Proposta Radicale 24/25 2024
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Affaire Moro, tra segreti e misteri (5)

Affaire Moro, tra segreti e misteri (5)

La relazione di consulenza di Guido Salvini

Nei n.14-15, 16-17, 18 e 19-20 di “Proposta Radicale” abbiamo pubblicato le prime quattro parti della relazione del dottor Guido Salvini sulla vicenda Moro, consulente della seconda inchiesta parlamentare. Una relazione praticamente inedita, leggendola se ne possono intuire i motivi. Un testo interessante con diverse novità in un tentativo per la prima volta di una ricostruzione tecnica che cerca di superare quello che si sapeva senza essere dietrologica. Di seguito la quinta parte. 

La nebbia di Franco Bonisoli

Franco Bonisoli, appartenente sin dall’inizio alla colonna milanese delle Brigate Rosse, è stato presente all’attacco del 16 marzo, in particolare come l’ultimo nella fila degli avieri collocati in via Fani a partire dall’incrocio con via Stresa. Da tempo ha finito di scontare la pena e nel panorama degli ex terroristi si colloca come una persona del tutto “recuperata” e lontana dall’ideologia di quegli anni. Partecipa infatti, come risulta dalle iniziative visibili nelle fonti aperte e come egli stesso ha riferito, a incontri con giovani sulle tematiche dalla società civile, del rifiuto della violenza e del perdono e ha avuto un dialogo e uno stretto rapporto con Agnese Moro, Vittorio Bachelet e i familiari di altre vittime. La Commissione ha ritenuto quindi necessario chiedere a Franco Bonisoli una audizione che egli ha accettato, assistito dal suo difensore, e che si è svolta il 4 febbraio 2022 alla presenza anche del Presidente della Commissione. Tuttavia, l’esito dell’audizione è stato alquanto deludente, senza voler con questo dare alcun giudizio sulla persona sentita e sul suo percorso personale.

Bonisoli, infatti nello sviluppo di audizione, a fronte delle domande sui diversi eventi e momenti di quel 16 marzo, ha fatto quasi sempre affermazioni nebulose ed evanescenti e anche affermazioni relative ad alcuni particolari che sono state poi del tutto cambiate o ritirate nel corso delle risposte. 

In sostanza, ha sostenuto di aver dimenticato quasi tutto della scena di quel giorno (80), come se un evento unico e straordinario nella vita di una persona quale il rapimento di uno dei più importanti uomini politici italiani, un evento cui certamente chiunque penserebbe infinite volte fino a scolpirlo nella memoria fosse stato quasi del tutto rimosso dal suo ricordo. È praticamente impossibile sintetizzare l’audizione di Franco Bonisoli soprattutto per l’andamento oscillante e sincopato delle risposte. Comunque, per accennare solo a qualche passaggio, egli aveva intrapreso la via di fuga, di cui ricordava molto poco, a bordo di una Fiat, probabilmente nel suo ricordo bianca, ma senza alcuna certezza, e con lui a bordo c’erano Fiore e Morucci (81).

La Balzerani invece era forse sulla Fiat 132 dove era stato caricato Moro ma non ne era certo, poteva anche essere con lui (82), non lo ricordava con esattezza. Probabilmente Bonisoli era alla guida quell’auto anche se in qualche momento forse vi era stato un “passaggio” ed egli si era trovato in precedenza su un’altra vettura. Aveva certamente scaricato le armi su un furgone (83), non ricordava dove e in mano chi, ma probabilmente in via Licinio Calvo (84). In quel momento sul furgone non c’era Moro di cui non aveva assistito al trasbordo. Quanto al momento dell’agguato il suo mitra ad un certo punto “non sparò più, cambiai il caricatore e dopo poco si inceppò (85). Non era in grado di ricordare se il primo caricatore si fosse esaurito o se si fosse inceppato a sua volta (86). Forse si erano inceppati entrambi i caricatori (87). Non sapeva se avesse ucciso o meno lui l’agente Iozzino (88), non vi sarebbero stati comunque altri sparatori alla sua destra. Aveva comunque visto cadere l’agente. 

Di sicuro in una seconda fase aveva sparato all’interno dell’Alfetta e colpito qualcuno, nel suo ricordo probabilmente Zizzi (89). Ha negato che Gallinari avesse fatto il giro delle auto portandosi sul lato destro di via Fani nonostante l’evidenza costituita dal rinvenimento su quel lato della strada dei bossoli della Smith &Wesson (90). In proposito ha sostenuto che tali bossoli potevano essere stati spostati dalla folla, circostanza tuttavia poco plausibile perché ben tre bossoli provenienti da quell’arma sarebbero stati spostati addirittura sull’altro lato di via Fani (91), e quindi molto distante. Ha spiegato comunque di ritenere più importanti i percorsi di giustizia riparativa in cui parlava anche ai giovani raccontando la sua esperienza, piuttosto che “analizzare” quello che era avvenuto quel giorno in cui tutto tra l’altro era stato velocissimo. Si sentiva comunque moralmente responsabile di tutti i morti che c’erano stati in via Fani. Non si sa se Franco Bonisoli abbia detto il vero con la sua improvvisa “uscita”, dopo tanti anni, sul cambio del caricatore. Certamente egli si è trovato in forte difficoltà ed anche in una situazione di turbamento (l’audizione è stata più volte interrotta da commozione e momenti di pianto) per essere stato chiamato a rievocare la sua vita del passato ed essere anche messo di fronte ad alcuni elementi di novità (92). Si tratta di certo, quella del cambio, fra l’altro in corsa, del caricatore, di una affermazione assai tardiva. Infatti, nella nota intervista a Sergio Zavoli (93) in risposta alla precisa domanda: “Lei sparò quanti colpi?” Bonisoli si era limitato a rispondere: “Non ricordo…. un caricatore”, senza precisare il numero di colpi né alcuna altra circostanza. L’intervista a quel punto era stata sospesa a richiesta di Bonisoli che anche in tale occasione era caduto in una crisi di pianto.

Appare del resto veramente difficile che Bonisoli abbia potuto da solo sparare 53 colpi (i 49 più i 4 della Beretta) e cioè più della metà di tutti i colpi repertati in via Fani. D’altronde se, come lo stesso Bonisoli ha ritenuto possibile, il suo mitra può essersi inceppato due volte di seguito, egli può aver sparato veramente pochi colpi (94). Il comportamento altalenante di Bonisoli può avere varie ragioni. Il disagio anche rispetto alla famiglia e ai figli nel tornare sulla descrizione di quanto avvenuto quella mattina (95), la volontà di non confliggere comunque anche solo in parte con la ricostruzione, apparentemente consolidata, fornita da Morucci e Moretti e di riaprire la ricostruzione della sparatoria, rompendo così una forma di solidarietà rimasta in qualche modo con i suoi vecchi compagni. Anche il rimorso per avere certamente agito nella parte più “vergognosa” dell’agguato e cioè quando aveva sparato con la 7.65 agli agenti a terra o verso l’interno delle vetture ove si trovavano gli uomini della scorta già più volte colpiti nella prima fase dell’attacco (96). Infatti, nella cavità toracica di Giulio Rivera, autista dell’Alfetta, tra il polmone sinistro e il cuore, è stato rinvenuto un proiettile di una cal. 7.65 (97) in dotazione quel giorno solo a Bonisoli. Anche un altro frammento di proiettile rinvenuto nel corpo dell’ag. Rivera appartiene probabilmente, secondo le perizie, ad una cal. 7.65. 

Inoltre, uno dei colpi che ha trapassato il corpo di Raffele Iozzino all’altezza della spalla destra, è stato sparato da breve distanza, praticamente a bruciapelo, dall’alto in basso quando la vittima era già a terra (98). Inoltre, nel taschino della giacca del carabiniere Domenico Ricci, autista della Fiat 130 di Moro, è stato trovato il frammento di un proiettile probabilmente 7.65 Parabellum (99). Vi è solo da confidare che Franco Bonisoli, completando un percorso di riflessione più concreto anche nei confronti delle vittime, si risolva a fornire, non certo in sede giudiziaria ma comunque in una sede pubblica rivolta alla ricerca della verità, una versione più completa e credibile di quel giorno. 

La presenza di una motocicletta in via Fani e la nuova audizione del testimone Luca Moschini 

La presenza di una motocicletta di grossa cilindrata con due persone a bordo in via Fani durante l’azione è stato uno degli argomenti più dibattuti e contrastati nel corso dei dibattimenti, soprattutto gli ultimi, e nel corso dei lavori delle due Commissioni parlamentari Moro. Da tale presenza scaturiva evidentemente l’operatività sul luogo dell’agguato di un numero maggiore di soggetti, i quali a bordo di una motocicletta avrebbero avuto una funzione di appoggio durante l’azione vera e propria al momento della fuga e avrebbero potuto anche intervenire in caso di difficoltà. La presenza di soggetti in motocicletta è stata sempre radicalmente negata da tutti brigatisti che in qualche modo hanno fornito una loro ricostruzione dell’azione di via Fani in particolare Valerio Morucci nel memoriale e Mario Moretti nella sua lunga intervista resa alle giornaliste Rossanda e Mosca. Tuttavia, la relazione conclusiva della seconda Commissione parlamentare Moro, depositata nel dicembre 2017, giunge in modo convincente alla conclusione che una motocicletta ha operato in via Fani a fianco dei soggetti che hanno sparato e hanno caricato l’on. Moro sulla autovettura Fiat 132 accompagnandola anche in una parte della fuga.

Sintetizzando infatti l’esposizione della Commissione essa ha in primo luogo rilevato che già nel corso delle prime indagini ben quattro testimoni avevano indicato la presenza di una motocicletta. Si tratta:

– dell’ing. Alessandro Marini il quale si trovava pochi metri oltre l’incrocio tra via Fani e via Stresa e aveva visto una motocicletta di grossa cilindrata con a bordo due persone che seguiva la Fiat 132 in fuga in via Stresa sulla quale era stato caricato l’on. Moro (100).

– di Giovanni Intrevado, poliziotto della Polizia stradale in quel momento non in servizio e che si trovava anch’egli all’incrocio a bordo della sua Fiat 500, aveva visto fuggire al termine della sparatoria la Fiat 132, la Fiat 128 blu e al loro seguito una moto di grossa cilindrata con due persone a bordo. 

– di Gerardo Nucci, carrozziere che, a bordo della sua autovettura proveniva da via Camilluccia diretto verso via Fani e durante la sparatoria aveva visto una persona che si trovava in mezzo alla strada salire a bordo di una motocicletta, guidata da un altro soggetto, che si era subito allontanata dirigendosi in via Stresa verso via Trionfale. 

– di Bruno Barbaro, individuato grazie alla memoria dell’ing. Marini come l’uomo con “il cappotto color cammello” che si trovava sul luogo dei fatti, in un’intervista rilasciata nel 1993 al giornalista Davide Sassoli aveva dichiarato che uscendo di casa aveva visto “passare una macchina blu, una macchina scura seguita più o meno ad una certa distanza da una moto”. 

– del giovane studente Luca Moschini di cui il verbale di sommarie informazioni reso al Commissariato Monte Mario meno di quattro ore dopo i fatti a seguito della sua presentazione spontanea, merita, anche per la sua brevità, di essere riportato integralmente: “Verso le 9:05 di oggi percorrevo via Stresa proveniente da via Camilluccia a bordo della mia autovettura Fiat 500. Allo stop tra via Stresa e via Mario Fani notavo di fronte al Bar Olivetti angolo via Stresa due avieri con il cappotto e il berretto in capo che erano fermi sul marciapiedi con accanto una moto giapponese di colore bordeaux metallizzato, mi sembra una Honda 125 o 350. Ho notato alcuni connotati di una persona, la prima rivolta verso di me, di corporatura media e con le sopracciglia di colore biondo”. 

Nella successiva testimonianza dinanzi al Pubblico Ministero in data 5 aprile 1978 l’inquirente si è limitato a chiedere al testimone di “confermare” le sintetiche dichiarazioni verbalizzate dalla Polizia giudiziaria il 16 marzo 1978. Rimaneva ovviamente aperto un dubbio di interpretazione di enorme importanza. Cosa significava che gli avieri erano “accanto” ad una moto? Si trattava solamente di una motocicletta che passava e si trovava in quel luogo forse per caso? O gli avieri e la moto e i suoi occupanti avevo interagito, pochi minuti prima della strage? Prima di tornare sulla testimonianza di Luca Moschini è necessario ricordare che la seconda Commissione Moro era poi riuscita a sentire due nuovi testimoni mai sentiti in precedenza che hanno confermato la presenza della moto sul teatro dei fatti. Si tratta di: 

– Giovanni De Chiara, che abitava al piano terra di via Fani 106, ha ricordato di essere tornato verso casa la mattina del 16 marzo 1978 dopo aver accompagnato i bambini a scuola, di aver udito colpi di arma da fuoco e di aver visto allontanarsi a sinistra su via Stresa una motocicletta con a bordo due persone, una delle quali aveva sparato verso qualcuno. 

– Eleonora Guglielmo, all’epoca ragazza alla “pari” in casa De Chiara, aveva visto alcune persone spingere un uomo dentro un’auto che era partita immediatamente e con essa era partita nella stessa direzione una motocicletta di grossa cilindrata con a bordo due persone una delle quali, in ragione della pettinatura la Guglielmo ha ritenuto di individuare forse in una donna.  

La Commissione è riuscita a rintracciare l’importante testimone Luca Moschini, sentito quindi da consulenti in data 25 luglio 2022, e in tale sede è stato fortunatamente, a distanza di oltre quarant’anni, risolto il dubbio ora ricordato relativo a quelle sue lontane dichiarazioni. Luca Moschini ha infatti narrato: “Faccio innanzitutto presente che all’epoca ero studente di Medicina a Roma, mia città natale, e frequentavo presso l’Università Cattolica l’ultimo anno di laurea. Quella mattina mi stavo dirigendo come ogni mattina all’Università per frequentare le lezioni. Circa intorno alle ore 09.00 sono transitato all’incrocio di via Fani con via Stresa provenendo da via della Camilluccia, ho ancora un buon ricordo di quei momenti: mi sono fermato di fronte al passaggio pedonale per permettere l’attraversamento pedonale di due uomini vestiti da avieri (con la tipica divisa tendente al blu) provenienti dal marciapiede della parte più bassa di via Fani ed in direzione del bar Olivetti. Ho l’impressione che avessero la divisa con il cappello con la visiera calzato. Dato che in quella strada che facevo molto spesso non mi era mai capitato di vedere avieri, istintivamente mentre stavano passando ho girato il capo a sinistra e ho visto altri “avieri” sul marciapiede dinanzi al bar Olivetti. Preciso che il bar era chiuso ed era un locale che ho frequentato. Non posso esprimermi in termini di certezza in merito al numero di “avieri” che ho visto sul marciapiede ma posso dire che erano sicuramente più di due. Dato che i primi due avieri (quei due che attraversavano sulle strisce) stavano andando verso gli altri (sul marciapiede) ho avuto come l’impressione di un gruppo che si stava riunendo, come se dovessero andare all’aeroporto o qualcosa di simile. Inoltre, sempre mentre transitavo ho notato nella parte davanti al bar Olivetti che dà su via Stresa una motocicletta ferma sul suo cavalletto con al posto di guida un altro giovane vestito da aviere come gli altri. Esattamente questa moto si trovava ferma in una rientranza del marciapiede della parte di via Stresa dinanzi ad una vetrina del bar Olivetti. In effetti, il bar è disposto ad angolo sull’incrocio fra le due vie. Più precisamente, quella rientranza rispetto alla strada è lo spazio fra il marciapiede e la claire. La moto era ferma con la parte anteriore diretta verso via Fani. Quando fui sentito ho indicato la moto come di colore bordeaux ma oggi non lo ricordo. Però è sicuro che in quel momento ho riportato quello che ho effettivamente visto. Poi ho proseguito verso via Stresa (direzione via Trionfale) per andare al Policlinico, ho fatto prima la curva a sinistra e poi subito a destra e poi ancora a sinistra quando in quel momento ho sentito dei rumori come di mortaretti. Non ho pensato per nulla ad una sparatoria. Sono arrivato al Policlinico e sono andato normalmente a lezione; ma dopo pochissimi minuti l’interfono diede la comunicazione che tutte le lezioni erano interrotte e che i medici dovevano andare in Pronto Soccorso per prestare la loro opera ad eventuali feriti. Pochi minuti dopo dalla televisione ho appreso quello che era successo e l’ho ricollegato alla scena e ai rumori che avevo vissuto poco prima. Subito dopo ho ritenuto quindi giusto presentarmi al Commissariato Monte Mario per testimoniare ciò che avevo visto”.  

Il testimone ha aggiunto di ricordarsi bene la figura dell’aviere a cavalcioni della moto perché era una scena abbastanza insolita. Luca Moschini, all’epoca dei fatti studente universitario di Medicina ed ora medico specialista in un ospedale in provincia di Bergamo, è un testimone di elevatissima attendibilità che ha sempre conservato vivido il ricordo di quanto aveva visto. Si era anzi stupito che la sua testimonianza, resa spontaneamente e nell’immediatezza dei fatti in un momento comunque di concitazione, ricordato anche dal testimone (101)) delle forze di Polizia, non fosse stato stata in seguito approfondita. 

A questo punto diventa impossibile negare che una motocicletta con due persone a bordo abbia ricoperto un ruolo di appoggio all’azione dei brigatisti che operavano in via Fani. Una presenza invece sempre negata da Valerio Morucci nel suo memoriale e nei suoi interrogatori. Una scelta questa che ancora una volta sembra voler contenere la narrazione di quanto avvenuto in via Fani entro i confini e i limiti della “dicibilità”.

(5. Continua)

NOTE

80 Mentre, diversamente, si ricordi per inciso, testimoni quali Cristina Damiani Luca Moschini e Pietro Lalli, sentiti nell’ambito di questa Commissione pur oltre quarant’anni dopo i fatti, hanno dimostrato di ricordare benissimo la scena cui avevano assistito in via Fani.

81 Che in realtà avrebbe dovuto trovarsi sulla Dyane azzurra, quantomeno a partire dalla sosta in via Massimi.

82 P.47 della trascrizione e p. 4 della seconda parte della trascrizione.

83 In data 31 agosto 2022, quando era stata disponibile la trascrizione dell’audizione di Franco Bonisoli ed era imminente la redazione della relazione finale della Commissione, è stato chiesto a Bonisoli di fornire, anche in forma scritta, qualche precisazione per chiarire le confuse e contraddittorie versioni da lui rese in particolare in relazione ai mezzi e alla via di fuga e alla consegna delle armi. Tuttavia, allo stato non sono pervenute dal testimone le precisazioni richieste.

84 Pp.56-57 della trascrizione e p. 6 della seconda parte della trascrizione. È certamente quasi del tutto impossibile che ciò sia avvenuto in via Licinio Calvo ove non è arrivato nessun furgone e le autovetture dovevano essere rapidamente parcheggiate e abbandonate.

85 P.11 della trascrizione.

86 I ricordi di Bonisoli comunque sono sempre vaghi. Egli ritiene infatti che quel mitra sia stato rinvenuto nella base di via Montenevoso a Milano, circostanza che non corrisponde al vero (p. 8 della seconda parte della trascrizione).

87 Pp. 20 e 30 della seconda parte della trascrizione.

88 P.22 della trascrizione.

89 A fronte dai rilievi mossigli in merito al fatto che Zizzi era stato in realtà colpito alla schiena non da qualcuno che si trovava nelle vicinanze dell’auto ha convenuto che in realtà “poteva essere” che egli avesse sparato all’autista Rivera. (pp. 26-30 della trascrizione).

90 Come pienamente confermato anche dalla relazione, dalla planimetria e dall’ultima perizia balistica redatta dalla Polizia scientifica (pp.38-38-40) consegnata alla seconda Commissione Moro in data 21 luglio 2015, peraltro non citata nelle relazioni finali di tale commissione.

91 P.62 della trascrizione.

92 Ad esempio, Bonisoli non conosceva affatto il contenuto delle dichiarazioni di Cristina Damiani.

93 Per il programma La notte della Repubblica, puntata del 21 febbraio 1990.

94 Si ricordi anche che il caricatore perso da Morucci, proveniente dal suo FNA 43 e rinvenuto in via Fani aveva presumibilmente una capienza di 30 colpi (perizia Ugolini – Ronchetti – Merli depositata il1 ottobre 1993 nel proc. Moro quater, p. 22), la capienza più frequente in armi di quel tipo. E quindi molto probabile che l’arma usata Bonisoli avesse la medesima capienza. Sembra quindi difficile che in presenza di anche un solo inceppamento egli possa aver sparato 49 colpi.

95 Ragione esplicitata da Bonisoli nel colloquio con Sergio Zavoli a lato dell’intervista.

96 Come anche Gallinari che, terminata la prima fase dell’agguato, aveva seguito lo stesso percorso sul lato destro. C’è infatti un bossolo proveniente dalla Smith & Wesson rinvenuto su quel lato nei pressi del marciapiede, all’altezza del bagagliaio dell’Alfetta, contrassegnato con la dicitura CRF nonché ci sono altri due bossoli, uno accanto al bagagliaio e uno distante da questo di un paio di metri (contrassegnati con la dicitura EM e 2|S).

97 Si veda la relazione della Polizia Scientifica p. 32.

98 Si veda la relazione dell’ufficiale di collegamento dalla seconda Commissione Moro dr.ssa Laura Tintisona in data 27 gennaio 2016 che riporta l’esito della perizia Salza – Benedetti (doc. 504\1 Commissione).

99  Il frammento presentava infatti un colore rosso rame come gli altri bossoli della Giulio Fiocchi cal.7. 65 parabellum repertati. Si veda la perizia Ugolini – Ronchetti – Merli depositata il 1 ottobre 1993 nel proc. Moro quater, p. 16.

100  Questo anche senza entrare nel merito delle molto discusse incertezze presenti nelle testimonianze dell’ing. Marini in merito alla descrizione delle due persone a bordo della motocicletta e in merito al fatto che una di queste, come tuttavia non sembra confermato, abbia sparato contro il parabrezza del motociclo su cui si trovava. Resta infatti indiscusso il fatto che sin della sua prima testimonianza resa il 16 marzo 1978 alle ore 10.15 l’ing. Marini abbia parlato di una motocicletta presente ed attiva sul luogo dei fatti.

101  Luca Moschini era stato sentito da personale del Commissariato Monte Mario il 16 marzo 1978 alle 11:50 quindi pochissime ore dopo quanto era avvenuto in via Fani a poca distanza dal Commissariato.

iMagz