Proposta Radicale 23 2024
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Un popolo che crede

Un popolo che crede

di don Alberto Prunas-Tola

Quando un prete accoglie l’invito di un giornale d’ispirazione “laica” – nella vecchia accezione del termine, che si opponeva a “clericale” -, molti pensano che egli lo faccia per uno di questi motivi: o per amore di originalità (o maggiore o minore dose di esibizionismo), o per rancore verso le strutture della Chiesa (es.: ostilità contro il suo vescovo, o contro autorità che lo hanno represso), o per tatticismo (rendersi comunque accetto a un certo gruppo di amici, magari a un certo gruppo di non credenti o di credenti), o – ma vengono fatte sovente molte riserve – per coincidenza di motivazioni e di intendimenti relativamente a certe scelte e a certe lotte.

È per l’ultimo dei motivi sopra indicati che per parte mia ho accolto l’invito di Marco Pannella di portare su queste colonne la mia testimonianza sulla proposta degli otto referendum abrogare. Escludo l’esibizionismo, che ritengo essere una delle forme più scoperte di debolezze nei propri convincimenti; escludo il risentimento verso le strutture, perché sono convinto per motivi di fede – come il vecchio amico Dom Franzoni – che la Chiesa deve trasformare l’aspetto contingente e storico delle proprie strutture dall’interno e perché il mio servizio di prete nella Chiesa si svolge in collaborazione con l’Arcivescovo di Torino e con il Vescovo di Susa che da dodici anni mi danno la fiducia più larga in un esperimento istituzionalizzato di dialogo semplice e aperto; escludo il tatticismo, perché ho sempre sentito – come tante persone al mondo – l’istintivo richiamo verso le scelte critiche anche se scomode (il che significa trovarsi sovente in posizione di solitudine).

La ragione fondamentale per cui condivido sostanzialmente la proposta degli otto anni referendum abrogativi promossi dal Partito radicale è duplice: un aspetto – in quanto membro della comunità civile – riguarda la crescita dell’uomo e della società in questo momento storico, qui in Italia; l’altro aspetto – in quanto membro della comunità ecclesiale – riguarda la crescita della Chiesa attraverso una maggiore responsabilizzazione di tutto il popolo di Dio in ordine ai comportamenti e un’evangelizzazione fondata sulle coscienze responsabili e sui “moyens pauvres” propri della Fede (espressione di Charles de Fuocauld) – e cioè sulla testimonianza seria delle comunità cristiane, sulla essenzializzazione dell’Annuncio fondamentale, sulla Fede, sui segni sacramentali attraverso i quali si coagula la Parola di Dio – anziché sull’impositività delle leggi, sull’ambiguità del prestigio, sulle sicurezze tranquille delle abitudini tradizionali, sui compromessi con i vari poteri.

Per quanto riguarda il primo aspetto – e cioè l’aspetto proprio a chiunque appartenga alla comunità civile -, la mia convinzione è che alla radice della proposta degli otto referendum abrogativi vi è una promozione di partecipazione. Ciò significa che, in un contesto storico nel quale il formidabile sviluppo della scienza – con le conseguenti applicazioni tecniche portate avanti nel fondamentale processo di industrializzazione – è ancora sotto il segno della passività dei più, della mancanza di coscientizzazione della maggior parte degli uomini e dello sfruttamento operante da minoranze, diventa preziosa ogni azione volta alla promozione di una presa di coscienza il più estesa possibile, che conseguisca alla maturazione di coscienze lucide, capaci di pensare in termini di libera determinazione della propria vita e di sviluppo globale di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, insieme.

Quanti montanari delle valli dove io vivo riescono ad immaginare che la loro voce può e deve contare nella determinazione della possibilità e del mondo del loro lavoro e della loro vita? Quanti degli uomini incontrati nelle ore di uscita dalle fabbriche, dagli uffici, dai cinema, dalle sale da ballo hanno coscienza di poter contare, di poter incidere – in qualche modo, ma veramente – per correggere le storture di una società che troppo soffoca gli spazi e le creatività, circolano nel costruire insieme – pagando forse lo stesso prezzo di fatica e di stanchezze, ma in direzione razionale – una società più umana?

Si aggiunga la stanchezza dell’azione politica di una classe dirigente – economica e politica – che tiene il potere da decenni, senza alternative, e che con estrema difficoltà va allargando i propri panorami in profondità (l’autocoscienza critica del mondo borghese – a cui io pure appartengo – è molto più difficile di quanto non si immagini generalmente; ed assai più difficile, e scomodo, e sconvolgente, è il tirarne le conseguenze sul terreno operativo, personale e sociale) e in estensione (allargando finalmente il proprio sguardo ai confini del mondo, e rendendosi conto che i giganteschi problemi di oggi – squilibri economici e sociali enormi, minaccia ecologica, sovrappopolazione, limiti dello sviluppo economico, equilibri politico-militari sempre instabili, rivoluzione scientifica in piena corsa – devono essere affrontati a livello mondiale, con una competenza pari al coraggio morale e a una tenace visione di insieme di un mondo continuamente da umanizzare).

Si aggiunga – come conseguenza di quanto detto – un insieme di leggi autoritarie che rispecchiano la passività di una società con coscientizzata, che per molti anni ha accettato il fascismo per miope amore di quieto vivere o per interessato congelamento di ogni circolazione di idee e di lotte umanizzanti.

Vedo pertanto nell’iniziativa degli otto referendum abrogativi proposta dal partito radicale un modo di rottura, uno spiraglio, un serio contenuto – naturalmente non l’unico, ma un colpo si sterzo stimolante – a una presa di coscienza dei cittadini – di tutti i cittadini – a una partecipazione attiva e libera all’elaborazione del volto della propria comunità civile e politica. Il che, già per se stesso, significa lotta concreta contro l’autoritarismo cioè contro quella mentalità – e quelle istituzionalizzazioni della mentalità che sono le leggi – che soggiace, accompagna e determina il perpetuarsi di una convivenza disumana nella società (repressiva nella vita familiare e nella vita della scuola, verticismo aziendale e nuovo rischio di verticismo sindacale, prevaricazione del potere pubblico e del potere economico nei riguardi dei cittadini e dei gruppi più deboli, prepotenza massimalistica o dimissione dei gruppi di contestazione, stanchezza vecchiaia nella impostazione sia speculativa sia operativa del marxismo).

Partecipazione reale, antiautoritarismo, umanizzazione: ecco i valori che rendono partecipe all’iniziativa dei referendum abrogativi in quanto cittadino. Nel prossimo articolo – se mi sarà concesso – intenderei sviluppare qualche chiarificazione critica relativa ad alcuni degli otto referendum (particolarmente il concordato e la depenalizzazione dell’aborto) e dare una mia risposta all’obiezione di parte marxista – assai importante al mio modo di vedere – sulla inutilità di questa iniziativa in quanto non batte direttamente in testa ai nodi “strutturali” della società (rapporti di produzione e sistema capitalistico).

In quest’articolo, intenderei pure precisare le mie riserve per quanto concerne la condivisione a questa iniziativa.

Per l’aspetto ecclesiale della mia partecipazione all’iniziativa degli otto referendum – cioè in quanto membro della Chiesa – mi limito, dopo quanto sopra accennato, a riportare tre brani relativi al referendum del 12 maggio: il primo, tratto dalla relazione d’apertura del prof. Paolo Brezzi, ordinario di storia all’università di Roma, al convegno promosso il 23 marzo scorso a Roma da un gruppo di cattolici democratici; il secondo, tratto dalla relazione del prof. Scoppola, ordinario di storia contemporanea, allo stesso convegno; il terzo, tratto dal telegramma lettera che ho inviato – anche a nome di un gruppo di amici – al vescovo monsignor Bartoletti, segretario della CEI, in occasione dell’ultima riunione della CEI. Le istanze contenute in questi brani sono fondamentalmente le stesse che sottostanno al mio sostanziale consenso, sotto l’aspetto ecclesiale, all’iniziativa dei referendum abrogativi.

Siamo cattolici ma siamo anche, anzi proprio per questo, fautori della libertà, sostenitori dell’autonomia della leggi civili, aperti alla comprensione delle opinioni altrui” (Brezzi).

Il nostro appello è la manifestazione del divario profondo della coscienza cristiana di fronte a questo referendum… non siamo divorzisti di principio, siamo profondamente estranei a ogni celebrazione trionfalistica dell’introduzione del divorzio in Italia. La nostra scelta è anzitutto una scelta per la libertà della coscienza, per il pluralismo e per la convivenza sociale. Lo stato non può imporre un modello alto ed esigente, quale il matrimonio cristiano indissolubile, come modello legale per tutti. L’esigenza prioritaria del bene comune è quella della convivenza e del pluralismo” (Coppola).

Desideriamo ardentemente che i nostri fattori nel documento indicativo si ispirino alla accettazione del pluralismo relativamente alla valutazione concreta del bene comune nelle leggi Stop Al rispetto evangelico verso quanti non condividono l’insegnamento cristiano Stop Alla delicatezza di non imporre per legge comportamenti umani vivibili per grazia – particolarmente della società attuale – Stop A progetto di evangelizzazione et trasformazione individuale della società fondato sulla convinzione delle coscienze et povertà della fede anziché sulla impositività della legge Stop” (dal telegramma lettera a Monsignor Bartoletti).

Pertanto i valori evangelici che hanno qui un impatto e che sono da me fortemente recepiti sono il rispetto Evangelico (fortemente sottolineato dal recente decreto per la libertà religiosa del Concilio Vaticano II, la forza intrinseca dell’annuncio evangelico (indipendentemente dalle leggi civili e dal prestigio), una maggiore trasparenza della Chiesa al suo messaggio, e quindi una maggiore partecipazione della comunità ecclesiale alle “gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d’oggi e dei poveri innanzitutto e di tutti coloro che soffrono” (secondo le parole iniziali della “Gaudium et Spes”).

E non è forse tra queste gioie e speranze, tra queste tristezze e angosce degli uomini di oggi che noi possiamo mettere proprio la nostra ricerca di una convivenza civile più umana, la ricerca di una Chiesa più evangelica, la sofferenza e la denuncia per un modo associato di vita troppe volte disumano e schiacciato da leggi che presuppongono cittadini immaturi e incapaci di prendere in mano il proprio destino?

(25 aprile 1974)

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