Proposta Radicale 26/27 2024
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Saggio

La mia religione

Lev Tolstoi (a cura di Guido Biancardi, undicesima parte)

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Mafia. La verità sul dossier mafia-appalti

Audizione dell’avvocato Fabio Trizzino

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La mia religione

La mia religione

Lev Tolstoi (a cura di Guido Biancardi, undicesima parte)

Sapete perfettamente che la vostra vita terminerà con la morte, e vi preoccupate di assicurarvi la vita procurandovi dei beni. La vostra ridicola menzogna che vi aiuta ad ingannare voi stessi. Il senso della vita, ci dice il Cristo, non può risiedere in ciò che possediamo né in ciò che acquistiamo, in ciò che non sia noi stessi. È per forza altrove.

Ha detto (Luca, XII,16-21): “La vita dell’uomo non dipende dai suoi beni, fosse pure nell’abbondanza. Le terre d’un uomo ricco avevano fruttato molto. 17) Ed egli ragionava fra sé, dicendo: Che farò? Dato che non ho posto per racchiudervi il mio raccolto. 18) Ecco, disse, quel che farò: abbatterò i miei attuali granai, ne costruirò di più grandi, vi ammasserò tutto il mio raccolto e tutti i miei beni; 19) e dirò alla mia anima: anima mia, hai tanti beni di riserva per molti anni; riposati, mangia, bevi, e rallegrati. 20) Ma Dio gli disse: Insensato! Questa stessa notte ti sarà richiesto di restituire la tua anima; e ciò che hai preparato per chi sarà? 21) Così accade a chi ammassa tesori per sé stesso ma non è ricco per Dio”.

La morte si mantiene sopra di voi ad ogni istante. Dunque (Luca, XII, 35,36,38,39,40) “che i vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese. 36) Siate simili a degli uomini che aspettano che il loro padrone ritorni dalle nozze, per aprirgli quando arriverà e busserà. 38)  Sia che egli arrivi alla seconda o alla terza veglia, fortunati quei servitori se li ritroverà veglianti. 39) Sappiatelo, se il padrone della casa sapesse a quale ora il ladro deve venire, veglierebbe e non lascerebbe scassinare la propria casa. 40) Anche voi tenetevi pronti, poiché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora in cui non ci penserete”.

La parabola delle vergini che attendono il loro fidanzato, la fine del secolo (dei secoli) e l’ultimo giudizio (giudizio universale), tutti questi passaggi che ad avviso di tutti i commentatori non possono avere altro senso che quello della fine del mondo, significano, in verità, che sempre a qualsiasi ora la morte è in agguato. La morte vi aspetta ad ogni istante. La vostra vita si svolge in vista della morte. Se non operate che per il vostro proprio avvenire, sapete voi stessi di non avere che un solo avvenire, la morte. E questa morte verrà a distruggere ogni vostra opera. Non ha alcun senso, quindi, vivere per sé stessi. Se esiste una vita dotata di senso, essa dev’essere diversa, avere un obiettivo altro dal proprio avvenire. Per vivere secondo la ragione, bisogna vivere in modo che la morte non possa distruggere la vita.

Luca (X, 41): “Marta, Marta, tu t’inquieti e ti agiti per molte cose. Una sola cosa è necessaria”. Le innumerevoli cose che facciamo per il nostro proprio avvenire sono inutili. Non sono che delle illusioni per mezzo delle quali ci auto-inganniamo. Non abbiamo bisogno che di una cosa. Dopo il giorno della sua nascita, la situazione dell’uomo è tale che egli è irrimediabilmente perduto, ovvero votato ad una vita assurda ed a una morte assurda; a meno che non trovi quell’unica cosa di cui ha bisogno per la vera vita. Quest’unica cosa, che dà la vera vita, il Cristo la rivela agli uomini. Egli non la inventa, non promette di donarla grazie alla sua potenza divina; non fa che mostrare agli uomini che a fianco della vita individuale che è senza dubbio un’illusione, deve esserci qualcosa che non è illusione, ma verità.

Per tramite della parabola dei vignaioli (Matteo, XXI, 33-42), il Cristo spiega l’origine di quell’errore che vela questa verità agli uomini e li spinge a prendere lo spettro della vita, la loro vita individuale, per una vita vera.

Degli uomini che vivono in un giardino piantato dal loro padrone hanno immaginato di esserne i padroni. Da questo errore discende una serie di atti insensati e crudeli che queste persone commettono prima di essere cacciati, esclusi dalla vita; nello stesso modo, abbiamo immaginato che la vita di ciascuno di noi è nostra proprietà, che vi abbiamo diritto e che possiamo profittarne come ne abbiamo voglia senza dover rendere Degli uomini che vivono in un giardino piantato dal loro padrone hanno immaginato di esserne i padroni. Da questo errore discende una serie di atti insensati e crudeli che queste persone commettono prima di essere cacciati, esclusi dalla vita; nello stesso modo, abbiamo immaginato che la vita di ciascuno di noi è nostra proprietà, che vi abbiamo diritto e che possiamo profittarne come ne abbiamo voglia senza dover rendere conto alcuno. Ed avendo immaginato questo, non possiamo evitare la stessa serie di atti insensati e crudeli e di sciagure, né d’essere esclusi dalla vita. E, come i vignaioli credono che più saranno crudeli, più essi assicureranno il proprio avvenire, e uccidendo i messaggeri ed il figlio del padrone, così noi crediamo che più saremo cattivi meglio assicureremo la nostra esistenza.

I vignaioli che non danno a nessuno i frutti del giardino finiscono per essere cacciati e gli uomini che hanno immaginato che la loro vita individuale fosse una vera vita conoscono la medesima sorte. La morte li caccia dalla vita, sostituendoli con degli altri; non come punizione, ma perché questi uomini non hanno capito la vita. Come gli abitanti del giardino hanno dimenticato o non han voluto sapere che era stato loro affidato un giardino coltivato, circondato da una cinta, con un pozzo già scavato, e che qualcuno avendo lavorato per loro si aspettava che anch’essi vi lavorassero, così sono gli uomini che non vivono che la loro vita individuale, che hanno dimenticato o vogliono dimenticare tutto ciò che è stato fatto per loro prima della loro nascita e durante la loro vita e quel che ci si aspetta da loro; essi desiderano dimenticare che tutti i beni della vita di cui gioiscono sono stati loro donati, continuano ad essere donati, e che devono dunque essere resi e trasmessi. Questa correzione della nostra visione del mondo, questa metanoia, è la pietra angolare dell’insegnamento del Cristo, così come l’ha detto alla fine di questa parabola.

Secondo questo insegnamento, proprio come i vignaioli che vivono in un giardino che non è stato piantato da loro devono comprendere e sentire che non potranno mai pagare il loro debito al padrone, così gli uomini devono comprendere che dalla loro nascita sino alla morte essi hanno sempre un debito illimitato verso qualcuno, verso quelli che hanno vissuto prima di loro e quelli del loro medesimo tempo, e quelli che verranno più tardi e davanti a ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà il principio di tutto. Essi devono comprendere che ogni ora della loro vita conferma questo debito; è perciò che l’uomo che non vive se non per sé stesso, che nega tale debito. collegandolo alla vita ed ai suoi principi, si priva da sé stesso di vita e deve arrendersi all’evidenza che vivendo in quel modo, in luogo di conservare la sua vita, così come desidera, egli non fa che perderla; cosa che il Cristo ripete a più riprese.

La vera vita è unicamente quella che prolunga la vita passata, che contribuisce al bene della vita presente e della vita futura. Per prender parte a questa vita, l’uomo deve rinunciare alla sua volontà così da compiere la volontà del Padre della vita, di colui che l’ha data al Figlio dell’uomo.

Giovanni (VIII,35): “Lo schiavo che fa la sua volontà e non quella del suo padrone non abita sempre nella casa del padrone; solamente il figlio che compie la volontà del Padre vi abita sempre, dice il Cristo in un altro passaggio per esprimere la medesima idea”. Ora la volontà del Padre della vita è la vita stessa, non quella di un solo uomo, ma quella dell’unico Figlio dell’uomo che vive in tutti gli uomini; così l’uomo non conserva forse la vita che quando egli la considera come un pegno, come un talento che gli è stato donato dal che quando  egli la considera come un pegno, come un talento che gli è stato donato dal Padre in modo che egli serva la vita di tutti, dacché egli non vive per se stesso, ma per il Figlio dell’uomo.

Matteo (XXV, 14,46): “Un padrone lascia i suoi servitori senza dir loro nulla dopo aver loro distribuito i suoi beni. Gli uni, anche se il loro padrone non ha detto come utilizzare la loro parte, comprendono che quel bene non appartiene loro, che appartiene sempre al padrone, e che quel bene deve aumentare; così lavorano per il loro padrone. E questi servitori che lavorano per il loro padrone prendono parte alla vita del loro padrone, mentre a coloro che non lavorano viene ritirato quel che è stato loro dato”.

La vita del Figlio dell’uomo è stata data a tutti gli uomini e non si dice loro perché essa è data loro. Gli uni comprendono che questa vita non è loro proprietà, che essa è stata loro attribuita come un dono e che deve servire la vita del Figlio dell’uomo, ed essi vivono conseguentemente. Altri, con il pretesto di non comprendere lo scopo della vita, non servono la vita. E coloro che servono la vita si congiungono con la sorgente della vita, mentre coloro che non servono la vita, la perdono. Nei versetti dal 31 al 46, il Cristo spiega come si serve il Figlio dell’uomo e quale è la ricompensa di questo servizio. Secondo l’espressione del Cristo, il figlio dell’uomo dirà, nella sua qualità di re 34): “venite, voi che siete stati benedetti da mio Padre; prendete possesso del regno, perché mi avete dato da bere, da mangiare, mi avete vestito, accolto, consolato, poiché sono sempre lo stesso, l’unico in voi, ed in ciascuno di quei più piccoli dei miei fratelli di cui avete avuto pietà e che avete aiutato. Non avete vissuto la vostra vita individuale, ma quella del Figlio dell’uomo ed è per questo che avete la vita eterna”.

E’ unicamente questa vita eterna che il Cristo ci insegna secondo tutti i Vangeli, e per quanto strano possa sembrare, il Cristo, che è lui stesso resuscitato e che ha promesso di risuscitare tutti, non ha non solamente mai pronunziato una sola parola in cui si affermasse la resurrezione personale né l’immortalità dell’individuo dopo la morte, ma ha sempre interpretato il ristabilimento dei morti nel regno del Messia così come era stato professato dai farisei, in una maniera che escludeva l’idea di una resurrezione individuale. I sadducei contestavano il ristabilimento dei morti. I farisei lo riconoscevano alla maniera in cui lo riconoscono oggi gli Ebrei ortodossi.

Il ristabilimento dei morti (e non resurrezione, erronea traduzione della parola) si compirà, secondo le credenze ebraiche, allorché verrà il secolo del Messia ed il regno di Dio si stabilirà su questa terra. Questa credenza in una risurrezione in un tempo ed in un luogo, e nella carne, il Cristo la sostituisce con la sua dottrina del ristabilirsi della vita eterna in Dio. Quando i sadducei, che non riconoscono il ristabilimento dei morti, domandano al Cristo, pensando che condivida il punto di vista dei farisei, chi sarà lo sposo della donna che ha sposato sette fratelli, egli risponde in maniera chiara e precisa.

Dice loro (Matteo, XXII; 29-30; Marco, XII, 24-27; Luca, XX, 34-38): “Vi smarrite, non comprendete le Scritture né la potenza del Signore”. E respingendo il modo di vedere dei farisei, prosegue: “il ristabilimento dei morti non sarà né carnale né individuale. Coloro che vi pervengono diventano figli di Dio e vivono come angeli (la potenza di Dio) nel cielo (ovvero con Dio), e non si saprebbero esserci per loro questioni individuali, come ad esempio, chi sarà la moglie di chi, poiché, fondendosi con Dio, essi cessano di essere degli individui”. Per ciò che è il ristabilimento dei morti, dice opponendosi ai sadducei che non riconoscono che la vita terrestre, null’altro che questa vita terrestre e carnale, non avete dunque letto ciò che Dio vi ha detto? Si legge nelle Scritture che davanti al cespuglio Dio aveva detto a Mosè: Io sono il Dio d’Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe. Se Dio ha detto a Mosè di essere il Dio di Giacobbe, è che Giacobbe per Dio non è morto, poiché questo Dio è solo il Dio dei vivi, e non il Dio dei morti. Per Dio tutti sono vivi. È per questo che, se esiste un Dio vivente, un uomo che è in comunione con questo Dio eternamente vivo, resta vivo. Ai farisei, il Cristo dice che il ristabilimento della vita non saprebbe essere carnale e personale. Ai sadducei replica che al di fuori della vita individuale e temporanea esiste ugualmente una vita di comunione con Dio.

Pur negando la resurrezione individuale nella carne, il Cristo riconosce il ristabilimento della vita nel fatto che l’uomo depone la sua vita in Dio. Il Cristo ci insegna a salvarci da questa vita personale, e pone questa salvezza nel fatto di magnificare il Figlio dell’uomo e di vivere in Dio. Ricollegando questa dottrina a quella degli Ebrei sull’avvento del Messia, parla loro del ristabilimento del Figlio dell’uomo fra i morti, intendendo con questo non il ristabilimento carnale ed individuale dei morti, ma il risveglio di una vita in Dio. Quanto alla resurrezione nella carne, la resurrezione individuale, non ne parla mai. E per meglio provare che il Cristo non predica mai la resurrezione, riferiamoci a quei due unici passaggi che i teologi citano a guisa di conferma della sua dottrina della resurrezione. Si tratta di Matteo (XXV, 31-46), e di Giovanni (V, 28-29). Il primo passaggio parla della venuta del Figlio dell’uomo, del suo ristabilimento nella gloria (nei medesimi termini da Matteo (X, 23); in seguito la sua gloria e la sua potenza sono paragonate a quelle di un re. Nel secondo passaggio si tratta di ristabilire la vera vita qui, sulla terra, così come è detto precedentemente nel versetto 24.

È sufficiente riflettere al senso dell›insegnamento del Cristo sulla vita eterna in Dio, basta, ricostituire nella sua memoria l›insegnamento dei profeti ebrei per comprendere che se il Cristo avesse voluto predicare la dottrina della resurrezione dei morti, che all›epoca cominciava giusto ad entrare nel Talmud e che era l›oggetto di una disputa, avrebbe esposto questa dottrina in una maniera chiara e precisa. Invece, non solamente non l›ha fatto, ma al contrario ha rifiutato questa dottrina, ed in tutti i Vangeli non si può trovare alcun passaggio che la confermi. I due passaggi sopra citati significano tutta un›altra cosa. Per quanto strano possa sembrare a colui che non ha studiato da sé medesimo i Vangeli, il Cristo non parla in nessuna parte della propria resurrezione. Se, come dicono i teologi, il fondamento della fede cristiana è nella resurrezione del Cristo, allora, sembrerebbe il minimo che si sarebbe potuto augurare, sarebbe che il Cristo, sapendo che sarebbe resuscitato e che questo avrebbe rappresentato il dogma principale della fede in lui, l›annunciasse non fosse che per una volta in maniera chiara e precisa. Ora, non soltanto non lo fa, ma non vi fa nemmeno alcuna allusione in nessuno dei Vangeli canonici. L›insegnamento del Cristo consiste nel magnificare il Figlio dell›uomo, ovvero l›essenza della vita umana, a riconoscersi come figlio di Dio. Il Cristo incarna l›uomo che ha riconosciuto la sua relazione filiale con Dio (Matteo, XVI, 13-20). Egli domanda ai suoi discepoli quel che la gente dice del Figlio dell›uomo, di lui stesso. I suoi discepoli rispondono che certuni lo prendono come Giovanni miracolosamente resuscitato, per un profeta o per Elia disceso dal cielo. E voi, domanda, chi dite che io sia? Allora Pietro, che comprende il Cristo esattamente nello stesso modo in cui egli stesso si comprende, risponde: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente”; ed il Cristo gli risponde: “Non sono la carne e il sangue che ti hanno rivelato questo, ma nostro Padre che è nei cieli”. In altre parole, tu hai compreso tutto questo non perché hai creduto ai commentari degli uomini, ma perché tu, riconoscendo te stesso come figlio di Dio, mi hai compreso. Poi, dopo aver spiegato a Pietro che è su questa relazione filiale con Dio che si costruisce la vera fede, il Cristo raccomanda agli altri discepoli di non dir più che lui, Gesù, è il Messia. .

Dopo di che, il Cristo dice che sarà torturato e ucciso, ma, malgrado ciò, il Figlio dell’uomo, che si è riconosciuto come Figlio di Dio sarà rivelato e risollevato e trionferà su tutto. Sono precisamente queste parole che sono interpretate come l’annuncio della resurrezione. Giovanni (II, 19,22), Matteo (XII, 40), Luca (XI, 30), Matteo (XVI, 4,21), Marco (VIII, 31), Luca (IX, 22), Matteo (XVII, 23), Marco (IX, 31), Matteo (XX, 19), Marco (X, 34), Luca (XVIII, 33), Matteo (XXVI, 32), Marco (XIV, 28): ecco i quattordici passaggi interpretati come un annuncio della sua resurrezione del Cristo. Tre fra di essi parlano di Giona nel ventre della balena, un altro del tempio ricostruito. Gli altri dieci passaggi dicono che il Figlio dell’uomo non può essere distrutto, ma in nessuna parte si trova una parola che annunci la resurrezione di Gesù il Cristo.

L’originale di questi passaggi non comporta nemmeno la parola “resurrezione”. Affidate la traduzione di questi passaggi ad un uomo che ignori i commentari dei teologi, ma che conosca il greco: egli non li tradurrà mai nel modo in cui sono stati tradotti. L’originale adotta, in quei passaggi, due parole diverse: άνισιημι ed έγειρω. La prima di queste parole significa “rialzare”, la seconda “risvegliare” o il riflessivo “risvegliarsi”, “alzarsi”. Ma in nessun caso né l’una né l’altra può significare “risuscitare”. Per convincersi che queste parole greche, così come il loro corrispondente in ebraico “kum”, non possono significare risuscitare, è sufficiente mettere a confronto i passaggi del Vangeli ove queste parole sono utilizzate; ora, essi sono molto frequenti, ma in nessun momento le si traducono con “resuscitare”, né con, in tedesco, “auferstehen”; questa nozione non esiste né in greco né in lingua ebraica, e non esisteva nemmeno a quell’epoca. Per esprimere l’idea di resurrezione, occorreva, in greco come in ebraico, ricorrere ad una perifrasi; occorreva dire “si è alzato” o “si è risvegliato” fra i morti. Così, quando il Vangelo secondo san Matteo (XIV, 2) dice che Erode pensava che san Giovanni Battista fosse “resuscitato”, vi si trova l’espressione “si è risvegliato fra i morti”. Nella stessa maniera, nel Vangelo secondo san Luca (XVI, 31), nella parabola su Lazzaro, dove è detto che, anche se qualcuno fosse resuscitato non lo si sarebbe creduto, si legge “si sarebbe rialzato fra i morti”. Là dove le parole “rialzarsi, svegliarsi” non comportano la menzione “fra i morti”, queste parole non hanno mai significato, né possono significare “risuscitare”. Ora, parlando di sé stesso, in alcuno dei passaggi che si citano abitualmente per provare che egli annuncia la sua resurrezione, il Cristo non impiega una sola volta le parole “dai morti”.

La nostra nozione di risurrezione è così estranea a quella che gli ebrei hanno della vita che è impossibile immaginare che il Cristo possa aver parlato loro di risurrezione e di una vita eterna, individuale, alla quale ciascun uomo ha diritto. La nozione di vita futura non ci perviene dal giudaismo né dall’insegnamento del Cristo. Essa è entrata nella dottrina della Chiesa provenendo da altrove. Per quanto strano possa sembrare, bisogna dire che questa credenza in una vita futura individuale è un’idea molto povera e grossolana, basata sulla confusione fra il sonno e la morte, propria di tutti i popoli primitivi, e che il giudaismo, senza parlare del cristianesimo, era incomparabilmente al di sopra di questa idea. Ora, persuasi che questa superstizione è qualcosa di molto nobile, noi consideriamo (con la più grande serietà) come prova dei vantaggi della nostra dottrina sulle altre, il fatto stesso che questa superstizione ci sia cara; il che non è il caso, in particolare, dei Cinesi e degli Hindù. Questa prova è portata avanti non solo da teologi ma anche dagli storici delle religioni, liberi pensatori quali, Thele, Max Muller ecc. Nella loro classificazione delle religioni, essi riconoscono che quelle che condividono questa superstizione sono al di sopra di quelle che non la condividono. Il libero pensatore Schopenhauer non esita a trattare il giudaismo come la più abietta (niedertrachtigste) delle religioni, poiché la nozione dell’immortalità dell’anima vi è assente (keine Idee). In effetti questa nozione non esiste nel giudaismo, non più della sua stessa espressione. La vita eterna in ebraico si dice haiè-oilom. Oilom significa incrollabile nel tempo. Oilom significa egualmente il mondo, il Cosmo. Secondo il giudaismo, la vita in generale, e soprattutto la vita eterna, haiè-oilom, è proprietà di Dio solo. Dio è il Dio della vita, il Dio vivente. L’uomo, secondo gli ebrei, è sempre mortale; solo Dio è sempre vivo. L’espressione “vita eterna” è impiegata due volte nel Pentateuco, nel Deuteronomio (169-173) e nella Genesi. Nel Deuteronomio (XXXII, 39,40), Dio dice: “Sappiate dunque che io sono colui che sono. Che non vi è affatto altro Dio fuorché me; io faccio vivere, io faccio morire, io ferisco ed io guarisco, e nessuno è liberato da me; io levo la mia mano verso il cielo e dico: io vivo eternamente”. 

Nell’altro passaggio, nella Genesi (III, 22), Dio dice: ecco, l’uomo ha mangiato il frutto della conoscenza del bene e del male, ed è divenuto come noi (uno di noi); impediamogli ora di allungare la sua mano, di prendere dell’albero della vita, di mangiarne, e di vivere eternamente. Questi due unici impieghi dell’espressione “vita eterna” +nel Pentateuco ed in tutto l’Antico Testamento (con l’eccezione di un capitolo del libro di Daniele apocrifo), mostrano chiaramente la rappresentazione che gli Ebrei avevano della vita in generale e della vita eterna. La vita in quanto tale, secondo gli Ebrei, era eterna per il fatto stesso che essa è in Dio. Quanto all’uomo, egli è sempre mortale; tale è la sua natura.

(segue)

Mafia. La verità sul dossier mafia-appalti

Mafia. La verità sul dossier mafia-appalti

Audizione dell’avvocato Fabio Trizzino

3 maggio 1992: vicino Capaci con una carica di tritolo, RDX e nitrato d’ammonio, vengono uccisi Giovanni Falcone, la moglie del magistrato, gli uomini della scorta. 19 luglio 1992: a via D’Amelio a Palermo vengono uccisi Paolo Borsellino, magistrato e fraterno amico di Falcone, e la sua scorta. Stragi mafiose, attribuibili alla cosca che faceva capo a Totò Riina. Una chiave di lettura non a caso inedita, giudiziariamente affossata, giornalisticamente trascurata, è quella raccontata in quattro libri: M.M., in codice unico del generale Mario Mori; La verità sul dossier mafia-appalti, sempre di Mori e del colonnello Giuseppe De Donno; Ho difeso la Repubblica. Come il processo trattativa non ha cambiato la storia d’Italia, di Basilio Milio; La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino, di Vincenzo Ceruso.

Chiavi di lettura che hanno trovato uno sbocco istituzionale-parlamentare. La commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, ha ascoltato l’avvocato Fabio Trizzino, che rappresenta i tre figli di Paolo Borsellino, Fiammetta, Lucia, Manfredi e Lucia. Audizioni integralmente trasmesse da Radio Radicale. Proposta Radicale dal n.16-17 ha cominciato a pubblicare gli stenografici di queste sedute, non per caso ignorate dalla grande informazione e da buona parte dei “professionisti dell’antimafia”. Quella che segue è la quinta puntata.

Seduta di lunedì 2 ottobre 2023. Testo del resoconto stenografico

Avv. Fabio Trizzino (legale dei figli di Paolo Borsellino, Fiammetta, Lucia, Manfredi): “Chiedo scusa per questa intemperanza. Scarpinato sovrappone, nel senso che mette insieme l’anonimo del maggio del 1992 con quello del 23 e 24 giugno del 1992. In termini logici, considerato tutto quello che è l’altro materiale acquisito, cioè in primis la dichiarazione di Canale – a cui viene chiesto da Borsellino di organizzare l’incontro – quand’anche fosse il corvo-bis questo non cambia nulla, perché, essendo arrivato quell’anonimo il 23 o il 24 giugno, Borsellino dice a Scarpinato: «Io domani andrò a incontrare i ROS». L’importante, cioè, è che tutto ciò che riguarda gli anonimi sia prima del 24 e soprattutto – questa è una circostanza che non c’era mai stata detta – che anche Scarpinato era stato destinatario di una confidenza; lo dichiara lui, non lo dico io: attenzione, lo dichiara lui al processo di Avezzano e di Caltanissetta, noi non lo sapevamo, noi avevamo la dichiarazione di Scarpinato dell’aprile del 1999, punto. È un altro elemento che si aggiunge. Comunque sia, Borsellino dice a Scarpinato che aveva, o avrebbe fatto un incontro segreto con i ROS; questa è l’altra circostanza assolutamente nuova. A questo punto, vi leggo proprio quanto riferito il 18 ottobre del 2021 ad Avezzano: «Lo sto dicendo perché c’è un accenno a mafia-appalti, mi chiese cosa ne pensavo, mi disse che era molto rilevante o era qualcuno che voleva depistare, ed era rilevante lo stesso. Mi disse che gli avevano detto che forse quell’anonimo poteva venire dall’ambiente del ROS», perché alla fine dell’anonimo si diceva: «rivedetevi l’inchiesta mafia-appalti» … «Mi disse che avrebbe avuto degli incontri segreti di cui non dovevo parlare con Giammanco per capire chi fosse l’autore di quell’anonimo, quello fu l’unico accenno che mi fece».

Queste sono le parole. Se noi consideriamo che questa circostanza non c’è mai stata detta prima, quindi il numero delle persone che conoscono dell’incontro segreto con Borsellino aumenta. Non mi risulta dalla lettura delle sentenze che anche il corvo-bis venisse attribuito al ROS. Era l’appunto su Lipera che viene attribuito al ROS, e quello arriva il 30 aprile del 1992 al ROS, il 3 viene spedito a Catania in cui arriva il 6 e da qui iniziano le indagini di Lima; il 12, con ricevuta di Lo Forte, quell’anonimo è nelle mani della Procura di Palermo. In quell’anonimo c’è scritto sostanzialmente questo: «Spremete Lipera a Catania perché guardate che la Rizzani de Eccher di Udine ha fatto tante anomalie con riferimento a Mascali e altro, quindi fate parlare Lipera che sa tante altre cose perché ci sono stati pochi arresti» … Rimane dunque questo contrasto, ma alla fine la sostanza poco cambia dal mio punto di vista. Borsellino vuole sapere perché è in atto una campagna di delegittimazione nei confronti del ROS, questo è il punto chiave. Borsellino, quando incontra De Donno, gli dice: «Di lei parlano tutti male, lo considerano un esaltato, io invece ho avuto modo di prendere le mie informazioni e so che lei è una persona veramente in gamba». Questo gli dice Borsellino, secondo la testimonianza di De Donno, ovviamente; però il fatto stesso che voglia organizzare un incontro segreto, voglia rivitalizzare… tutto conduce verso un’attestazione di fiducia verso il ROS e il lavoro che stava svolgendo… Quindi si lasciano con questo intento e poi sappiamo che è finita e Borsellino non ha potuto procedere oltre…

  n attimo indietro: volevo dire che tornare al malessere e al tentativo di Borsellino di raccogliere elementi contro il Procuratore per iniziative giudiziarie, attenzione, non per fare una semplice contestazione, cioè per trasmettere all’autorità competente, Caltanissetta. Ce lo dice la stessa dottoressa Antonella Consiglio nella sua audizione dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura: afferma che Antonio Ingroia le disse che Paolo stava cercando di raccogliere tutto il materiale per poi mandarlo all’autorità competente; e poi, dice, è finita.  Non sto qui a tediarvi sulle modalità dell’incontro, su chi si mise in mezzo e chi no. Ecco cosa dice esattamente l’anonimo arrivato il 30 aprile del 1992, trasmesso anche a Palermo: «Se volete scoprire gli imbrogli degli appalti a Catania interrogate Lipera che è arrestato a Palermo. Come mai la ditta di Udine ha preso lavori e ha fatto costruzioni in tutta la provincia? Controllate Mascali e Villafranca. Chiedete informazioni al giudice Lima (Felice Lima di cui dovremmo parlare) che ha fatto arresti, ma è ancora troppo poco». Su questo voglio dire che il dottor Lima ha dichiarato nel 1996, davanti al Consiglio Superiore della Magistratura, nell’ambito di un procedimento disciplinare, che il suo capo Gabriele Alicata era d’accordo con lui nel considerare che questo anonimo provenisse dall’imputato Susinni, che si era sempre rifiutato di parlare e aveva rinfacciato a Lima, nell’ambito dei procedimenti per cui era sotto processo, che avevano preso il pesce piccolo e stavano trascurando altre importanti piste d’indagine. Per cui Lima di fronte all’arrivo di questo anonimo parla con il dottor Alicata e convergono nel considerare un possibile autore dell’anonimo lo stesso Susinni.

 eniamo presente questa campagna di delegittimazione quale sembrerebbe emergere dalla lettura degli atti nei confronti di De Donno, perché in quel momento i ROS sono probabilmente il nemico, e quindi c’è un problema legato ai ROS in Procura. I ROS si sono lamentati del fatto che al rapporto non è stata data la giusta valorizzazione. Lo pensava anche Falcone e ve lo dimostrerò; lo pensava anche Borsellino e ve lo dimostrerò. Quindi tra la Procura di Palermo e i vertici del ROS i rapporti diventano sempre più tesi; la questione diventa ancora più potente quando da uno scambio di lettere tra il generale Subranni e Giammanco, al di là del burocratese e delle formule, in realtà emerge il dispiacere del generale Subranni che lamenta l’eccessiva discovery del deposito degli atti al tribunale del riesame; e vi dimostrerò un esempio di discovery eccessiva. Per me è una possibile ricostruzione che è nulla di fronte all’iniziativa di Giammanco di inviare il plico al Ministero e forse, qui non sono sicuro, addirittura alla Presidenza della Repubblica e alla Presidenza del Consiglio: quasi a delegare all’autorità politica la risoluzione delle potenzialità investigative connesse a un atto di rilevanza penale, a una notizia di reato.

Non si è mai sentito dire che un rapporto che costituisce notizia di reato venga spedito alle autorità politiche. Questo per dire a chi oggi, giornalisti autorevoli, mi dice che il rapporto era una pista di nulla. Se era una indagine come le altre, non vedo perché Giammanco, violando la legge, manda il rapporto a Falcone e al ministro Claudio Martelli.

In realtà c’è una lettera con cui Martelli duramente rispedisce al mittente l’iniziativa di Giammanco; e Falcone, con la Ferraro che materialmente redige l’altra lettera istituzionale, chiede al CSM di procedere nei confronti di Giammanco per la grave irregolarità che aveva compiuto; ma ovviamente, siccome non c’erano Falcone e Borsellino di mezzo, che sono stati costretti, anche per delle interviste, a doversi giustificare, lì il discorso cambia.

 u questo poi mi attarderò un poco, sono i passaggi fondamentali, altrimenti non si capisce perché Borsellino si lamenta. È importante riuscire a dimostrare l’enorme divaricazione tra le potenzialità investigative del dossier e i risultati concreti in termini procedurali. Vi basti solo un dato, per il momento. Borsellino sulla base di un appalto relativo al porto turistico di Pantelleria nel maggio del 1991, arresta 17 persone – un appalto! – tra cui il sindaco Petrillo, che troveremo anche nel rapporto, con riferimento a tre gare importanti di Pantelleria. Da quel rapporto gigantesco di quasi mille pagine alla fine ci sono stati sette arrestati e nient’altro. Lì c’è disegnato il mondo, non è solo la SIRAP; perché c’è il Consorzio Cempes, 400 pagine sui lavori legati al collettore emissario est, i lavori per la circonvallazione, i lavori dello stadio di Palermo e di via Lanza di Scalea, una roba indescrivibile… Non è solo la SIRAP, che è una delle stazioni appaltanti, lì le stazioni appaltanti sono tante. Questo poi lo vedrete: di tutte queste cose vi lascerò documentazione, avrete alla fine della mia relazione una sessantina di allegati e facendo riferimento a questa ipotesi ricostruttiva in cui cerco di fornirvi degli assist interpretativi – che vanno presi come tali, non sono verità – potete in qualche modo orientarvi.

Non l’ho detto l’altra volta, ma ho cominciato a dedicarmi a questo lavoro nel 2015, questo è un punto fondamentale: fino al 2015, per motivi anche intuibili, la famiglia si è tenuta lontana da queste carte per un motivo molto semplice: noi non viviamo più, l’elaborazione del lutto è impossibile, a questo punto noi siamo costretti. Oggi è la festa dei nonni: quel nonno che Borsellino non poté mai essere; quindi, è una questione proprio di dignità e di impegno. Le nuove generazioni della famiglia, anziché in qualche modo cercare di vivere la propria vita, sono costrette a impegnarsi in questa ricerca della verità, che non è semplice.

Non è semplice, perché anch’io faccio fatica a esprimere il tutto, ma mi sono imposto un certo rigore metodologico perché è sugli atti che voglio essere contrastato, sul campo delle dichiarazioni, delle interpretazioni e, soprattutto, dando per scontato che siamo in una democrazia costituzionale che ci dice che le sentenze definitive in questo Paese hanno un valore, salvo l’istituto della revisione, e noi ne sappiamo qualcosa, perché il processo uno e il processo bis sono stati totalmente abbattuti sulla scorta delle emergenze e del grandissimo lavoro fatto dalla procura del dottor Lari e di tutti i magistrati che vi si sono avvicendati, un lavoro sfiancante e terribile per cui sono dovuti ripartire dalle fondamenta.

 l 25 giugno per Borsellino è una giornata altrettanto importante perché, dopo l’incontro alla caserma Carini di cui vi ho parlato, abbiamo il suo testamento spirituale a Casa Professa. 

Casa Professa è il testamento spirituale di un uomo. Lì sostanzialmente firma la sua condanna a morte. Nel momento in cui dice: «Io sono testimone, io so cose che devo riferire all’autorità giudiziaria», da quel momento convergono numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia che dicono Borsellino in quel modo si sovraespose. Molto importante è una dichiarazione che farà poi Siino nel 1997 quando racconterà che si trovava a Termini Imerese per un processo e stava con Montalto Salvatore. Tenete a mente questo boss, Montalto Salvatore, che riferisce a Siino: «Cu ciu purtava a Borsellino di parrari di queste cose?». Sapete perché la figura di Montalto, secondo noi, è fondamentale? Perché è direttamente ricollegabile alla famiglia di Passo di Rigano di Salvatore Buscemi.

Noi siamo arrivati alla conclusione che i soggetti esterni, magari ce ne sono altri, non lo voglio escludere, che chiesero a Riina l’esecuzione accelerata della morte di Borsellino fanno parte di quel mondo della famiglia dell’Uditore-Passo di Rigano da cui provengono Salvatore e Nino Buscemi, Lipari Giuseppe, tutti quei soggetti che nell’archiviazione del 13 luglio come vi ricordavo vengono sostanzialmente liquidati con tre parole tre, quando nel rapporto vi è una descrizione compiuta, finanche genealogica, di tutte le interconnessioni della famiglia Buscemi. I carabinieri del ROS arrivano alla conclusione che Vito Buscemi, quello che verrà arrestato il 17 febbraio 1992 in seconda battuta, è il «Buscemino» perché in realtà il «Buscemone» erano Nino Buscemi e Salvatore Buscemi.

Facendo riferimento a telefonate nel rapporto con Salvatore Buscemi di cui si parla con estremo rispetto, vedremo che Salvatore Buscemi nel momento in cui muore Borsellino è stato condannato definitivamente per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti, quindi non era uno stinco di santo, e nel rapporto viene inserito che Vito Buscemi di fatto è un prestanome di tutta la famiglia Buscemi di Passo di Rigano e che con Montalto avevano ordito il tradimento a carico di Inzerillo Salvatore.

Abbiamo Montalto che era il traditore di Inzerillo che si allea con Riina per far fuori Inzerillo e in cambio Salvatore Buscemi e Bonura ricevono per questo tradimento la titolarità del mandamento di Passo di Rigano, Buscemi Salvatore, e la titolarità del mandamento dell’Uditore, il Bonura, e ci viene a dire: «Cu ciu purtava a Borsellino di parrari di queste cose?». È come se si venisse a creare, secondo la mia e la nostra ipotesi, una liaison tra il mondo del Buscemi e la necessità di un’accelerazione. Questo per dirvi come è complicato.

Mi dovete scusare se mi attardo un poco, ma vorrei facilitare in questo modo il lavoro della Commissione, perché altrimenti credo che ci vorrebbero almeno due legislature solo per leggere la messe di atti che ho letto, considerati i vostri numerosi impegni come legislatore. Voi non vi occupate solo di questo…vi dovete occupare di cose di maggiore attualità…Io vi voglio sostanzialmente agevolare in questa ricostruzione non portando, ripeto, nient’altro che elementi di fatto.

5) Segue.

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