Proposta Radicale 10 2023
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Recensioni

Testa alta, avanti

di Valter Vecellio   

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Il potere della memoria

Di Va.Ve.
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Testa alta, avanti

Testa alta, avanti

di Valter Vecellio   

Le regole del poliziesco o del giallo che dir si voglia, sono semplici: un crimine ingarbugliato quanto basta; tutti gli elementi per capire squadernati, al tempo stesso non facilmente intelligibili. Paziente l’investigatore dipana la matassa e si giunge al colpevole. Poi Leonardo Sciascia (e in Svizzera Friedrich Dürrenmatt) rovescia la scacchiera: il crimine all’inizio è semplice, facile individuare il colpevole; poi tutto si complica, è oscuro, incombe un senso di oppressione: nel gioco di specchi le immagini si deformano e confondono: vero, verosimile, falso.

Il preambolo, per introdurre un pensiero che man mano si insinua nella lettura del semplice e al tempo stesso complesso “Testa alta, e avanti”, di Gaia Tortora. Libro intimo, si indovina la sofferenza nell’averlo scritto; in questo caso il tempo non medica. Non a caso l’avvertimento fin dalla copertina: “In cerca di giustizia, storia della mia famiglia”. 

La vicenda a tutti è nota: “Alle 4.25 del 17 giugno 1983 mio padre (Enzo Tortora, ndr) viene arrestato per associazione a delinquere di stampo camorristico, prelevato dalla sua stanza dell’hotel Plaza di Roma…”.

Tutto è semplice, chiaro: dei criminali sedicenti pentiti confessano crimini e complici. La Procura della Repubblica napoletana è sicura del fatto suo: “Ma lo sapete che più cercavamo le prove della sua innocenza, e più trovavamo quelle della sua colpevolezza?”. Piatto ricco mi ci ficco. A Napoli si fiondano a branco i cronisti giudiziari di ogni testata giornalistica, accade quello che sempre accade in questi casi: si fa team; c’è sempre un cronista esperto, magari del luogo, con i giusti contatti, fa da volenteroso tramite tra l’ufficio giudiziario e i colleghi, distribuisce le veline sapientemente diffuse. Comodo, semplice, facile. Tutto chiaro, del resto: come mettere in dubbio cinque, sei, dieci, quindici pentiti… poi si sa: nel mondo dello spettacolo di droga ne gira, tanti ne fanno uso, magari ne spacciano anche…

No, non è chiaro per nulla. Non è chiaro per i pochi che si danno la pena di non prendere per oro colato la quotidiana velina distribuita. Per esempio il numero di telefono trovato su un’agendina: non è di Tortora, come si dice. Ma la procura non controlla. Si ciancia di incontri tra Calvi, Pazienza, Turatello, Tortora, scambi di denaro e cocaina; peccato che all’epoca indicata l’accusatore fosse in carcere. Si ipotizza un uso di cocaina (eccitante!) per lenire i postumi di un’operazione chirurgica mai effettuata… Insomma, la sagra delle balle. Nessun riscontro, nessuna verifica. “Arrestato per partito preso”, commenta amaro Tortora. 

Questo modo di procedere è un problema che la magistratura ancora non ha risolto: il Consiglio Superiore non ha preso alcun provvedimento; anzi, molti dei protagonisti di quel terrificante abominio hanno fatto carriera. È un problema della classe politica: a distanza di anni non ha saputo e/o voluto trovare gli opportuni e adeguati correttivi. È un problema di chi fa informazione: non solo perché si contano sulle dita di un paio di mani quanti si posero la banale, elementare domanda: e se fosse innocente? Come Gaia Tortora ricorda, quasi nessuno dei responsabili del crucifige mediatico, dopo ha chiesto scusa. 

Per quello che ci riguarda, il capitolo fondamentale è il nono, “L’ABC”: “…penso che sia davvero giunta l’ora di una seria riflessione sulle responsabilità della nostra categoria… È rarissimo che le vittime di malagiustizia e di errore giudiziario ricevano scuse pubbliche da parte dei giornalisti che li hanno infangati…”. Occorre insomma “agire interrogandosi sulle conseguenze delle proprie azioni”. 

Troppo pochi lo hanno fatto con Tortora, troppo pochi lo fanno oggi, come se la persecuzione di cui Tortora è rimasto vittima nulla abbia insegnato.

Piero Angela, fraterno amico di Enzo, è stato tra i primi che si è battuto pubblicamente contro questa vergogna, ed è stato vicino alle figlie Silvia e Gaia; il primo giorno abbraccia e consola Gaia: “Andrà tutto bene, vedrai”. Purtroppo si sbagliava. Anche se alla fine Tortora ne esce immacolato, quella vicenda non è finita bene; non poteva finire bene. In quanto a noi: quella storia semplice, a quarant’anni di distanza, appare più complicata che mai; ci vorrebbero Sciascia e Dürrenmatt, almeno per raccontare il micidiale, letale, torbido impasto di leggerezza, sciatteria, interesse, idiozia che avvolge questa sconvolgente vicenda.       

Gaia Tortora

Testa alta e avanti. Mondadori

Il potere della memoria

Il potere della memoria

Di Va.Ve.

Federico Campbell, messicano di Tijuana, scrittore e giornalista è autore di quattro romanzi: Todo lo de las focas; Pretexta o el eronista enmascarado; Transpennsular; La clave Morse. In Italia è soprattutto conosciuto per un libro che raccoglie alcuni suoi saggi su Leonardo Sciascia, La memoria di Sciascia (Ipermedium libri). Un volume, annota la traduttrice Elena Trapanese, “che offre un’importante ed originale lettura della vita e dell’opera dello scrittore siciliano, nella quale confluiscono gli interessi e le sensibilità dell’autore: ottimo conoscitore della cultura italiana e personalità implicata nella vita culturale messicana”. 

Claude Ambroise, che Sciascia stimava come uno dei critici che più aveva compreso e colto il suo “sentire”, parla dei lavori di Campbell come “una rilettura che si avvicina alla vita e ai testi dello scrittore siciliano con una particolare sensibilità ispano-messicana”. Una simile sensibilità si coglie nel prezioso lavoro di Alessandro Secomandi, dottore di Ricerca in Studi Umanistici Transculturali presso l’università di Bergamo. Con rara acribia Secomandi si occupa di letterature ispanicoamericane, spazia da Juan Rulfo ad Alvaro Cepeda Samudio, da Marvel Moreno a Pablo Montoya; e, appunto, Campbell, ma anche Sciascia.

Nella bella collana “Quaderni di Regalpetra” dove è già apparsa la bella conversazione (inedita per l’Italia) con il giornalista inglese Ian Thomson, viene ora opportunamente pubblicato il lavoro di Secomandi. Il professor Fabio Rodriguez Amaya, di cui Secomandi è stato allievo, nella postfazione ben coglie i termini della questione: “Con intelligenza Secomandi ricostruisce minuziosamente una relazione, fatta più di analogie che di differenze, dalla quale trae beneficio non solo Campbell ma la letteratura messicana in generale. Esamina come Campbell assimili la lezione di Sciascia e ne faccia la base per la sua produzione seguente, sia narrativa che giornalistica. E questo perché ossessionati, entrambi, dal bisogno di scoprire la verità, di svelare quei complessi meccanismi del Potere deviato e quel connubio tra Stato e mafia che accomunano Italia e Messico”.

Campbell, si accosta con tremore allo scrittore, intimidito; ne viene poi sorpreso, per la gentilezza, “lo scopre diverso da come se lo aspettava, e ne diventa presto amico. Con lui e Gesualdo Bufalino, Gaetano Tranchino, Antonio Motta una indimenticabile gita da Palermo a Racalmuto (“da prassi siciliana, in quanto ospite, durante il viaggio non riesce a pagarsi nemmeno un caffè…”).

Messico, Sicilia, Italia: è tutto nel dialogo de Il contesto:

“Ma non tutti sono innocenti”, disse Rogas. “Dico: quelli che capitano nell’ingranaggio”.

“Per come va l’ingranaggio, potrebbero essere tutti innocenti”.

“E allora si potrebbe anche dire: per come va l’innocenza, potremmo tutti cadere nell’ingranaggio”.

Perché Sciascia diventa così importante (dal libro di Secomandi si capisce fin dalle prime pagine), per il messicano Campbell, che per formazione, cultura, ambiente, dovrebbe faticare? La risposta è semplice, chiara, esauriente, e vale per tutti: “Sciascia insegna a pensare…non è qualcuno di cui possa farsi beffe chi sta al potere”.

Alessandro Secomandi

Potere e memoria – Rubbettino.    

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