Proposta Radicale 24/25 2024
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Saggio

La mia religione

di Lev Tolstoj (a cura di Guido Biancardi)

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Mafia. La verità sul dossier mafia-appalti

Audizione dell’avvocato Fabio Trizzino

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La mia religione

La mia religione

di Lev Tolstoj (a cura di Guido Biancardi)

(di seguito la decima parte dell’opera, inedita per l’Italia, de “La mia religione”, di Lev Tolstoj)

Il Figlio dell’uomo, secondo la risposta del Cristo, è la luce nella quale gli uomini devono camminare fin che la luce esiste in loro. Luca (XI,35): “Sta dunque attento che la luce che è in te non sia tenebra”. Matteo (VI,23): “Se, dunque la luce che è in te è tenebra, quanto saranno grandi le tenebre?”, dice rivolgendosi a tutti gli uomini.

Prima del Cristo, così come dopo, gli uomini hanno detto la stessa cosa: che esiste nell’uomo una luce divina discesa dal cielo, che questa luce è la ragione, la sola degna d’essere servita e che in essa sola bisogna cercare il bene. I maestri dei Brahmana, ed i profeti ebrei, e Confucio, e Socrate, e Marco Aurelio, ed Epitteto con tutti i veri saggi, non coloro che hanno creato delle teorie filosofiche, ma coloro che han cercato la verità per il loro bene e quello di tutti gli uomini, non han detto altrimenti. Ed ecco che, all’improvviso, secondo il dogma della redenzione, abbiamo riconosciuto che non v’era alcun bisogno di parlare di quella luce che è nell’uomo, né di pensarvi. Bisogna pensare, dicono i credenti, alla natura di ciascuna delle tre persone della Trinità e della buona amministrazione dei sacramenti. Bisogna pensare, dicono i non credenti, alle leggi secondo le quali le particelle infinitesimali percorrono uno spazio infinito in un tempo infinito; ma non si deve affatto pensare a quel che la ragione dell’uomo reclama per il proprio bene, poiché il miglioramento della sorte dell’uomo verrà non da lui stesso, ma dalle leggi generali che avremo scoperte.

Delle persone entrano in una corte dove trovano tutto ciò che occorre loro per vivere: una casa ben arredata, granai riempiti di grano, cantine, dei sotterranei rigurgitanti di derrate; nella corte vi sono attrezzi agricoli, degli arnesi da pesca, finimenti, cavalli, mucche, pecore, degli utensili, tutto quel che permette di vivere nell’abbondanza. Da tutte le parti, delle persone affluiscono verso questa casa per servirsi di tutto quel che ci trovano; ciascuno prende quel che vuole per sé senza lasciare nulla a quelli che condividono la casa con lui, né a coloro che dopo di lui verranno. Ciascuno vuole tutto per sé. Ciascuno ha fretta d’approfittare di tutto, ed inizia la distruzione generale, la lotta, la zuffa: la vacca da latte, le pecore non ancora tosate e pregne sono uccise per la carne; gli attrezzi e di carri servono da legna da ardere; gli uomini si battono per del latte, per del grano, essi ne sprecano più di quanto ne prendano. Nessuno può mangiare tranquillo, tutti devono difendere il proprio pezzetto; il più forte ruba al più debole, per essere derubato a sua volta dal più forte di lui.

Alla fine, le persone lasciano la casa, sfiniti, pieni di percosse, affamati. Di nuovo, il padrone rimette in ordine tutta la casa in modo che la gente possa starvi tranquilla. Di nuovo è l›abbondanza, e di nuovo i passanti vengono, e di nuovo è baraonda, zuffa, tutto va di traverso, e nuovamente la gente se ne va sfinita, picchiata ed inasprita, maledicendo e condannando i loro compagni ed il padrone che ha mancato di generosità. Nuovamente, il buon padrone mette a posto questa casa in modo che la gente possa viverci, ma tutto si riproduce, ancora, ed ancora, ed ancora. Ed ecco che un giorno, fra i nuovi arrivi, si trova un maestro, un uomo che dice agli altri: Fratelli! Non stiamo facendo quel che si deve. Guardate quante cose buone abbiamo qui, come tutto è ben organizzato! Ce n›è abbastanza per tutti e ne resterà anche per coloro che verranno dopo di noi, a condizione che viviamo intelligentemente. Smettiamo di spogliarci vicendevolmente, ma, al contrario, aiutiamoci gli uni gli altri. Mettiamoci a seminare, ad arare, a far pascolare il bestiame, e tutti vivranno bene. Ed ecco che qualcuno capisce quel che il maestro ha detto e si mette ad agire seguendo le sue parole. Essi smettono di litigare, di strapparsi l›un l›altro le cose, e si mettono a lavorare. Ma gli altri, coloro che non avevano sentito le parole del maestro, o che le avevano sentite ma non le avevano credute, non fanno ciò che l›uomo dice loro di fare, continuano a battersi ed a sciupare i beni del padrone per poi partirsene. Altri arrivano dopo di loro, e riprende la stessa cosa. Coloro che hanno seguito il maestro continuano a dire. “Non lottate fra di voi, non sprecate i beni del nostro ospite; vivrete meglio. Fate ciò che vi ha detto il maestro”. Ma troppo numerosi sono coloro che non hanno sentito o non hanno creduto, e le cose proseguono come per il passato. Tutto questo era comprensibile e non poteva essere altrimenti dato che gli uomini non hanno creduto a quello che diceva il maestro. Ma ecco, ci si racconta, viene il momento che tutti gli abitanti della casa sentono la voce del maestro, tutti comprendono le sue parole, tutti riconoscono che Dio stesso ha parlato nella persona del maestro, che quel maestro era Dio stesso, e tutti si mettono a credere in ogni parola del maestro ed a considerarla santa. Ora si racconta che dopo tutto questo, invece di vivere tutti in conformità delle parole del maestro, più nessuno resta fuori dalla mischia, ed eccoli cominciare a pestarsi le ossa; adesso, dicono tutti, sappiamo a colpo sicuro che bisogna agire in tal modo, e che non è questione di fare altrimenti.

Cosa significa questo? Anche un animale si arrangia per non sprecare il proprio nutrimento, mentre gli uomini, loro, hanno appreso come vivere meglio, hanno creduto che questo insegnamento venisse loro da Dio, ma la loro vita non ha fatto che peggiorare, perché, dicono, è impossibile vivere diversamente. Ciò vuol dire che gli uomini hanno immaginato altro. Cos’ha mai potuto immaginare la gente della casa, per continuare la stessa vita dopo aver credute le parole del loro maestro, per spogliarsi l’un l’altro, battersi, distruggere i loro beni e distruggersi essi stessi?

Ecco cos’hanno immaginato. Il loro maestro ha detto loro: la vostra vita in questa casa è cattiva, mettetevi in ordine in modo diverso ed essa diventerà migliore, ma, loro, hanno immaginato che il loro maestro avesse condannato ogni vita in quella casa ed avesse loro promesso un’altra vita, migliore, non in questa casa, ma altrove. Ed hanno deciso che quella casa era una locanda e che non valeva la pena provare a curarla bene, ma che bisognava solo stare attenti a non perdere la bella vita che era stata loro promessa altrove. È questa l’unica spiegazione della strana condotta di quelle persone che credono che il loro maestro è Dio o di altri che pensano che è un uomo intelligente e che le sue parole sono giuste; ma che continuano a vivere come prima, contrariamente ai consigli del loro maestro.

Tutti gli uomini hanno sentito, tutti hanno capito, ma una cosa è loro sfuggita: il loro maestro ha semplicemente detto loro che gli uomini dovevano fare la loro fortuna qui, in questa casa ove si erano trovati insieme, ed essi, hanno invece immaginato che questa casa fosse una locanda, e che avrebbero avuto una vera casa altrove. Di là viene questo ragionamento sorprendente, sapere che le parole del maestro sono bellissime, che sono le stesse parole di Dio, ma che è difficile seguirle oggi. Purché gli uomini cessino di distruggersi nell’attesa che qualcuno venga ad aiutarli: il Cristo su una nuvola al suono di trombe o la legge storica, o la legge della differenziazione e dell’integrazione delle forze. Nessuno ci aiuterà se non ci aiutiamo da noi stessi. E sarebbe così facile aiutarci da noi stessi. Sarebbe sufficiente non aspettarci nulla dal cielo, né dalla terra, e smettere di distruggerci. Ma, pur ammettendo che la dottrina del Cristo dia al mondo la beatitudine, che essa sia ragionevole, e che in nome della ragione l’uomo non abbia il diritto di negarla, che mai può fare un uomo solo in un mondo di uomini che non seguono la legge del Cristo?

Se tutte le genti avessero improvvisamente accettato di osservare la sua legge, questo diventerebbe possibile. Ma un uomo solo non può andare contro il mondo intero. “Se io sono solo in un mondo in cui nessuno segue la legge del Cristo, si dice se,  seguendola, io donassi ciò che possiedo, se io porgessi l’altra guancia senza difendermi, se rifiutassi anche di prestare giuramento e di fare la guerra, mi si spoglierà, ed, anche se non morissi di fame, mi si batterà a morte abitualmente, e se anche non mi si battesse, mi si metterà in prigione, o mi si fucilerà; avrei dunque sprecato invano tutta la felicità della mia vita e tutta la mia stessa vita”. Questa obiezione è basata sullo stesso malinteso di quello secondo il quale la dottrina del Cristo sarebbe irrealizzabile. È ciò che vien detto abitualmente, ed è quel che io pensavo sino a che non mi sono completamente affrancato dalla dottrina della Chiesa che mi impediva di comprendere tutto il senso dell’insegnamento del Cristo sulla vita. Il Cristo propone il suo insegnamento sulla vita per salvare gli uomini da questa vita distruttrice che essi fanno fuori dalla sua legge, ed ecco che pretendo di voler seguire questa legge, ma che rimpiango di perdervi la mia vita; il Cristo m’insegna come salvarmi da questa vita di perdizione, ed io rimpiango questa vita di perdizione. È che non considero del tutto questa vita come una vita di perdizione, ma la considero come una vita autentica, che mi appartiene, ed è buona. Sta in questo riconoscimento della mia vita nel mondo, della mia vita individuale come fosse qualche cosa di autentico, che risiede il malinteso che mi impedisce di comprendere l’insegnamento del Cristo.

Il Cristo conosce questo errore degli uomini che fa sì che essi considerino la loro vita individuale come qualcosa di autentico che appartiene loro, ed attraverso tutta una serie di sermoni e di parabole mostra loro che non hanno nessun diritto alla vita, che essi non hanno alcuna vita sino a che essi non acquisiscono la vera vita rinunziando al fantasma della vita, che è ciò che chiamano la vita.

Per comprendere l’insegnamento del Cristo sulla salvezza della vita, occorre per prima cosa comprendere ciò che dicono tutti i profeti, che ha detto Salomone, che ha detto il Buddha, quel che han detto tutti i saggi del mondo al riguardo della vita individuale dell’uomo. Si può, con l’espressione di Pascal, non pensarci, portare davanti a noi dei paraventi che nascondono al nostro sguardo l’abisso della morte verso la quale corriamo senza soste, ma basta pensare a ciò che è la vita individuale dell’uomo per essere persuasi che tutta questa vita, se non è che vita individuale, non ha non solamente alcun senso per ciascun uomo in particolare, ma che essa è una crudele beffa nei riguardi del cuore dell’uomo, della sua ragione, di tutto ciò che vi è di buono nell’uomo. È per questo che, se si vuole comprendere l’insegnamento del Cristo, bisogna prima di tutto risvegliarsi, bisogna che si compia in noi la metanoia, ed è quel che Giovanni, il precursore del Cristo, ha detto a degli uomini che, esattamente come noi, erano nella confusione. Ha detto: “Prima di ogni altra cosa, pentitevi, che significa: aprite gli occhi, sennò perirete tutti”. Ha detto “L’ascia è già posta vicino all›albero per tagliarlo. La morte e la distruzione sono qui, vicine a ciascuno. Non dimenticatelo, recuperate tutta la vostra intelligenza”. Ed il Cristo, cominciando il suo sermone, non dice altro: “Pentitevi, o tutto perirà”.

Luca (XIII,1-5): Si racconta al Cristo la morte dei Galilei uccisi da Pilato. Ed egli risponde: “Credete che quei Galilei fossero peccatori più grandi degli altri Galilei perché hanno sofferto di tale sorte? No, vi dico. Ma se non vi pentite, voi perirete tutti ugualmente”. O forse, quelle diciotto persone. Se avesse vissuto in Russia, nella nostra epoca, avrebbe detto: credete che coloro che sono bruciati nel circo di Berditchev oppure sull’argine del sobborgo di Koukoui fossero più colpevoli degli altri? Voi perirete ugualmente tutti se non vi pentirete, se non troverete nella vostra vita qualcosa di imperituro. La morte di coloro che sono stati schiacciati dalla torre, che sono bruciati nel circo, vi fa terrore, ma la vostra morte, così terribile ed inevitabile, sta comunque di fronte a voi. Ed è invano che tentate di dimenticarlo. Quando verrà all’improvviso, essa sarà ancor più terribile.

Dice (Luca, XII,45-57): “Quando vedete che una nube si leva ad Occidente, voi dite subito: sta arrivando la pioggia. Ed essa arriva davvero. E quando vedete soffiare il vento del sud, dite: farà caldo. E succede. Ipocriti! Sapete distinguere l’aspetto della terra e del cielo; come mai non distinguete questo nostro tempo? E perché non discernete da voi stessi ciò che è giusto?”: Poiché sapete prevedere che tempo farà da certi indizi, come mai non vedete quel che deve avvenire di voi? Avrete un bel rifuggire il pericolo, proteggere la vostra vita, ma, se non vi fate uccidere da Pilato vi farete schiacciare dalla torre, o voi morirete nel vostro letto con ancor maggiori sofferenze.

Fate un semplice calcolo, come fa la gente quando intraprende qualcosa, che si tratti di innalzare una torre, di cominciare una guerra o di costruire una fabbrica. Essi non intraprendono e non perseguono che le cose che devono far capo ad uno scopo ragionevole. Luca (XIV,28-31): “Poiché chi di voi, se vuole costruire una torre, non si siede all’ inizio per calcolare la spesa e vedere se ha di che terminarla,29) per paura che, dopo aver posato le fondamenta, non si possa completarla e che tutti coloro che la vedranno si mettano a deridere dicendo: 30) quest’uomo ha cominciato a costruire, e non ha potuto terminare! 31) O, quale re, se va a far guerra ad un altro re, non si siede all’inizio per esaminare se può, con diecimila uomini, marciare per affrontare chi l’attaccherà con ventimila?”. Non è forse assurdo lavorare a qualche cosa che, qualunque siano i tuoi sforzi, non verrà mai compiuta?

Sempre, la morte verrà prima che sia terminata la torre della tua felicità in questo mondo. E se sai già da prima che avrai un bel lottare contro la morte, ma sarà lei che prevarrà e non tu, non è forse meglio non lottare contro di lei e di non mettere tutta l’anima in ciò che è votato alla perdita, ma di cercare un’opera che non sia distrutta da una morte inevitabile?

Luca (XII,22-27): “Disse poi ai suoi discepoli: È per questo che vi dico non inquietatevi, per la vostra vita, di quel che mangerete, né per il vostro corpo, di cosa sarete vestiti. 23) La vita è più del nutrimento ed il corpo più dei vestiti. 24) Guardate ai corvi: non seminano né mietono, essi non hanno né dispensa né granaio; e Dio li nutre. Quanto valete più dei corvi? 25) Chi di voi, con le sue inquietudini, può aggiungere un cubito alla durata della sua vita? 26) Se dunque non avete potere nemmeno sulla minima cosa, perché vi inquietate del resto? 27) Guardate come crescono i gigli: essi non tessono né filano; tuttavia, vi dico che lo stesso Salomone, in tutta la sua gloria, non ebbe mai una veste pari ad uno qualunque di essi”.

Qualunque sia la preoccupazione che si concede al corpo ed al nutrimento, nessuno può aggiungere alla durata della sua vita anche una sola ora. Comprendete dunque che è dunque assurdo preoccuparsi di una cosa che non si può fare?

(Segue. Le precedenti tre parti di questo saggio sono state pubblicate su “Proposta Radicale” n.8, 9, 10,13, 14-15, 16-17, 18, 21-22)

Mafia. La verità sul dossier mafia-appalti

Mafia. La verità sul dossier mafia-appalti

Audizione dell’avvocato Fabio Trizzino

23 maggio 1992: vicino Capaci con una carica di tritolo, RDX e nitrato d’ammonio, vengono uccisi Giovanni Falcone, la moglie del magistrato, gli uomini della scorta. 19 luglio 1992: a via D’Amelio a Palermo vengono uccisi Paolo Borsellino, magistrato e fraterno amico di Falcone, e la sua scorta. Stragi mafiose, attribuibili alla cosca che faceva capo a Totò Riina. Una chiave di lettura non a caso inedita, giudiziariamente affossata, giornalisticamente trascurata, è quella raccontata in quattro libri: M.M., in codice unico del generale Mario Mori; La verità sul dossier mafia-appalti, sempre di Mori e del colonnello Giuseppe De Donno; Ho difeso la Repubblica. Come il processo trattativa non ha cambiato la storia d’Italia, di Basilio Milio; La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino, di Vincenzo Ceruso.

Chiavi di lettura che hanno trovato uno sbocco istituzionale-parlamentare. La commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, ha ascoltato l’avvocato Fabio Trizzino, che rappresenta i tre figli di Paolo Borsellino, Fiammetta, Lucia, Manfredi e Lucia. Audizioni integralmente trasmesse da Radio Radicale. Proposta Radicale dal n.16-17 ha cominciato a pubblicare gli stenografici di queste sedute, non per caso ignorate dalla grande informazione e da buona parte dei “professionisti dell’antimafia”. Quella che segue è la quarta puntata.

Seduta di lunedì 2 ottobre 2023. Testo del resoconto stenografico.

Presidente Colosimo: “Buongiorno a tutti. L’ordine del giorno reca il seguito dell’audizione di Lucia Borsellino e Fabio Trizzino, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino, a cui rinnovo il benvenuto da parte della Commissione. Prima di dare la parola all’avvocato Trizzino per il prosieguo della sua audizione, tengo a sottolineare che, come indicato la scorsa volta, questa audizione prenderà tutto il tempo necessario per lasciare il giusto spazio sia agli auditi sia a chi vorrà intervenire per domande e richieste di chiarimenti. È già stato convocato un Ufficio di Presidenza anche per stabilire come si dovrà proseguire, una volta conclusa la presente audizione. Do la parola all’avvocato Trizzino, ringraziandolo ancora per la disponibilità.

Trizzino: “Grazie Presidente e grazie a voi che siete qui presenti. Riprendiamo il discorso da dove l’avevamo interrotto e cioè dall’assegnazione, il 18 luglio 1992 di mattina, della titolarità del fascicolo di Gaspare Mutolo a Borsellino. Per noi questa era una circostanza assolutamente pacifica perché consacrata definitivamente, con sentenza anche della Cassazione, nell’ambito dei processi Borsellino-bis, ter e anche quater abbreviato. Senonché, abbiamo dovuto tornarci perché all’udienza del 18 ottobre 2021 presso il tribunale di Avezzano – il dottor Scarpinato devo dire in maniera molto meno decisa rispetto al dottor Lo Forte, il quale rese questa dichiarazione ad Avezzano il 15 novembre del 2021 – in quella sede, dicevo, entrambi hanno sostenuto che in realtà il contenuto della telefonata del dottor Giammanco a Borsellino la mattina del 19 aveva per contenuto la definizione della assegnazione in termini formali del fascicolo relativo alla collaborazione di Mutolo. Entrambi poi sono stati sentiti a distanza di qualche settimana, precisamente il 26 novembre del 2021 a Caltanissetta. Su questa circostanza ovviamente si è ritornati. Mentre ad Avezzano la collega Giannetti ha cercato in tutti i modi di rappresentare al tribunale quanto cristallizzato nelle sentenze definitive, a Caltanissetta – la sede naturale dell’accertamento circa l’assegnazione del fascicolo Mutolo il 18 mattina – i due dichiaranti, che sicuramente non ricordavano bene, hanno finito per ammettere che non erano a conoscenza delle dichiarazioni della signora Agnese Borsellino, soprattutto nell’ambito del procedimento Borsellino uno, dove all’udienza del 23 marzo 1995 venne fatto il racconto circa il contenuto preciso della telefonata che il dottor Borsellino ricevette e del suo grande turbamento, e che si riferiva alla assegnazione tanto reclamata dal Borsellino in relazione a quel famoso segreto di cui Teresi, Ingroia e lo stesso Scarpinato erano stati destinatari. Borsellino vedeva una connessione evidente, per il tramite dell’omicidio Guazzelli e quanto saputo e quanto saprà da Catania. Questo è un altro punto fondamentale con riferimento alla collaborazione di Lipera: Borsellino sa delle cose su Giammanco, per cui da un lato decide di rompere il flusso della comunicazione completa delle informazioni, e dall’altro ha interesse a entrare nel comparto, nella direzione, nel coordinamento delle indagini su Palermo. Incalzati dai pubblici ministeri e dalle parti civili, soprattutto Lo Forte, che era colui che sosteneva con più convinzione che la ricostruzione secondo cui la telefonata del 19 non riguardava Palermo ma Mutolo, è costretto ad ammettere che la sua era una semplice ipotesi. Questo voi lo leggerete dai verbali che non vi leggo qui perché altrimenti ci vorrebbero dieci sedute e non voglio francamente tediarvi.

Dalla lettura dei verbali delle deposizioni, che provvederò a depositare e a cui facevo riferimento, al processo di Avezzano e al processo-depistaggio di Caltanissetta, vi renderete conto che alla fine Lo Forte è costretto ad ammettere che la sua è un’illazione. Tra l’altro essa sembra priva anche di una sua logicità intrinseca, perché a un certo punto Lo Forte dice che probabilmente era accaduto il 18, però poi ha telefonato per confermare. Borsellino si porta il fascicolo di Mutolo e glielo trovano nella borsa subito dopo l’attentato, come ha dichiarato Aliquò in commissione, dicendo che il fascicolo di Mutolo era nella borsa del giudice Borsellino subito dopo l’attentato e che faceva parte delle cose sequestrate, così come da verbale di sequestro. D’altra parte, va ricordato che troverete, nei verbali del CSM, sia Lo Forte, sia Natoli, sia lo stesso Scarpinato ricordare l’episodio della telefonata. Su Scarpinato ho qualche dubbio, ma sicuramente Lo Forte e Natoli – che erano i soggetti che interrogarono Mutolo nel pomeriggio del 17 luglio del 1992 – parlano della famosa telefonata di intercessione a Giammanco per ottenere la delega che finalmente poi avrà il 18 di mattina. Il 18 di mattina la delega Mutolo, sto parlando della delega Mutolo.

 atta questa precisazione che mi consente di riprendere il discorso là dove lo avevo interrotto la volta scorsa, andiamo a vedere un evento fondamentale che precede il famoso incontro del dottor Borsellino alla caserma Carini del 25 giugno del 1992, un incontro segreto. Qui sostanzialmente si conferma l’importanza della lettura dei verbali della commissione del CSM perché nei processi sulla strage di via D’Amelio si è sempre parlato di questo incontro in quanto connesso ai contrasti genericamente intesi – l’assegnazione del fascicolo Mutolo era un evento sentinella di questi contrasti – per cui abbiamo sempre pensato che il dottor Borsellino avesse preferito incontrare il colonnello Mori e il capitano De Donno per questo motivo, perché i rapporti con Giammanco erano pessimi. In un’ottica però di ulteriore rafforzamento di quanto cristallizzato in sentenze definitive, le circostanze si stanno arricchendo, stanno trovando ulteriore riscontro oggettivo esterno a quanto già contenuto nelle sentenze.

Da questo punto di vista vi dimostrerò essere di importanza capitale l’audizione della dottoressa Maria Falcone, che non è mai entrata nei processi, perché finalmente riusciamo ad arricchire e a rafforzare le motivazioni che portarono Borsellino all’incontro segreto. Cosa dice Maria Falcone? Una cosa fondamentale: che in occasione del trigesimo, il 23 giugno 1992, di fronte alla necessità di lei e di Alfredo Morvillo, che aveva perso la sorella, di dichiarare davanti al mondo le ragioni che avevano costretto suo fratello ad abbandonare Palermo, Paolo dice loro: “State calmi perché sto scoprendo delle cose tremende, inimmaginabili”. Alla fine della sua audizione, incalzata giustamente dai commissari del CSM, lei aggiunge che Paolo intanto non riferisce ovviamente i particolari perché è un magistrato all’antica e con gli estranei parla solo quando ha prove e in secondo luogo le dice: «Io metto in relazione la scoperta di queste cose tremende con Giammanco», e le chiede di non uscire con una campagna giornalistica d’attacco nei confronti di Giammanco.

Questo poi lo dovremo recuperare, perché ci sono testimonianze, per esempio di Carmelo Canale, secondo cui Borsellino gli aveva detto che voleva arrestare Giammanco o far arrestare Giammanco. Questo deve essere un elemento estremamente importante. Quindi Borsellino incontra Mori e De Donno fuori dall’ufficio della Procura, perché avrà scoperto delle cose tremende sul conto del suo capo. Ciò, vi rendete conto, arricchisce e rafforza la rappresentazione contenuta nelle sentenze definitive. Si parla di contrasti, ma si parla di circostanze talmente gravi, di cui è a conoscenza Borsellino, che lo hanno vieppiù rafforzato nel convincimento che quel capo era un infedele.   

Immaginate quindi la sorpresa quando abbiamo avuto modo di leggere queste cose, perché ci mancava questo anello che soprattutto ci ha consentito di valorizzare le dichiarazioni rese in diverse sedi sia dal capitano De Donno sia soprattutto dal sostituto procuratore di Catania, Felice Lima, con l’avvio della collaborazione di Lipera che stava fondamentalmente raccontando fatti non solo relativi alla sua posizione rispetto alle indagini del rapporto mafia-appalti. Su questo cercherò di essere telegrafico in questo momento. Egli viene arrestato il 9 luglio del 1991, all’esito della prima tranche degli sviluppi portati avanti dalla Procura di Palermo una volta inserita nel cosiddetto fascicolo Calderone 2789 del 1990 l’annotazione del ROS a cui facevo riferimento prima. Ho dimenticato di leggere la parte più importante.

Ho detto «annotazione», ma dovevo dire «fatti accertati fin dal 1988 nel territorio della regione Sicilia e dell’intero territorio nazionale». Questo è un elemento fondamentale che giustifica l’importanza delle premesse di contesto che ho fatto all’inizio. Dovrò dunque dimostrare la possibilità di una ricostruzione che va a confermare le dichiarazioni del capitano De Donno e soprattutto le dichiarazioni di Felice Lima sul fatto che Borsellino conoscesse in parte le dichiarazioni di Lipera, il quale è vero che comincerà a parlare di accuse verso alcuni magistrati della Procura in relazione all’illecita divulgazione del dossier e su cui per verità c’è stato un procedimento a Caltanissetta, che si è chiuso con un’archiviazione da parte della dottoressa Gilda Lo Forte, che però va letta tutta. Perché in quella ricostruzione emergono i dubbi su chi abbia divulgato il dossier, e vi ho dimostrato che Siino può andare da Guazzelli a chiedere che la sua posizione venga in qualche modo ammorbidita perché Siino tra il 20 febbraio e il 9 luglio 1991 ha conoscenza di un atto che doveva rimanere segreto.

Questo è un discorso che affronterò allorché dovremo occuparci della gestione che la Procura di Palermo fece del rapporto del ROS e delle discovery realizzate, una per certi versi legittima, un po’ troppo larga probabilmente, un’altra assolutamente illegittima, che è quella dell’agosto del 1991, quando Giammanco deposita l’informativa al ministero. Questa è una cosa su cui dobbiamo tornare perché è di una rilevanza fondamentale, anche perché devo dare atto di una querelle. Devo dire che qui il dottor Scarpinato ha negato reiteramene una circostanza, e cioè che il capitano De Donno lo avesse informato subito dopo la collaborazione di Lipera del fatto che Lipera stesse parlando. Scarpinato in ogni sede ha reiteratamente negato che ci sia stato questo incontro prima della morte di Borsellino. Ha confermato che ci fu un incontro, se non erro, nel settembre 1992, a Roma, in cui avrebbe consegnato a De Donno, o meglio: in cui il De Donno gli avrebbe chiesto una copia dell’archiviazione del 13 luglio -14 agosto 1992, su cui dovrò tornare ovviamente, anche e soprattutto in ragione di ciò che abbiamo acquisito, sempre leggendo i verbali della Commissione.

Arriviamo quindi all’incontro alla caserma Carini. Ora abbiamo più particolari:

contrasti con Giammanco, si trattava di una fase in cui Borsellino apprende cose tremende, sa verosimilmente quello che ha cominciato a dire Lipera a Catania e quindi queste sono ragioni più che sufficienti per giustificare l’incontro «carbonaro». Vi dicevo l’altra volta che bisogna capire chi ha attaccato chi, chi si è dovuto difendere e chi, in stato di necessità, doveva in qualche modo cercare di salvare sé stesso da un evento mortale e non c’è riuscito, come sappiamo. La condotta di Borsellino, laddove sia contestabile sotto il profilo disciplinare, con riferimento all’interruzione della circolarità e con riferimento all’incontro «carbonaro» a mio giudizio è totalmente scriminata dall’esistenza di questo stato di necessità. L’incontro alla caserma Carini viene organizzato grazie a una intermediazione. Borsellino chiede al maresciallo Canale di attivarsi per poter incontrare appunto Mori e De Donno. Non deve sfuggire a questa Commissione che Borsellino non conosceva minimamente il capitano De Donno. Borsellino conosceva solo di vista il colonnello Mori e aveva un buon rapporto di stima reciproca con il generale Subranni. Quella è la sede in cui per la prima volta Borsellino conosce personalmente De Donno, sapendolo comunque uno dei più fidati collaboratori di Falcone. Tanto ciò è vero che nel 1998 c’è una dichiarazione al processo Borsellino-ter del capitano De Donno che dice che Falcone gli aveva chiesto la disponibilità, qualora fosse diventato il capo della Procura nazionale antimafia, di andare a lavorare con lui nell’ottica di una costituzione di una squadra investigativa che lavorasse proprio sul dossier mafia-appalti. Sul punto c’è da dire sostanzialmente questo. La data, grazie all’agenda del colonnello Mori, si riesce a stabilire molto semplicemente, ed è il 25 giugno, quindi siamo a due giorni dopo il trigesimo. Sul luogo anche qui fu il colonnello Mori, sentito nei vari processi, a ricordarlo meglio di De Donno, cioè la caserma Carini. La cosa interessante è il racconto che fanno dell’incontro sia il capitano De Donno sia il colonnello Mori. L’incontro fu estremamente rapido, anche perché immaginate il rischio del procedimento disciplinare: sono cose che sono state fatte in un momento di grave pericolo e di grande necessità.

Borsellino andò dritto al punto. Disse che voleva approfondire le indagini di mafia-appalti di cui conosceva i primi esiti. Il 9 marzo 1992 abbiamo la richiesta di rinvio a giudizio del primo troncone nei confronti di Farinella Cataldo, latitante – sembra che si sia dato latitante perché sapeva che c’erano delle indagini – Lipera Giuseppe, Morici Serafino, Falletta, Cascio Rosario, Buscemi Vito, poi c’è un altro nome che in questo momento non ricordo, ma è tutto documentato. Borsellino è come se non sia contento di questi esiti e poi lo scopriremo fondamentalmente il 14, nella riunione in cui ha delle precise istanze, perché Borsellino conosceva perfettamente il dossier, aveva fatto delle indagini di competenza a Marsala.

A differenza di tutti coloro che erano presenti a quella riunione, Borsellino era l’unico che conosceva le carte del rapporto e ve lo dimostrerò. Andò subito dritto al punto. Mori pose come condizione però che se ne occupasse lui. Borsellino, infatti, disse che dovevano riferire solo a lui: vi rendete conto che, in un momento in cui Borsellino non ha neanche la delega su Palermo, arriva a dire a Mori che dovevano riprendere il rapporto mafia-appalti e dovevano riferire solo a lui? Con De Donno invece la situazione è ancora più specifica, perché ora vi racconterò un particolare, dal mio punto di vista estremamente significativo. Borsellino appena vede De Donno gli dice: «Sa, mi hanno parlato malissimo di lei in Procura, io ho preso le mie informazioni e ho riveduto totalmente la mia opinione su di lei». Questo è molto importante perché nel processo Borsellino-bis, Carmelo Canale, il 24 marzo 1988, quando gli viene chiesto come e perché Borsellino organizzi quella riunione – non era tenuto a sapere che Borsellino avesse scoperto delle cose tremende – lui afferma che Borsellino gli disse che siccome in Procura si parlava male di De Donno e siccome era arrivato un anonimo che in Procura attribuiscono a De Donno (questo è un punto fondamentale) che riguarda Catania (altro punto fondamentale) lui voleva andare a incontrare De Donno. Questo spiega anzitutto che Borsellino sapeva di Catania e che Canale lo confermava, dicendo che Borsellino voleva andare a parlare con De Donno dell’anonimo di Catania.

Ora vi leggerò cosa c’è nell’anonimo di Catania. Quindi appena incontrato De Donno gli dice che aveva cambiato opinione, che voleva rivitalizzare il rapporto, perché lì c’è la morte di Falcone, gli chiese di quali uomini e mezzi avesse bisogno, di presentargli una sua squadra, fondamentalmente il sunto del verbale è questo. Quando sarebbe tornato da una rogatoria in Germania ne avrebbero parlato. Considerate che il 26, il 27 e il 28 Borsellino è a Giovinazzo, il 29 abbiamo il famoso incontro con Giammanco, il 30 giugno e il primo luglio si trova a Roma a interrogare Messina e Mutolo, poi il 4 è a Marsala. Poi Borsellino il 6, il 7, l’8 e il 9 è in Germania per la famosa rogatoria che doveva andare a fare, quindi «ne parliamo dopo».

De Donno dice che Borsellino non l’aveva più incontrato: il 25 è stata la prima e l’unica volta in cui ha incontrato Borsellino, perché di fatto, dopo l’arrivo dalla Germania, Borsellino non ha il tempo perché campa per altri sei giorni, campa altri sei giorni. Credetemi, per questo è lunga questa ricostruzione e non posso saltare i passaggi, perché ogni particolare e ogni dettaglio ci consentono storicamente di fare chiarezza una volta per tutte, secondo noi, secondo una plausibile ricostruzione – non portiamo dogmi o verità – su quello che è successo fra le due stragi.

  ul punto è interessante quello che dice Scarpinato sempre nelle famose recenti dichiarazioni ad Avezzano, soprattutto, e a Caltanissetta. Sono dati documentali, io mi limito soltanto a riferire. Scarpinato parla una prima volta dell’interlocuzione con Borsellino nell’aprile del 1999, interrogato dalla Procura di Caltanissetta, nell’ambito del procedimento inerente alle reciproche accuse tra Siino, De Donno e Lo Forte. Scarpinato in quella sede semplicemente dichiara che in un’epoca successiva all’insediamento di Borsellino ebbe a parlare un attimo di mafia e appalti, in piedi, davanti all’ufficio di Borsellino, con una persona presente, la quale gli chiese qualcosa appunto su Pantelleria, ma l’incontro durò pochi minuti e basta. Questa è la prima affermazione di Scarpinato, tanto è vero che se andate a leggere il verbale dell’esame di Scarpinato al processo-depistaggio, il pubblico ministero d’udienza lo incalza in qualche modo parlando di mafia-appalti e Scarpinato dice: «Siccome ho fatto una querela nei confronti di giornalisti, oggi sono in grado di ricostruire meglio la vicenda».

Allora, ci racconta che l’incontro avvenne sicuramente dopo il 17 maggio, perché c’era stato il rinvio a giudizio di Lipera, Cataldo Farinella, Siino Angelo (ecco avevo dimenticato tra i nomi di quelli di prima il «ministro dei lavori pubblici», considerato come tale). Quindi dice che era in grado di riferirlo meglio, cioè che avvenne sicuramente dopo la richiesta di rinvio a giudizio; quindi, sarà stato il 16 o il 17 maggio. L’incontro, emerge dalle carte, in realtà fu chiesto da Borsellino a Ingroia: cioè ci fu la mediazione di Ingroia per parlare con Scarpinato, perché era uno dei titolari del fascicolo relativo alle indagini su mafia-appalti e  Borsellino individuò in Scarpinato, tra quei titolari la persona con cui conferire, tant’è vero che gli rivela il segreto legato alla necessità del collegamento, per il tramite di Guazzelli, Lima-Falcone, e gli dice per favore di non riferire a Giammanco. Scarpinato aggiunge dunque questo ulteriore particolare legato fondamentalmente alla mediazione, cosa che comunque conferma Ingroia, che dice: «Paolo mi chiese a chi potevo rivolgermi. Siccome io ero di Magistratura Democratica come Scarpinato, eravamo della stessa corrente e in più era il titolare del fascicolo».

La cosa veramente importante di quell’esame, che ricavate dall’incrocio delle dichiarazioni rese ad Avezzano e a Caltanissetta, è che Scarpinato ci dice per la prima volta che Borsellino gli aveva detto che aveva avuto o doveva avere un incontro segreto per capire il discorso dell’anonimo di Catania. Questa è una cosa che francamente mi ha fatto saltare in aria perché dell’incontro alla caserma Carini lo sapevano Canale, Mori, De Donno e, per sua stessa ammissione, anche Scarpinato.

Forse questo è un punto che va letto proprio perché è un punto chiave. Scarpinato a un certo punto dice: «Io mi riferivo al corvo-bis che era arrivato il 23 o il 24 giugno». Ma, come ci dice Canale, la necessità dell’incontro non è per il corvo-bis ma è per Catania.

A Catania si dice fondamentalmente questo, ora lo andiamo a prendere se volete. È come se nel suo ricordo – senatore Scarpinato io mi rendo conto, sono passati trent’anni, si può fare una sovrapposizione di ricordi – però a un certo punto in una prima dichiarazione lei si riferisce a al problema…”.

Presidente: “Avvocato, nel racconto si rivolga alla Commissione e non direttamente al singolo commissario, grazie”.

4) Continua

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