di Lev Tolstoj (a cura di Guido Biancardi)
(pubblichiamo di seguito la terza parte dell’opera, inedita per l’Italia, de “La mia religione” di Lev Tolstoj)
Tutto ciò che mi circondava, la mia tranquillità, la mia sicurezza e quella della mia famiglia, tutto era stato costruito sulla legge rigettata dal Cristo, quella che dice “occhio per occhio, dente per dente”.
I dottori della Chiesa han detto che l’insegnamento del Cristo era divino, ma che era impossibile seguirlo a causa dell’umana debolezza e che solo la grazia del Cristo poteva permettere di attenervisi. I dottori della scienza e tutta l’organizzazione della vita hanno semplicemente riconosciuto il carattere irrealizzabile, lunatico, del cristianesimo ed hanno insegnato, in parole ed azioni ciò che era contrario a questa dottrina. Questo consenso sull’impossibilità di seguire i precetti di Dio m’aveva impregnato così insidiosamente, così impercettibilmente, diventando un’abitudine e coincidendo così perfettamente con le mie concupiscenze da non farmi mai rimarcare la contraddizione nella quale mi trovavo. Non vedevo che era impossibile professare il Cristo-Dio il cui insegnamento ha come base la non-resistenza al malvagio, aprendo al contempo all’istituzione della proprietà, dei tribunali, dello Stato, dell’esercito, creando cioè una vita contraria al cristianesimo senza dimenticarsi con questo di pregare questo stesso Cristo al fine che la legge di non resistenza al malvagio e del perdono si instaurasse fra noi. Non m’era ancora venuto in mente (mentre mi è chiaro adesso) che sarebbe molto più semplice organizzare ed istituire la nostra vita secondo la legge del Cristo e di pregare successivamente perché ci siano dei tribunali, delle esecuzioni, delle guerre, se tanto queste ultime sono indispensabili al nostro benessere. Compresi allora l’origine del mio errore. Essa dipendeva dal fatto che avevo professato il Cristo a parole mentre l’avevo negato con le azioni. Il comandamento di non-resistenza al male è un comandamento che dà senso a tutta la dottrina ma unicamente se non è una semplice massima, ma una regola che si deve seguire; se è legge.
È in effetti, una chiave che apre tutto, ma unicamente quando si vuole veramente infilarla nella serratura. Considerarla come una massima impossibile da seguire senza un aiuto soprannaturale porta ad annichilire la dottrina nel suo complesso. Come potrebbe la gente in effetti prendere sul serio una dottrina di cui è stato tolto il nocciolo, il comandamento che gli dà senso? Quanto ai non-credenti, sembra loro semplicemente tutto stupido e non potrebbe essere altrimenti. Si costruisce un meccanismo, si fa riscaldare la macchina a vapore, la si mette in marcia, ma ci si dimentica di collegarla ad una cinghia di trasmissione. È quel che ha fatto il cristianesimo insegnando che fosse possibile essere un cristiano senza seguire il comandamento di non-resistenza al malvagio.
Recentemente, ho letto il capitolo V del Vangelo secondo san Matteo in compagnia di un rabbino. Quasi dopo ogni massima, il rabbino mi diceva: questo esiste nella Bibbia, questo esiste nel Talmud, e mi mostrava, nella Bibbia e nel Talmud delle massime molto vicine a quelle che si ritrovano nel sermone della montagna. Ma quando siamo arrivati al versetto sulla non-resistenza al malvagio egli non ha detto che quella esisteva anche nel Talmud, e non ha fatto che domandarmi con un sorriso: “Ed i Cristiani lo fanno? Porgono l’altra guancia?”. Io non ho saputo cosa rispondergli dato che per di più ero al corrente che in quel preciso momento i cristiani, lungi dal porgere le loro guance, colpivano gli ebrei sulle loro che questi ultimi porgevano. Ma avevo voglia di sapere se ci fosse qualcosa di simile nella Bibbia o nel Talmud e gli feci questa domanda. Mi ha risposto: “No, non esiste, ma, ditemi, i cristiani osservano questa legge?”. Attraverso questa domanda egli mi mostrava che la presenza nella legge cristiana di una regola che nessuno segue e che gli stessi cristiani considerano irrealizzabile è una testimonianza dell’assurdità e dell’inutilità di questa regola. A questo non ho potuto rispondergli.
L’insieme dell’Antico Testamento dice che le disgrazie del popolo ebreo derivano dal fatto di aver creduto a falsi dei invece di credere nel vero Dio. Samuele, nel suo primo libro, nei capitoli VIII e XII, accusa il popolo d’aver aggiunto una nuova apostasia a tutte quelle di cui si era reso colpevole, instaurando al posto di Dio, che era il suo re, un re umano da cui pensava di poter essere salvato.
Non credete al “tohu (parola del Genesi che esprime l’idea di vuoto associato al caos), al vuoto, diceva Samuele al popolo. Egli non vi aiuterà e non vi salverà perché è “tohu”, il vuoto. Non vi affidate che a Dio se non volete perire con il vostro re. Era appunto la mia fede in questi “tohu”, in questi idoli vuoti che mi nascondeva la verità. Questi “tohu” che non avevo la forza di rinnegare si mantenevano davanti a me sul cammino della verità, nascondendomi la sua luce.
Uno di questi ultimi giorni passavo per la porta Borovitski; un mendicante mutilato era seduto per terra con la testa imbacuccata in uno straccio. Ho preso il mio porta-monete per dargli qualcosa. In quell’istante, un giovane bravo tizio dalle guance ben rosse (un granatiere nella sua divisa di pelliccia militare) uscì dal Kremlino, corse giù per la discesa. Vedendo il soldato il mendicante balzò sui suoi piedi e corse zoppicando verso i giardini di Alessandro in fondo alla discesa. Il granatiere tentò di acciuffarlo, ma non ci riuscì. Si fermò e si mise a riempire d’ingiurie il mendicante che non aveva rispettato il divieto di sedersi in quel posto. Attesi il granatiere davanti alla porta. Quando mi arrivò vicino gli domandai se sapesse leggere.
“Sì, so leggere, perché?”.
Hai letto il Vangelo?
“Sì, l’ho letto”.
Hai letto: “chiunque darà da mangiare a colui che ha fame…”? Gli ricordai quel passaggio; egli lo conosceva e mi ascoltò recitarlo. E vidi che era turbato. Due passanti si fermarono per ascoltarci. Manifestamente il granatiere soffriva nel vedere che compiendo perfettamente il suo dovere (cacciando la gente da dove doveva essere cacciata) si era trovato improvvisamente in torto. Era imbarazzato e cercava una scusa. Improvvisamente una luce brillò nei suoi intelligenti occhi neri, si girò verso di me di sbieco, come se dovesse partire.
“E tu hai letto il regolamento militare?”.
Gli dissi che non l’avevo letto.
“Allora non puoi dire niente”, rispose il granatiere, e scosse la testa con aria vittoriosa; poi, richiudendo la sua pelliccia, riguadagnò la sua postazione con passo gagliardo.
Era l’unica persona che avevo visto giungere a risolvere in maniera strettamente logica quell’eterna questione che mi ponevo circa l’organizzazione della nostra società e che si pone ogni uomo che si dice cristiano.
Si ha torto nel dire che il cristianesimo non si occupa che delle questioni di salvezza personale, ed in nessuna maniera delle questioni sociali, delle questioni di Stato. Ammettiamo, mi dicevo, che io non resisterò al malvagio, e in quanto privato individuo gli porgerò l’altra guancia; ma ecco che arriva il nemico, che dei popoli sono oppressi, e mi chiamano a prender parte alla lotta contro i malvagi, per ucciderli. Sono inevitabilmente posto di fronte alla questione: cos’è servire Dio e cosa servire il “tohu”? Devo o no fare la guerra? Sono un uomo di campagna, mi hanno eletto responsabile, giudice, giurato, mi hanno obbligato a prestare giuramento, a giudicare, a punire, che devo fare dunque? Di nuovo devo scegliere fra la legge di Dio e quella degli uomini. Sono un monaco, vivo dentro un convento, i contadini hanno preso il nostro campo e mi si manda a prender parte alla lotta contro i malvagi. Devo depositare una querela contro i contadini in tribunale. Di nuovo, devo scegliere. Nessun uomo può sfuggire questo problema. Senza parlare del nostro ambiente sociale le cui attività consistono quasi unicamente nella resistenza al malvagio, che siamo militari, giuristi o amministratori, non c’è persona privata, non c’è persona modesta che non sia confrontata a questa scelta fra il servizio a Dio ed il rispetto dei suoi comandamenti ed al “tohu” delle istituzioni dello Stato. La mia vita personale è mescolata a quella dello Stato, e quest’ultima esige da me delle attività anticristiane, diametralmente opposte al comandamento del Cristo.
Ai nostri giorni, in cui il servizio militare è obbligatorio per tutti e dove ciascuno può prender parte ad un processo come giurato, questo dilemma si pone a tutti con un’acuità particolare. Ogni uomo deve prendere l’arma del delitto: fucile, coltello, e se non arriva sino ad uccidere, deve almeno caricare il suo fucile ed affilare il suo coltello, che vuol dire essere pronto a commettere l’omicidio. Ogni cittadino deve venire in una sala di tribunale per prender parte al giudizio ed al castigo; detto in altro modo ciascuno deve rinnegare il comandamento della non-resistenza al malvagio non solo a parole, ma anche con l’azione. La domanda del granatiere (quella della scelta fra il Vangelo ed il regolamento militare, fra la legge di Dio e quella degli uomini) si pone davanti l’umanità di oggi esattamente come al tempo di Samuele. Questa questione si poneva allo stesso Cristo ed ai suoi discepoli, essa si pone a coloro che vogliono essere cristiani in azione; essa si è posta a me. La legge del Cristo, con il suo insegnamento d’amore, di dono di sé, aveva sempre toccato il mio cuore, mi aveva sempre attirato. Ma dappertutto, nella storia antica, ed in quella del mio tempo, in quel che mi circondava e nella mia propria vita, io vedevo una legge contraria che offendeva il mio cuore, la mia coscienza, la mia intelligenza, ma che sollecitava i miei istinti animali. Sentivo che scegliendo la legge del Cristo sarei rimasto solo, che sarei disgraziato, perseguitato, che piangerei esattamente come il Cristo aveva detto. Ma che se avessi obbedito alla legge umana, tutti mi avrebbero approvato, sarei stato tranquillo ed in prosperità e le circonvoluzioni del cervello umano si sarebbero messe al mio servizio per calmare la mia coscienza.
Avrei potuto ridere e divertirmi, esattamente come l’aveva detto Cristo. Lo sentivo, e per questa ragione mi guardai bene di propendere per il senso della legge di Cristo e, più ancora, tentavo di capirla in modo tale non mi impedisse di vivere la mia vita animale. Ora, è impossibile comprenderla in tal maniera; pertanto non la comprendevo del tutto.
(Segue. Le prime due parti di questo saggio sono state pubblicate su “Proposta Radicale” n.8 e n.9)