Proposta Radicale 26/27 2024
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Recensioni

Gli sbirri di Sciascia per capire la mafia

di Valter Vecellio

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Le interviste spagnole di Sciascia

di Francesco Perpignano

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Gli sbirri di Sciascia per capire la mafia

Gli sbirri di Sciascia per capire la mafia

di Valter Vecellio

“…Ma come è piovuto qui, questo Bellodi? Come diavolo mandano uno come lui in una zona come questa?”. Un’“eccellenza”, svegliata nel cuore della notte da un’altra, superiore, “eccellenza”, si sfoga con un suo subordinato. Bellodi, il carabiniere protagonista de Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia. Di Parma, ex partigiano, mandato in un paesino della profonda Sicilia, indaga su un delitto di mafia che si vorrebbe passionale, nel movente. Il capo-mafia locale chiede aiuto ad altolocate protezioni “romane”. Bellodi è prontamente trasferito.

Personaggio di fantasia, eppure ben vivo, reale Bellodi. Sciascia lo modella su Renato Candida, negli anni ’50 comandante dei carabinieri di Agrigento, autore di un lucido quanto irritante saggio: Questa mafia; a Sciascia è piaciuto, fa pubblicare. Ad altri no.  Anche nel suo caso qualche “eccellenza” ha cura di trasferirlo, a Torino. Sciascia, divenutone amico ed estimatore, scrive: “Non solo per Il giorno della civetta, ma per ogni mio racconto in cui c’è il personaggio di un investigatore, la figura e gli intendimenti di Candida, la sua esperienza, il suo agire, più o meno vagamente mi si sono presentati alla memoria, all’immaginazione”.

Tanti gli investigatori nei racconti di Sciascia: Amerigo Rogas de Il contesto; il “Vice” de Il cavaliere e la morte; il brigadiere di Una storia semplice; investigatori sono per tanti versi il Laurana di A ciascuno il suo, o il Giuseppe Vella de Il consiglio d’Egitto. Per tutti valere l’interrogativo dell’eccellenza: chi diavolo li ha mandati?

La storia della lotta alla Cosa Nostra e alle altre forme di organizzata delinquenza è piena di investigatori che “chi diavolo li ha mandati?”; tantissimi non hanno avuto la fortuna di Bellodi/Candida. Invece del trasferimento sono stati eliminati a colpi di kalashnikov o col tritolo: una lunga, penosa lista di eroi colpevoli di aver fatto con scienza e coscienza il loro dovere.

Un proverbio siciliano dice tutto della diffidenza nei confronti dell’autorità costituita: “Cu si mitti cu li sbirri ci appizza lu vinu e li sicarri”, chi si mette con gli sbirri ci rimette vino e sigari; Sciascia lo fa dire a Mariano Arena, il capo-mafia che Bellodi vuole incastrare.

Come “infame” e “cornuto”, in certi ambienti “sbirro” è la quintessenza dell’offesa. Il generale dei carabinieri Giuseppe Governale trasforma l’offesa in motivo di fregio, orgoglio: quelli di Sciascia sono a tutti gli effetti “sbirri”: dolenti e lucidi, Bellodi, Rogas, il “Vice”, il brigadiere Lagandara nella penna dello “sbirro” Governale diventano strumento, paradigma e pretesto per una più generale, a volte amara inchiesta, una riflessione sulla giustizia, la sua amministrazione, la ricerca delle verità declinate al plurale, per questo sfuggenti.

Forte di una esperienza maturata sul campo (comandante della Legione carabinieri in Sicilia, a capo del Raggruppamento Operativo Speciale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia), lo “sbirro” Governale raccomanda: “Se volete nutrirvi di anti-mafiosità dovete leggere Sciascia”. Non per nulla è capace di recitarvi interi brani, con chiose che spiegano i passaggi di riferimenti comprensibili solo a chi è vissuto in certi luoghi, ne ha respirato aria e atmosfere. Come, per fare un esempio, dare del “signore”: che può perfino suonare offensivo e delegittimante, se detto in un certo contesto.

Difficile perfino da definire, la Cosa Nostra. Il boss corleonese Luciano Leggio, a Enzo Biagi che gli chiede cosa sia la mafia, risponde: “Un modo di pensare”. Di qui la difficoltà di decifrarne logiche, linguaggi, comportamenti. Governale osserva che spesso quanti contrastano il fenomeno mafioso sono rappresentati in modo banale, senza spessore e profondità. Per questo ha voluto analizzare le opere di Sciascia, selezionato e analizzato con la pazienza e la perizia dell’entomologo i suoi investigatori: “Tra loro ci sono gli stupidi, ci sono i galantuomini e ci sono gli sbirri veri, gli sbirri nati”.

È un godibilissimo libro fatto di libri, quello di Governale, i cui personaggi perennemente tormentati dal dubbio e animati dal “dovere” di capire sono metafora la dell’eterno conflitto tra la coscienza individuale e le arroganze, la protervia dei poteri: quello legale, istituzionale e l’illegale spesso stretti in un unico micidiale viluppo. Bellodi, Rogas, gli altri “sbirri” navigano in un mare fatto di silenzi dolosi, complicità omertose. Personaggi consapevoli d’essere condannati a una onerosa solitudine. In ogni caso, come Bellodi, si tratta di uomini. Non è l’esaltazione della mafia, come qualcuno scioccamente ha sostenuto; piuttosto il riconoscimento che un volto del potere è costretto a tributare a denti stretti. Solo nei racconti di Sciascia?

Governale nella nota finale si pone una domanda cruciale: “A quale categoria di sbirro sono appartenuto? In particolare, sono poi stato uno sbirro nato? Non lo so con certezza; intimamente, con orgoglio, ma forse anche con una vena di rimpianto e quindi con una certa tristezza – per quella propensione malevola, tipica di una vita nell’Arma e propria di una specie particolare di sbirri, rivolta a considerare, tendenzialmente il prossimo, con riserva, con una certa diffidenza, come chi risulta dalle carte tenute in ufficio – penso di sì”. È arbitrario se par di cogliere una punta di acuta mestizia?

Giuseppe Governale

Gli sbirri di Sciascia – Zolfo Editore

Le interviste spagnole di Sciascia

Le interviste spagnole di Sciascia

di Francesco Perpignano

Un piccolo libro di raccomandabile lettura: Paura del registratore. Leonardo Sciascia e la stampa spagnola; esile nel formato, denso e ricco di contenuto. Alejandro Luque raccoglie e commenta le interviste che Sciascia ha rilasciato a quotidiani, riviste e televisioni spagnole. El Pais per esempio, gli chiede di commentare la candidatura voluta dal Partito Radicale di Toni Negri, il leader di Autonomia, che viene eletto deputato e poi si rifugia in Francia sottraendosi alla giustizia italiana e al processo. “Non mi interessa la polemica su Negri né se debba o meno tornare in Italia. L’unica cosa che mi interessa davvero in tutta questa faccenda è che la Giustizia possa trattenere in prigione un uomo per quattro anni senza un processo. È ingiusto”. Con questa risposta radicale Sciascia dimostra d’essere più radicale di molti radicali stessi: quello che gli preme e gli interessa è la questione della giustizia; di come pessimamente viene amministrata, le sue innumerevoli vittime; del fatto che una persona può essere rinchiusa per anni in carcere senza essere processata e condannata. E si era, allora, nel 1984.

Quarant’anni dopo, la situazione è per tanti versi persino peggiorata. Nel maggio scorso il ministro della Giustizia Carlo Nordio invitava a pazientare, avere fiducia: nelle disastrate carceri italiane la situazione sarebbe migliorata; i primi frutti li si sarebbe già cominciati a cogliere a settembre. Vien da chiedere di quale anno, visto che in concreto nulla muta.

Intanto sono quasi cento i carcerati che si sono tolti la vita. Almeno sette gli agenti della polizia penitenziaria suicidi. Non sappiamo quanti i tentati suicidi che gli agenti sono riusciti a sventare, ma certamente nell’ordine di centinaia. Non sappiamo quanti gli episodi di autolesionismo, ma certamente nell’ordine di migliaia. Non sappiamo quanti ingiustamente incarcerati per settimane e mesi; ma anche qui nell’ordine delle centinaia ogni anno.

Ancora dal citato libretto; Il quotidiano Informacion, chiede a Sciascia della speranza: “Sta nel seguire la verità, nel vivere secondo ragione, nell’avere il coraggio di dire quello che alcuni non vogliono sapere”.

Non resta che rimboccarsi le maniche: per la verità e la ragione sono tempi più che duri; pochi i coraggiosi che dicono quello che tanti non vogliono sapere.

Alejandro Luque

Paura del registratore. Leonardo Sciascia e la stampa spagnola – Rubbettino  

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