Proposta Radicale 30/31 2025
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Affaire Moro, tra segreti e misteri (7)

Ora e sempre: spes contra spem, visitare i carcerati

di Marco Pannella

Noi radicali abbiamo anticipato molte delle cose che papa Francesco dice e fa. La sua religiosità, così vicina alle persone semplici e vere, è molto vicina anche alle mie origini. È il terzo Pontefice con cui ho buoni rapporti. Giovanni Paolo II, il “polaccone” come lo chiamavo io, lo sentivo spesso. Quanto a Ratzinger, beh, sapevo che ci avrebbe stupito. Io sono anticlericale, è vero. Sulle cose concrete, però, il mio spirito è religioso. Ho sempre avuto rapporti splendidi con le suore. Mio zio, poi, era sacerdote e sono cresciuto con quei sentimenti, con quei valori. Sono un orso abruzzese, da piccolo assistevo a tutte le processioni di paese, con le donne che salivano sulla montagna salmodiando. E quel mio zio sacerdote era un liberale, un talent scout, aveva una rivista alla quale collaboravano Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Croce mi volle conoscere e, da quel momento, la sua famiglia matriarcale mi è sempre stata accanto(1). Il massimo di pubbliche responsabilità che nella mia vita ho ricoperto – università a parte – sono stati cento giorni da Presidente della Circoscrizione di Ostia. Per il resto, non sono nemmeno semplice Cavaliere della Repubblica, e resto soldato semplice da 57 anni, in congedo nemmeno come caporale. Sono nullatenente. Da poco, ma lo sono! Da decenni vivo come e perché questa mia vita da radicale mi colma, m’appassiona, e riconosco nella gente comune la stessa mia cifra di persona comune(2)

C’è per esempio, il pluri-ergastolano Piromalli, “capo” di una “famiglia” nota come appartenente alla ‘ndrangheta…È in cattive condizioni di salute, è sottoposto a trattamenti carcerari molto duri e qualche volta – lo confesso – incomprensibili o intollerabili. Perché mai, dunque, Piromalli si è iscritto al Partito Radicale? Ed ha versato due volte, le 150mila lire dell’iscrizione minima? Per finanziarci? Per essere liberato? Per essere eletto deputato? Perché abbiamo programmi criminali e di sostegno al crimine? Strano: “il padrino” ha avuto successo perché ha cercato di tratteggiare, scoprire qualche tipo di umanità che potesse spiegare il carisma di grandi boss, di feroci criminali. La complessità, la “ricchezza” di una persona, la sua “diversità” piuttosto che la sua “perversità”, le radici antropologiche e culturali niente affatto estranee all’umanità di tutti, ahinoi! è apparsa in qualche misura come evidentemente, plausibile, tanto più pericolosa, penso, quanto meno attribuibile a “nature demoniache”. Penso piuttosto che proprio Piromalli, non quello “trionfante” libero e potente, ma quello sconfitto e ormai inerme abbia voluto essere “anche” radicale, “anche” nonviolento, lasciare magari ai suoi nipoti, a chi comunque crede, ha creduto in lui, questo segnale. Sta di fatto che egli ha voluto concorrere a “salvare” il PR. Se avesse avuto ancora da conquistare, contrattare, salvare “potere”, allora avrebbe avuto contatti con tutti, tranne che con noi. E dico proprio “tutti”. Ma il problema vero non è questo. Il nostro Statuto è quello di un partito-servizio pubblico. Chi vuole, paga il biglietto e viaggia, per un anno, verso dove la diligenza si dirige. E dove si dirige, di volta in volta, lo stabilisce il Congresso, e chi fra di noi ha responsabilità ufficiali o sostanziali di guida del Partito. Certo, in questo modo il trasporto è promiscuo, come lo erano le carovane del West, di John Ford. Spesso organizzate da quacqueri, da puritani, per recarsi a vivere nei “pascoli del cielo” della purezza, dell’onestà, del lavoro, e della pace, ma poi composte anche da “cattivi”. I quali, non di rado, salvano proprio loro gli inermi, a spese della loro vita(3)… …

Spes contra spem(4), essere speranza, non limitarsi ad averla. Questo mi auguravo; e ho sperato che papa Francesco avesse questo punto di riferimento. L’invito a essere misericordiosi…per carità, a livello teologico e via dicendo sicuramente può essere anche di affascinante interesse; ma a livello lessicale, a livello di vita, credo si debba dire quello che cerco di dire quando vado in visita nelle carceri. Guardate, che la disperazione di tutti voi che vivete nelle carceri (e dunque non solo i detenuti, ma anche le loro famiglie, la polizia penitenziaria, i volontari e tutti coloro che lavorano lì), a tutta quella comunità dico e ripeto sempre una sola cosa: non cedete alla disperazione, non siate rassegnati, voi siete speranza, per coloro che vi amano e che amate. Se non comprendete questo, e vi lasciate andare alla di-speranza, alla di-sperazione, colpite proprio coloro che vi amano: coloro per i quali voi siete speranza. È questo che dico ai detenuti, ogni volta che li incontro; ed è questo che mi auguravo dicesse papa Francesco durante questo anno santo appena proclamato. Così avrebbe parlato al mondo intero, anche ai credenti in altro che nel magistero della chiesa; e credo sarebbe stato enormemente efficace. Questo invito a essere misericordiosi, c’è sempre nell’insegnamento e nella vita della Chiesa e dunque non comprendo lo specifico di questo momento. Si dice che questo sia un momento particolarmente infelice e cattivo, e proprio in questo momento c’è bisogno di misericordia. Io sono convinto che proprio in questo momento ci sia bisogno di essere speranza, di diventarlo; di rendersi conto che se non lo si fa, facciamo disperare coloro che sperano in noi, coloro che ci amano, coloro che amiamo; con questa scelta di indicare la misericordia, in termine di lessico, di linguaggio credo non si riesca a parlare efficacemente proprio di quello di cui papa Francesco sicuramente vuole parlare, in Italia, a Cuba, in America Latina, ovunque(5)

Io amo gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se “rivoluzionario”. Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti(6)

Dobbiamo prendere atto che potendolo, rispetto a tutti quelli che lo potevano, solo papa Francesco ha riproposto quanto già l’ex presidente Giorgio Napolitano aveva formalmente chiesto alle istituzioni, che però sono rimaste sorde. Evviva papa Francesco. Stavo per chiedergli di essere coraggioso, ma avevo un po’ di pudore, invece è arrivata la sua perorazione e quindi domanderò di essere ricevuto in Vaticano per ringraziarlo. Il Papa ha avuto il coraggio e quando il coraggio si esprime per dare forza alla legge che invece viene umiliata, negata da coloro che hanno la funzione di farla vivere, è davvero un gran bel momento. Questa amnistia è una speranza per tanti a cui va ridata una speranza(7)

Se pensiamo a un’opinione pubblica vasta, che non sempre ha modo di leggere le cose in profondità, dovrei tener presente anche questo aspetto, che si dica: “vedete Pannella come applaude il Papa, si è convertito”. Eppure, io credo che molti diranno altro, penseranno “Vedi sto pazzo di Papa, s’è convertito lui”. Nel momento in cui lui sceglie un tema come quello dell’amnistia, sa benissimo di schierarsi in una battaglia assolutamente politica su un terreno che è tipicamente quello di noi radicali(8)

Temo che l’indifferenza dello Stato accentui la disperazione delle donne e degli uomini ammassati nelle prigioni. Corpi a cui viene tolta la dignità, vengono annullati i diritti fondamentali e per i quali il principio della Costituzione secondo cui la pena deve tendere al reinserimento sociale si rivela una beffarda irrisione. La tracotanza di chi ha la responsabilità di questo stato di cose sembra affidarsi alla sicurezza che in carcere si continuerà a subire in silenzio, a morire, a suicidarsi, e che non ci saranno rivolte violente e che il sangue che scorrerà sarà solo quello delle vittime senza voce. Hanno rinchiuso nelle gabbie migliaia e migliaia di soggetti deboli, poveri, stranieri, tossicodipendenti, emarginati, border line, trasformando il carcere in una discarica sociale e malignamente si accaniscono secondo la massima vigliacca: forti con i deboli, deboli con i forti. I garanti dei diritti dei detenuti in tante città hanno presentato una piattaforma delle “cose da fare subito” riprendendo una felice espressione di Ernesto Rossi del 1949. Io non mi rassegno al fatto che tante buone volontà vengano bistrattate. Immagino perciò un digiuno ad oltranza, fino all’ultimo giorno della legislatura. Una catena nonviolenta e di massa, una mobilitazione collettiva per un obiettivo puntuale: un decreto-legge contro gli effetti delle leggi emergenziali e classiste. Io facevo parte della delegazione dei firmatari della lettera aperta scritta dal professor Pugiotto in cui si chiedeva al Presidente della Repubblica di inviare un messaggio alle Camere per una assunzione di responsabilità sulla questione del carcere e in quella occasione feci presente che il sovraffollamento non era un accidente ma aveva una causa nelle leggi criminogene e in particolare nella legge sulle droghe. Per rispondere alla “prepotente urgenza” il governo aveva una sola strada, quella del decreto-legge per cancellare le norme più nefaste della legge Giovanardi che causano l’ingresso in carcere di oltre ventimila consumatori (e piccoli spacciatori) di sostanze stupefacenti e di ventiquattromila tossicodipendenti, vittime della legge Cirielli sulla recidiva. Nel 2006 con un colpo di mano istituzionale e contro la prescrizione costituzionale del carattere di necessità e urgenza, la riforma proibizionista e punitiva della legge sulla droga fu inserita nel decreto-legge delle Olimpiadi invernali. Oggi di fronte allo spaventoso sovraffollamento delle carceri (metà dei detenuti per fatti relativi a quella legge) vi sono tutte le ragioni politiche e costituzionali per un decreto che incida sui fatti di lieve entità relativi alla detenzione di sostanze stupefacenti e modifichi gli articoli che impediscono la concessione di misure alternative ai tossicodipendenti(9)

Il vero problema che stiamo vivendo è che da molti decenni abbiamo uno stato italiano nelle mani dell’influenza di un regime. Io ritengo che noi oggi ci troviamo nelle condizioni simili a quelle degli anni tremendi della storia umana, che manifestamente veda costituire i poteri decisionali dello Stato italiano quasi sempre in sintonia con gli editti di un regime che è tutto dalla parte del non rispetto dei diritti umani, del non rispetto dei diritti vigenti all’ONU e nell’UE, e in teoria anche nello Stato italiano… C’è la vigenza non dello stato di diritto ma di uno stato d’emergenza. Questo regime, non questo Stato, e noi siamo dalla parte dello Stato per cercare di aiutarlo nel compiere le difficili scelte di chi tenta di richiamare il problema del rispetto delle leggi che dovrebbero essere vigenti e sono vigenti tecnicamente, ma annullate semplicemente a livello pratico. Il sistema giustizia è arrivato a livelli di assoluta contro produttività con drammatici riflessi sul sistema Paese nel suo complesso, che pregiudicano investimenti e condizioni del vivere civile. Alla fine, la situazione peggiora giorno dopo giorno; come, giorno dopo giorno, peggiora lo stato della democrazia italiana, che viola le proprie leggi ed i patti internazionali, tentando di coprire invano le proprie vergogne con la foglia di fico dei proclami ad effetto che dichiarano giustizia per tutti ma la garantiscono solo per qualcuno(10)

Sosteniamo, insieme, che non esistono nelle carceri, negli ospedali, nei manicomi, nelle strade, sui marciapiedi, nei tuguri, nelle bidonville, dei “peggiori”, ma anche lì, dei “diversi” malgrado la miseria (che è terribile proprio perché degrada, muta, fa degenerare: e se no, perché la combatteremmo tanto?), malgrado il lavoro che aliena (che rende “pazzi”), malgrado che lo sfruttamento classista sia “secolare”, quindi incida sull’ereditarietà. Sogniamo – e v’è rigore e responsabilità nei nostri sogni – una società senza violenza e aggressività o in cui, almeno, deperiscano anziché ingigantirsi e esservi prodotte. Sosteniamo che è morale quel che tale appare a ciascuno. Lottiamo contro una “giustizia” istituzionale (e “popolare”) che ovunque scambia diversità per perversione, dissenso per peccato. Come possiamo, allora, recuperare proprio in politica, nella vita di ogni giorno nella città, il concetto di “male” di “demonio”, di “perversione”? Così abbiamo palato, come abbiamo potuto e dovuto, con i piedi, nelle marce, con i sederi, nei sit-in, con gli happening continui, con erba o con digiuni, obiezioni che sembravano “individuali” e “azioni dirette” di pochi, in carcere o in tribunale, con musica o con comizi, ogni volta rischiando tutto, controcorrente sapendo che un solo momento di sosta ci avrebbe portato indietro di ore di nuoto difficile, troppo spesso considerati “diversi” dai compagni e colmi invece d’attenzioni continue, di provocazioni, di colpi da parte dei pula e non dei minori. Abbiamo durato, rifiutando di sopravvivere, ricominciando sempre, facendo anche delle sconfitte materia buona per far volto e corpo alle nostre testarde ed alla fine semplici e antiche speranze(11).

L’indifferenza e l’inerzia sono i nostri nemici. Nel pieno degli anni di sangue e di piombo, consentiti se non commissionati direttamente dai palazzi del potere reale che usurpa quello legale e costituzionale del nostro paese, il Partito Radicale non perdeva occasione per intervenire contro la violenza e le violenze dei “compagni assassini”. Affermavano che “violenti” e “nonviolenti” erano fratelli, tragicamente separati, ed estranei. Insieme sapevamo che occorre dar non solamente parola, ma anche mano, corpo – nell’oggi – alle speranze e agli ideali; concepire un nuovo possibile contro il possibile ormai logoro e terribile che si sta consumando. Ma in loro, nei compagni e fratelli assassini, e suicidi, mancava la convinzione che occorra prefigurare nell’oggi il domani, che “dar corpo” alle idee di giustizia, di pace e di libertà, non basta: occorre dare il proprio corpo; e darlo alla felicità, alla tolleranza, al dialogo, alla gente e al diritto, alla drammatica pienezza e al rigore della fantasia ragionevole e buona(12).

1 Notizie Radicali, 15 maggio 2015.

2 Dalla pagina Facebook di Marco Pannella.

3 Il Resto del Carlino, 10 gennaio 1987.

4 Citazione dalla traduzione in latino della Lettera di San Paolo ai Romani, 4.18.

5 Notizie Radicali, 14 aprile 2015.

6 Dalla prefazione di Marco Pannella al libro di Andrea Valcarenghi, Underground a pugno chiuso.

7 Italia Oggi, 6 settembre 2015.

8 Il Garantista, 4 settembre 2015.

9 Il Manifesto, 23 ottobre 2012.

10 Faro di Roma, 1 febbraio 2016.

11 Dalla prefazione di Marco Pannella al libro di Andrea Valcarenghi, Underground a pugno chiuso.

12 Notizie Radicali, 1 dicembre 1986.

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