Proposta Radicale 23 2024
1

Quando i partiti di Peppone e don Camillo non vollero capire

Quando i partiti di Peppone e don Camillo non vollero capire

di Valter Vecellio

Cinquant’anni, anniversario tondo. Anno storico: il popolo italiano, chiamato a referendum, conferma di voler mantenere la legge che istituisce il divorzio: i promotori del referendum sono sconfitti con uno scarto di parecchi milioni di voti. Evento riccamente celebrato con rievocazioni, testimonianze, analisi. È cronaca che ormai si è fatta storia. Solo che in molte di queste rievocazioni e “racconti” ci sono dei vuoti. Soprattutto si omette di sottolineare che il Paese con quello storico NO non vota “solo” per il mantenimento di una legge, per quanto importante: manifesta la sua voglia impellente di libertà e di liberazione, di rinnovamento. Dice un festoso e allegro NO alle “gabbie” in cui i due maggiori partiti, quello di don Camillo e quello di Peppone l’avevano fino a quel momento imprigionato.

Ora un po’ di aneddotica. Si basa su appunti trascritti da taccuini, ricordi orali di Pannella. Per prima cosa mette in chiaro che quel referendum non lo voleva nessuno, radicali a parte. Occorre però fare un salto indietro: “Nei primi anni ‘60 quando con Mauro Mellini e gli altri rifondatori del Partito Radicale costituiamo la Lega per l’Istituzione del Divorzio, quasi solo Loris Fortuna è al nostro fianco. E un settimanale che pubblicava fotografie di donne con mutandoni che oggi fanno ridere, ma all’epoca facevano scandalo, “ABC”, diretto da Antonio Sabato, di cui si è smarrita memoria. È stato quel settimanale a fare da megafono della nostra battaglia. Varata la legge Gabrio Lombardi, Luigi Gedda, i loro comitati civici e l’ala più intransigente del mondo cattolico, sostenuti dall’ala più conservatrice del Vaticano, raccolgono le firme per un referendum abrogativo della legge”.

Accade, è sempre Pannella che parla, che “la sinistra, i laici, il PCI, perfino gli extraparlamentari di allora, fanno di tutto per evitare il referendum”. Lo stesso Pannella confessa di aver avuto all’inizio qualche timore: “Poi Mellini mi convinse”. All’inizio c’è solo Fortuna a dare una mano: “La nostra testa di ponte alla Camera. Sandro Pertini ci viene incontro; ci aiutano, anche contro la linea ufficiale del Partito, Umberto Terracini, Fausto Gullo, Vittorio Vidali. Almirante fa una mezza promessa mai mantenuta. L’elenco di cerca di fermarci in ogni modo è lunga, comprende tutti i segretari dei partiti di governo, oppure sono indifferenti come il socialista Francesco De Martino o il liberale Giovanni Malagodi”.

Pertini è presidente della Camera: vuole seguire le vie della procedura parlamentare. Pannella mette fretta: “S’infuria, chiama i commessi, minaccia di cacciarmi da Montecitorio, non ero parlamentare entravo come visitatore. Tempo dopo mi trovo a Milano, c’è anche Pertini. Non sapevo che ce l’aveva ancora con me. Mando avanti Enzo Tortora di cui ero già allora amico, con una lettera. Pertini in mezzo a tutti apre la busta, legge, bofonchia: questo è quel delinquente di Marco”.

Fanfani è presidente del Senato. Si comporta da perfetto garantista, rispetta i diritti e i doveri di tutti: “Si capiva che era sicuro di vincere. Ugo La Malfa era contrario: si preoccupava dei possibili effetti del referendum, Pannella farà saltare il centro-sinistra e ci porterà alla rovina”.

All’inizio della campagna per la legge Pannella va a parlarne con Mario Pannunzio: “Mi gela con una battuta: Pannella, lei porterà questo Paese nelle mani dei comunisti…”.

I comunisti, racconta Pannella, d’intesa con la DC fino all’ultimo cercano di aggirare il referendum: “Manca poco più di un mese dal voto e l’Unità mi accusa di essere pagato dalla DC. Terracini e Vidali mi chiamano per esprimermi solidarietà. Gullo fa parte della presidenza della LID. Galante Garrone è dei nostri. Ma un amico comunista mi rivela che Berlinguer ha paura che i divorzisti siano sconfitti”.

A proposito di Berlinguer racconta che per un certo periodo vivevano vicini: “La sera scendeva a portare a spasso il suo cane, un pastore tedesco. Se lo incontravo, passeggiavamo insieme parlavamo di politica. Ma sul fronte del divorzio la storia dei vecchi leader del partito che stavano con noi non gli piaceva. I nostri rapporti si raffreddarono. Me ne accorgo quando anziché chiamarmi Marco mi rivolge un gelido Pannella”.

Andreotti: “L’unico che intuisce fin dall’inizio il pericolo per la DC. Alla vigilia di un primo voto decisivo, sulla costituzionalità della legge, presagisce la sconfitta. Lo incontro per caso all’uscita della Camera di via della Missione… Mi vede e mi ferma: Pannella, smetta di digiunare, ce l’avete fatta…”.

Il 12 maggio 1974 è mirabilmente fissato da un Giorgio Forattini nella sua miglior forma con una vignetta: una bottiglia di champagne con il tappo che “salta”, (il tappo ha la fisionomia di Amintore Fanfani). Chi scrive può dire: quel giorno c’ero; mescolato con almeno un altro mezzo milione di persone accorse a piazza Navona. Una Roma, festante e gioiosa che in spontaneo corteo, dopo essere venuta da ogni quartiere della città, raggiunge Porta Pia, emblematico simbolo della laicità: i primi sono già arrivati, e ancora piazza Navona non si è svuotata.

Chi scrive era già militante da un paio d’anni del Partito Radicale, quella battaglia per la legge sul divorzio, per il suo mantenimento, l’ha fatta sul “campo”, con l’armamentario tipico di allora: i cartelloni sandwich appesi al collo; i tavoli per la raccolta firme; le fiaccolate davanti al Parlamento: allora si poteva e si faceva senza troppi problemi.

I “vuoti”: si parla di Loris Fortuna, valoroso parlamentare friulano doppia tessera: socialista e radicale; e di Antonio Baslini, parlamentare del Partito Liberale, che lo affianca. In realtà quella legge ha più di due padri: quattro, almeno; e una madre ideale. A volerle dare un nome dovrebbe chiamarsi propriamente: Fortuna-Baslini-Pannella-Mellini-Marchei.

Se la legge viene approvata da un Parlamento riottoso, e poi confermata quando viene sottoposta a referendum abrogativo promosso e fortemente voluto dal Vaticano di papa Paolo VI, dalla Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani cui si accoda il Movimento Sociale di Giorgio Almirante, lo si deve a Marco Pannella e Mauro Mellini: il primo non ha bisogno di presentazioni, da sempre leader del Partito Radicale, il suo cuore, cervello e anima; l’altro, Mellini, avvocato di valore, anche lui radicale, tra i fondatori della Lega per l’Istituzione del Divorzio (LID): l’organismo di “massa” che coinvolge cittadini a migliaia che si mobilitano nelle strade e nelle piazze per quella legge di civiltà. Quanto ad Argentina Marchei: personaggio importante che compare in qualche fotografia, con una fiaccola in mano accanto a Pannella. È una popolana trasteverina, quando Trastevere era quartiere davvero di “popolo”: comunista da sempre, il marito era emigrato in Sud America e si era formato un’altra famiglia; anche lei aveva trovato un amore, aveva dei figli, il massimo dei suoi desideri, dar loro un nome legale, ricostituire un focolare. Per questo anima e corpo della battaglia divorzista, sempre presente, sempre attiva. Peccato che pochi la ricordino. Eppure lei si è battuta senza requie per quella legge e per difenderla. Quella legge è anche la “sua” legge.

All’epoca i partiti laici (PLI, PRI, PSDI) non è che fossero granché entusiasti e convinti che valesse la pena di impegnarsi per quella legge. Lo stesso PSI, il partito di Fortuna, non si scalda più di tanto: il segretario Francesco De Martino ad altro pensa. Il PCI, a parte eccezioni (Umberto Terracini, Fausto Gullo, l’emarginato Vittorio Vidali), considerano il divorzio cosa “borghese”; al gruppo dirigente dell’allora Botteghe Oscure interessa raggiungere un’intesa con la DC, tentano di tutto e di più pur di non rompere con il partito che, secondo loro, rappresenta l’intero mondo cattolico; di tutto e di più cercano di fare pur di evitare il referendum. Ai gruppi extraparlamentari di allora poi interessa “fare la rivoluzione, non impelagarsi in questioni borghesi”.

Il fatto è che i “corpi intermedi” di allora, pur se presenti e ramificati, non capiscono che l’Italia si è evoluta, trasformata. Vaticano e DC pensano di vincere a mani basse; il PCI teme la sconfitta, che il suo elettorato non lo segua. Eppure, qualche segno lo si può cogliere: c’è da una parte l’Italia del “letto caldo”. Ricordate? Fausto Coppi si innamora, corrisposto, della famosa “dama bianca”. Il marito di lei non la prende bene, denuncia la consorte per abbandono del tetto coniugale. Irruzione notturna della polizia nella casa del campione: il letto matrimoniale viene tastato, risulta “caldo” da entrambe le parti, è la prova dell’adulterio. “Naturalmente” solo la donna viene arrestata. Quella è l’Italia ufficiale, quella di un Oscar Luigi Scalfaro che molla un ceffone a una donna in un ristorante, “colpevole” di mettere un po’ troppo in mostra il suo “davanzale”. Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello cacciati dalla Rai per una innocua battuta sul presidente Gronchi, e stessa sorte toccata poi a Dario Fo… Poi c’è l’Italia che racconta Luigi Comencini in Pane amore e fantasia, film che riscuote un grande successo e nessuno si scandalizza: eppure oltre all’amore platonico per la Bersagliera” (Gina Lollobrigida) c’è la passione del maresciallo dei carabinieri (Vittorio De Sica) per la levatrice Annarella (Marisa Merlini); che però ha avuto un figlio da un altro senza essere sposata. Il maresciallo pur di coronare il suo sogno è disposto a fare “scandalo”, abbandonare l’arma… Il pubblico accetta tranquillo questa situazione irregolare… Oppure Il vigile di Luigi Zampa con un trasteverino Otello Celletti (Alberto Sordi) che convive tranquillamente con Amalia (Marisa Merlini) già sposata, e tutto il quartiere considera l’unione assolutamente legittima.

Questo per dire che lo “scollamento” vistoso dei giorni nostri tra elettori ed eletti già comincia a manifestarsi cinquant’anni fa: a patto di voler sentire e capire il senso di quelle crepe e scricchiolii… Argentina Marchei, popolana fieramente comunista e irriducibile militante divorzista è la dimostrazione vivente. Ma non si sa, o peggio: non si vuole vedere e capire.

Naturalmente il discorso vale anche per i promotori dell’abrogazione. Fanfani sicuro ed arrogante, giunge ad ammonire, in un comizio a Enna, che, se la legge sul divorzio rimane le mogli il giorno dopo fuggiranno con le loro donne di servizio. Commenta Leonardo Sciascia che dalla Sicilia arriva al contrario di quello che si poteva pensare, una risposta positiva al referendum, viene sconfitta una campagna tutta all’insegna del rumoreggiare di corna, a minaccia, ad irrisine: “Una propaganda talmente stupida da risultare controproducente”. Dal suo osservatorio di Racalmuto lo scrittore vede una Sicilia “diversa, più libera e aperta, coscienza di sé. Dopotutto, non siamo quella vandea che credevamo di essere: questo, credo, pensano oggi tanti siciliani, o magari l’avvertono senza pensarlo”. I NO all’abrogazione sono una valanga.

Avevano capito Pannella e i radicali, avevano capto Sciascia e Pier Paolo Pasolini, pochi altri. Gli altri no: per limiti, lacune, interesse, non comprendono la maturazione del Paese. È questa la lezione da trarre dai fatti di cinquant’anni fa. Poi certo: l’ultimo mese, quando si comprende che la DC e il Vaticano non sono disposti ad alcun compromesso, vogliono lo scontro frontale sicuri di vincerlo, il PCI si impegna a fondo; ma con il timore di perdere, non ha fiducia nel suo elettorato, ha paura che ceda alle lusinghe della propaganda avversaria. È il contrario: sono gli elettori della DC e del MSI a non seguire le indicazioni dei vertici. I due grandi partiti, quello di don Camillo e quello di Peppone non capiscono, e non comprendono neppure dopo. Non vogliono capire. Però comincia ugualmente una grande stagione di conquiste civili e sociali. Non sono solo anni “di piombo”; sono gli anni della depenalizzazione dell’aborto, della pillola e della liberazione sessuale, dello statuto dei lavoratori, della riforma sanitaria, del voto ai diciottenni e del diritto di famiglia, dell’obiezione di coscienza e dell’abolizione degli infami regolamenti manicomiali, la possibilità del sindacato di polizia: cose oggi “normali”, che costano però denunce, arresti, processi. Quasi sempre DC e PCI col freno a mano, in nome di corposi interessi da tutelare, postazioni di potere da conservare, compromessi di nessuna storia da perseguire.

Due parole su questo numero speciale di Proposta Radicale. Anche allora, come sempre, per Pannella e il Partito Radicale si pose in quei giorni il problema di poter essere conosciuti. Protagonisti della lotta divorzista, eppure silenziati, censurati. Il settimanale Il Mondo, che non era più quello fondato da Mario Pannunzio, ma era diretto da un valoroso e purtroppo dimenticato Renato Ghiotto, decide di spezzare la cortina del silenzio e dell’omertà: concede una o due pagine la settimana alla LID per consentire di far conoscere la sua voce. Un vero e proprio gesto di liberalità: “Il Mondo apre una pagina, durante tutta la campagna del referendum, alla LID intendendo così evitare per quanto possibile che si impedisca alla LID di continuare la sua battaglia. Siamo lieti di farlo, anche se le opinioni e i giudizi della LID non sempre coincidono con quelli de Il Mondo”.

Raccogliere quegli articoli, quegli interventi, impedire che se ne smarrisca la memoria, ci è sembrano un buon modo per celebrare quello storico NO, quella straordinaria battaglia di libertà e di liberazione.

Prima degli articoli pubblicati da Il Mondo, un sonetto “romanesco” di Anonimo Romano, pseudonimo usato da Maurizio Ferrara, all’epoca autorevole dirigente del Partito Comunista. Dedicato a Paolo Bufalini, anche lui figura di spicco del Partito. Rispecchia molto bene lo spirito dell’epoca e come si veniva considerati.

Ascolta l'articolo

iMagz