Proposta Radicale 23 2024
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Il siluro CEI

Il siluro CEI

di Loris Fortuna e Marco Pannella

I vescovi non vogliono il referendum. Sperano che nelle prossime settimane, venga inserito nella riforma del diritto di famiglia un complesso di norme che superi la legge Baslini-Fortuna, riduca il divorzio a una beffa, lo ingabbi in un itinerario giudiziario praticabile solo per chi abbia dalla sua la forza del danaro e della condizione sociale; per coloro, cioè, che hanno sempre conosciuto il divorzio di classe della Sacra Rota o delle trascrizioni delle sentenze procacciate all’estero.

Per questo – afferma il comunicato della CEI – i vescovi ritengono urgente che tutti gli uomini di buona volontà si accordino per una saggia riforma del diritto di famiglia e per tutelare il bene della famiglia stessa”. Anche questo, e fino alla noia, una volta ancora soli, lo abbiamo ripetuto per anni. Il progetto di riforma del diritto di famiglia, approvato da uno dei rami del Parlamento, con il voto di tutti i gruppi tranne quello del MSI, presentato anche alla RAI-TV come una riforma storica ormai acquisita, è stato bloccato per poter attribuire alla legge sul divorzio mancanze non sue, solo in quella sede sanabili; e sin dalla scorsa estate era stato previsto come culla di norme superanti l’attuale legge e la necessità giuridica del referendum, cioè come bara della civile e severa disciplina votata il 1 dicembre 1970 dal Parlamento.

Ma cosa vogliono i vescovi? Inchiodare al cadavere putrescente di matrimoni morti da più di cinque anni il maggior numero di famiglie e anime, quelle stesse che proclamano di voler salvare? Inchiodarle con il martello della colpa e della punizione, crocefiggere esistenze già disperate e togliere loro ogni ragionevole speranza di riuscire lì dove sono fallite, di conquistare serenità, affetti, nuove comunioni e speranze e responsabilità? Costringere i figli ai traumi e ai drammi d’una vita familiare nutrita di estraneità e d’odio che, comunque simulati, toglieranno loro ogni fiducia nell’amore, ogni possibilità di una casa serena? Li vogliono costretti a crescere, a vivere, come dei “fuori-legge” del matrimonio, e magari affidati alla custodia degli enti clericali per l’infanzia, come ognuno sa fonte di gioie e validi sostituti del buon padre e della buona madre?

Ma non c’interessa, qui, diffonderci sulle appena velate ed indirette proposte che i vescovi avanzano. Lo faremo, se sarà necessario, limitandoci a citare le puntuali e dure risposte a chi richiedeva, già nel 1970, che il concetto di colpa venisse recuperato nella legge, o attribuiva a quest’ultima manchevolezze e insensibilità verso il destino dei figli, risposte date dagli onorevoli Lucio Luzzatto, Ugo Spagnoli, Nilde Jotti che la LID aveva invitato a rappresentarla nei dibattiti televisivi. Ma i dignitari ecclesiastici che dovrebbero insegnare amore e carità non esitano, sembra, a rievocare le nefaste pagine della Controriforma, a riesumare torture e crudeltà – appena aggiornate – contro i presunti “colpevoli” nel matrimonio, cioè contro coloro che essi ritengono “pubblici peccatori”.

Hanno, ci sembra, scelto male il campo del confronto. Si vada al referendum che hanno voluto ed imposto.

Questo non sarà, certo, una guerra di religione, ma di liberazione anche della religione dal loro modo di imporla e usarla.

Ed è anche, certamente, come dicono, “urgente” che tutti gli uomini di buona volontà si accordino per una saggia riforma del diritto di famiglia. La riforma in questione, saggia o no, da tre anni bloccata da forze di malafede, per un disegno che ora appare alla luce del sole; che la si voti, nel testo in cui fu votata anche dalla DC.

C’è poi la riforma divorzista contro la quale s’è voluta minacciare, con il ricatto del referendum, una sorta di moderno “giudizio di dio”. Lo dicemmo già nel 1969: questo referendum non è una tigre di carta. Abbiamo il dovere non solo di vincerlo, ma di battere una volta per tutte le residue forze d’una oppressione secolare che hanno commesso finalmente l’errore di uscire allo scoperto e cercano ora in ogni modo di continuare ad opprimere, oltre che di salvarsi.

(7 marzo 1974)

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