Obituaries di questo numero è dedicato ai suicidi in carcere nel 2022. Oltre ottanta, “ufficiali”, mai così tanti, indice di un vero e proprio allarme, non avendo precedenti negli ultimi anni. Non è facile trovare delle spiegazioni e neppure soluzioni. Di questo siamo consapevoli. Sappiamo che la vita carceraria è dura, genera sofferenza, esprime solitudini, produce desocializzazione e malattie. Va fatto tutto il possibile per modernizzarla, renderla più a misura di donna o uomo, per ridurre la distanza tra il dentro e il fuori.
Non sempre è facile avere informazioni sui suicidi avvenuti, sulle biografie delle persone che si sono tolte la vita. Meritoria la scelta del Garante Nazionale di porsi come persona offesa in ogni caso di suicidio.
Il dossier di “Ristretti Orizzonti”, che ringraziamo per il lavoro svolto, racconta come non ci siano mai stati tanti suicidi come nel 2022. Il numero più alto finora era quello del 2010, con 45 casi. Ovviamente ogni suicidio ha una storia a sé, fatta di personali sofferenze e fragilità, ma quando i numeri sono così alti non si può non guardarli con un’ottica di insieme: come indicatore di malessere di un sistema che necessita profondi cambiamenti.
Oltre al numero in termini assoluti, un importante indicatore dell’ampiezza del fenomeno è il cosiddetto tasso di suicidi, ossia la relazione tra il numero di decessi e le persone detenute mediamente presenti nel corso dell’anno. Nel 2020 con 61 suicidi tale tasso era pari a 11 casi ogni 10.000 persone detenute, registrando il valore più alto dell’ultimo ventennio. Nel 2021, seppur in calo rispetto all’anno precedente, il tasso è restato particolarmente alto con 10,6 suicidi ogni 10.000 persone detenute. Benché si debba attendere la fine dell’anno per scoprire il tasso del 2022, considerato il numero di decessi già avvenuti, il valore sembra destinato a crescere rispetto al biennio precedente. A riprova della natura strutturale del fenomeno è il confronto con quanto accade fuori dagli istituti di pena. Con 0,67 casi di suicidi ogni 10.000 abitanti, l’Italia è in generale considerato un paese con un tasso di suicidi basso, uno tra i più bassi a livello europeo. Secondo l’ultimo report dell’OMS (Suicide Worldwide-2019), con dati relativi al 2019, il tasso di suicidi in Italia è pari a 0,67 ogni 10.000 persone, ben inferiore ad altre realtà europee come la Francia (1,38); la Germania (1,23); la Polonia (1,13); la Romania (0,97); la Spagna (0,77); e gli UK (0,79). Secondo gli ultimi dati del Consiglio d’Europa, l’Italia si colloca invece al decimo posto tra i paesi con il più alto tasso di suicidi in carcere. Mettendo quindi in relazione l’ultimo dato disponibile della popolazione detenuta con quello della popolazione libera vediamo l’enorme differenza tra i due fenomeni: in carcere ci si leva la vita ben 16 volte in più rispetto alla società esterna.
Delle 59 persone che si sono tolte la vita in carcere, 4 erano donne. Un numero particolarmente alto se consideriamo che la percentuale della popolazione detenuta femminile rappresenta solo il 4,2% del totale. Ancora più impressionante se paragonato agli anni passati. Secondo i dati pubblicati dal Garante Nazionale, sia nel 2021 che nel 2020 soltanto una donna si era levata la vita in carcere. Nel 2019 non si era verificato invece nessun caso di suicidio femminile.
L’età media delle persone che si sono tolte la vita è di 37 anni. La fascia più rappresentata è quella tra i 30 e i 39 anni, con 21 casi di suicidi. Segue quella dei più giovani, con 16 casi di suicidi commessi da ragazzi con età comprese tra i 20 e i 29 anni. Vi sono poi 14 decessi di persone tra i 40 e i 49 anni e 8 decessi di persone dai 50 anni in su. I più giovani in assoluto erano due ragazzi di 21 anni, detenuti nelle Case Circondariali di Milano San Vittore e Ascoli Piceno. Il più anziano era un uomo di 70 anni detenuto nella Casa Circondariale Genova Marassi. Le persone di origine straniera erano 28, ossia il 47,5% dei casi. Tenendo conto che la percentuale di stranieri in carcere è ad oggi leggermente inferiore a un terzo della popolazione detenuta totale (17.675 su 55.637), ciò implica che il tasso di suicidi è significativamente maggiore nei detenuti di origine straniera rispetto agli italiani: il primo è quasi il doppio del secondo.
Sembrerebbe, dai pochi dati a disposizione, che almeno 18 delle persone decedute soffrissero di patologie psichiatriche. Alcune diagnosticate, altre presunte e in fase di accertamento. In generale in carcere la presenza di persone con disagi psichici è molto alta. Nel corso delle visite “ispettive” effettuate, quasi sempre il personale denuncia con forza la significativa presenza di persone detenute affette da patologie psichiatriche e l’inadeguatezza delle risorse a disposizione per prenderle in carico adeguatamente. I dati raccolti dall’Osservatorio di Antigone nei primi otto mesi dell’anno, riportano 10,5 diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti; 20,5 detenuti su 100 assuntori di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi; mentre quasi 40 detenuti su 100 assuntori di sedativi o ipnotici.
Tra le persone che si sono tolte la vita, emergono casi di dipendenze da sostanze stupefacenti o alcol. I primi sono almeno 5, mentre i secondi 2. Secondo i dati raccolti da Antigone ogni 100 detenuti 19 sono tossicodipendenti in trattamento. Gli istituti dove sono avvenuti più casi di suicidio dall’inizio dell’anno sono nella maggior parte di grandi dimensioni e, ad esclusione di Palermo, di Case Circondariali. Quasi tutti soffrono da anni di una situazione cronica di sovraffollamento, che nel caso di Foggia, Regina Coeli e Monza si aggira addirittura intorno al 150% della loro capienza. A San Vittore, Pavia, Regina Coeli e Genova più della metà della popolazione detenuta è di origine straniera. A Monza, in particolar modo, vi è un’elevata presenza di detenuti affetti da patologie psichiatriche e il 50% della popolazione è tossicodipendente. In quasi tutti gli istituti vi è carenza, più o meno elevata, di specialisti psichiatri e psicologi rispetto alla media nazionale. Sia nel 2021 che nel 2022, la media si attesta intorno alle 10 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psichiatri e intorno alle 20 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psicologi.
Non è facile reperire notizie relative alla posizione giuridica o al residuo pena di tutte le persone. Emerge comunque che molti sono i casi di persone toltesi la vita in carcere ancora in attesa di giudizio. Tra queste, diverse sono quelle che in carcere si trovavano solo da pochi giorni o addirittura da poche ore. Emergono almeno 12 storie di suicidi avvenuti dopo brevi se non brevissime permanenze in carcere. Nella maggior parte di questi casi, le persone erano affette da patologie psichiatriche. Oltre a chi era da poco in carcere, diversi sono stati i suicidi di persone che si trovavano invece in procinto di lasciarlo. Delle persone condannate in via definitiva, alcune avevano un fine pena breve. Se ne contano almeno 10 con una pena residua inferiore ai due anni. Ad alcuni mancavano solo pochi mesi per rientrare in società.
Tutte le storie che si concludono con la decisione di porre fine alla propria vita sono storie di profonda sofferenza. Ne riportiamo qui alcune particolarmente emblematiche. Da ognuna di queste emerge la necessità di un ripensamento della scelta di punire solo ed esclusivamente con il carcere. La necessità di favorire pene e misure alternative al carcere e, quando queste non sono possibili, di migliorare il tempo trascorso al suo interno, riducendo il senso di profondo isolamento e l’assenza di speranza per il futuro.
G.T., un ragazzo di 21 anni secondo il Tribunale di Milano non deve stare in carcere. Detenuto a San Vittore dall’agosto del 2021 per il furto di un cellulare, nel mese di ottobre il giudice dispone il suo trasferimento in Rems (Residenza per le misure di sicurezza) in quanto una perizia psichiatrica dimostra la sua incompatibilità con il regime carcerario a causa di un disturbo borderline della personalità. Nella notte del 31 maggio, a otto mesi da quella pronuncia, si toglie la vita. Nelle settimane precedenti ci aveva già provato altre due volte. Pochi giorni prima, il 26 maggio, in una cella dello stesso reparto di San Vittore, si era suicidato un altro giovane ragazzo. Aveva 24 anni, era un cittadino italiano di origine egiziana.
A.G., un ragazzo di 24 anni, di origine brasiliana adottato in Italia. Affetto da disturbi psichici, faceva uso di sostanze stupefacenti. Arrestato a fine agosto a Torino per aver rapinato due supermercati. Non aveva precedenti penali. Dopo la convalida del fermo è condotto al carcere Lorusso Cotugno in misura cautelare. Nel reparto nuovi giunti, tenta una prima volta di togliersi la vita. Dopo un periodo nel reparto sanitario, gli psichiatri considerano ridotto il rischio suicidario così il ragazzo è trasferito nel reparto “Sestantino”: le celle singole continuamente monitorate in cui sono reclusi i detenuti che necessitano di una osservazione psichiatrica. A.G., il 15 agosto, tredici giorni dopo il suo arresto, tenta nuovamente di togliersi la vita, questa volta riuscendoci.
G. P., 30 anni con problemi psichiatrici si toglie la vita il 28 giugno nel carcere di Bari, dove si trova da appena due giorni. Dopo il suo arresto è stato condotto nella ex sezione femminile dell’istituto, inagibile da anni e adibita a inizio pandemia a luogo per svolgere i periodi di isolamento. Da tempo la sezione è però utilizzata di fatto come reparto per detenuti con patologie psichiatriche.
D.S., 33 anni con problemi di tossicodipendenza muore il 10 marzo nel carcere di Sondrio a due giorni dal suo ingresso. Si trova all’interno di una cella dedicata all’isolamento precauzionale per rischio Covid dove si trascorrono i primi giorni di quarantena prima di essere spostati in sezione.
Tra le storie dei suicidi di quest’anno, la più nota per il forte eco mediatico ricevuto è quella di D.H., giovane donna di 27 anni deceduta nel carcere di Verona la notte del primo agosto. A causa della sua tossicodipendenza, sin da giovanissima la ragazza aveva fatto avanti e indietro tra comunità e carceri. I reati commessi erano furti e rapine per procurarsi il denaro necessario all’acquisto di stupefacenti. Per i suoi trascorsi, le era stato levato un figlio dato poi in adozione. D.H. prima di morire lascia un biglietto al suo fidanzato, chiedendogli perdono e motivando il suo gesto con l’enorme timore di perdersi di nuovo.
Di una si sa solo che è deceduta a fine luglio nel carcere di Rebibbia Femminile. Italiana, 36 anni, con problemi di tossicodipendenza, a breve sarebbe stata trasferita nel carcere di Civitavecchia dove si trovava il compagno. L’altra donna, di origine romena, 36 anni, da poco detenuta all’interno dell’Articolazione per la tutela della salute mentale (ATSM) del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Nel pomeriggio del 10 aprile è trovata senza vita nel cortile dell’ex Ospedale psichiatrico giudiziario, al termine dell’ora d’aria.
Il 17 agosto un uomo si toglie la vita all’interno del reparto di osservazione psichiatrica del carcere di Piacenza. Aveva 52 anni, arrestato per reati comuni, era in attesa della definizione della sua situazione detentiva da parte del magistrato di sorveglianza e delle autorità sanitarie.
Il 14 marzo, un uomo di 35 anni, il cui nome resta sconosciuto, si toglie la vita nel carcere di Castrovillari (CS). Questo il racconto di una persona che contatta l’associazione Antigone: “Il signore che si è tolto la vita a marzo a Castrovillari era in carcere per aver rubato una pecora in Aspromonte e aver chiesto il riscatto al proprietario. Aveva altri precedenti ed è quindi finito nell’istituto calabrese. Era psicologicamente disturbato e ogni giorno diceva “mi suicido o non mi suicido” e già due/tre volte aveva fatto finta di suicidarsi. Poi un giorno ha fatto il cappio, ma gli si è rotto il secchio sotto ed è morto. Il corpo è stato due mesi in obitorio perché la famiglia non lo ha reclamato. Lo hanno seppellito nel cimitero di Castrovillari a spese del Comune”.
A fine agosto in Sicilia due uomini si tolgono la vita a meno di 48 ore di distanza l’uno dall’altro. D. A. 34 anni, era detenuto per un reato minore. Prima di essere arrestato faceva il bracciante, arrivato in Italia dalla Gambia. Il 26 agosto si toglie la vita nel carcere di Siracusa. Pare soffrisse di disturbi psichiatrici.
Il giorno prima S.M. un uomo di 44 anni, originario di Catania, si toglie la vita nel carcere di Caltagirone. È da pochi giorni all’interno dell’istituto per il furto di un telefonino e un portafoglio, sottratti al botteghino del Teatro Massimo Bellini e subito restituiti ai legittimi proprietari. Da tempo in lista d’attesa per essere inserito in una Comunità Terapeutica Assistita, in quanto affetto da “psicosi NAS in soggetto con disturbo di personalità borderline e abuso di alcolici”.
(Questo dossier è stato realizzato tramite fonti di stampa, segnalazioni arrivate all’associazione Antigone e i dati pubblicati dalla redazione di “Ristretti Orizzonti”)