porre in essere una condotta di difesa attiva; al contempo, deve essere stato tanto lucido da non perdere contatto con le due auto del corteo, nell’istintivo presupposto di ripararsi dietro la portiera anteriore dell’Alfetta, di poter difendere, qualora ve ne fosse stata la possibilità, il presidente Moro dall’attacco in corso e (come poi in effetti è riuscito a fare) a poter utilizzare la radio dell’auto non appena fosse stato possibile. Vale la pena aggiungere che, se non vi fosse stato il presidio di tiro incrociato che ferì mortalmente il vicebrigadiere Zizzi, forse le cose sarebbero potute andare diversamente.
I brigatisti hanno sempre ostinatamente negato che vi siano stati spari provenienti da destra. Hanno, nel loro complessivo e sostanzialmente concorde contesto dichiarativo, ridotto il gruppo di fuoco ai soli quattro avieri che, sempre secondo la loro versione, avrebbero dovuto affrontare cinque uomini armati e riuscire a neutralizzarli in pochi secondi, senza essersi premuniti di nessuna copertura, qualora qualcuno di questi fosse riuscito a posizionarsi all’esterno di una vettura e a reagire. In conclusione, si può quindi affermare, tra i limiti e le difficoltà imposte dall’approssimazione delle investigazioni iniziali (34), che i brigatisti – che hanno descritto l’agguato di via Fani – hanno fornito una versione capace di coprire una parte dell’operazione e alcuni di coloro che hanno preso parte attivamente come sparatori. Questo per ragioni allo stato ignote e che comunque rientrano tuttora in uno spazio di indicibilità.
Per completezza, in relazione alla sorte del vicebrigadiere Zizzi, appare opportuno ricordare quanto dichiarato nel corso dei lavori della seconda Commissione Moro da Filippo Barreca, appartenente alla ‘ndrangheta e importante collaboratore di giustizia. Questi dinanzi a consulenti della seconda Commissione Moro, ha narrato di aver appreso da Rocco Musolino, boss di Sant’Eufemia dell’Aspromonte, che egli avrebbe salvato un compaesano a lui legato che faceva parte della scorta di Moro avvisandolo di non recarsi al lavoro quel giorno. L’agente della scorta sfuggito così all’eccidio è stato identificato in Rocco Gentiluomo, originario appunto del luogo di cui ha parlato Barreca, che è stato improvvisamente cancellato il 16 marzo dal turno di servizio. Il suo posto è stato preso da Zizzi, il quale, avendo prestato servizio il 15 marzo, non avrebbe dovuto la mattina dopo essere presente al seguito dell’onorevole Moro. Invece, fu lui ad integrare il servizio di scorta del presidente della Democrazia Cristiana ed è dunque caduto al suo primo giorno in cui prestava servizio di tutela di Moro.
(3. Continua)
NOTE
25 Una copertura in favore di chi agiva in una azione di fuoco, persino all’insaputa di chi stava operando, era del resto nella logica dell’organizzazione. Marcello Altamura, studioso del caso Moro ed autore del libro La borsa di Moro, ed. Iuppiter, 2016, ha appreso da un esponente di rilievo delle Brigate Rosse di Roma, non indicato nella testimonianza (ma facilmente individuabile dal testo), che ciò ad esempio era avvenuto in occasione della gambizzazione, avvenuta nel giugno del 1977, del professor Remo Cacciafesta, preside della facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Roma. Il commando che stava operando era formato solo da tre donne dell’organizzazione ma sul posto si erano portati anche, a loro insaputa, Morucci e Seghetti, i quali, in seguito, avevano affermato che non si erano fidati delle capacità delle tre militanti. Si veda verbale del colloquio di Marcello Altamura, dinanzi a un consulente di questa Commissione svoltosi in data 26 gennaio 2022.
26 Questi, tuttavia, poteva trovarsi anche un po’ più in basso, riparato e proprio in corrispondenza dell’angolo tra via Fani e via Stresa.
27 Così la citata perizia, p.4.
28 L’immagine è tratta da p. 33 della consulenza resa in data 11 giugno 2015 e più volte menzionata in questa Relazione.
29 La circostanza è stata rilevata in particolare da Paolo Cucchiarelli, giornalista e studioso del caso Moro.
30 Anche la fotografia presente a p. 24 della relazione della Polizia scientifica mostra ome i colpi che hanno interessato il lato destro dell’Alfetta abbiano raggiunto solo la parte posteriore della vettura.
31 L’errore presente nella perizia è stato per primo rilevato da Gianluca Cicinelli nella sua video-inchiesta Coperti a destra, dedicata alla strage di via Fani, ripreso anche in alcuni articoli, tra cui quello de Il Fatto Quotidiano del 16 marzo 2021. Si veda anche l’audizione informale dello stesso Cicinelli dinanzi a un consulente della Commissione in data 1 febbraio 2022.
32 Un proiettile lo aveva infatti raggiunto alla tempia sinistra.
33 Francesco Zizzi proveniva dalla Questura di Parma ed era stato trasferito a Roma solo da poche settimane.
34 Infatti, come si è già ricordato, i testimoni sono stati sentiti senza nemmeno la disponibilità di una planimetria che evidenziasse il punto esatto in cui si trovavano ed il luogo in cui avevano visto i soggetti autori della sparatoria; i testimoni sono stati sentiti da ufficiali di Polizia giudiziaria sempre diversi uno dall’altro e anche le audizioni avanti all’Autorità giudiziaria sono state spesso piuttosto superficiali. Purtroppo, per il trascorrere del tempo, molti dei testimoni oculari sono deceduti e altri non sarebbero comunque più in grado di ricordare esattamente la scena cui hanno assistito.